La scienza nuova seconda/Libro secondo/Sezione seconda/Capitolo settimo

Sezione seconda - Capitolo settimo - Ultimi corollari d'intorno alla logica degli addotrinati

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[CAPITOLO SETTIMO]

ultimi corollari d’intorno alla logica degli addottrinati


I

494Per le cose ragionate finora in forza di questa logica poetica d’intorno all’origini delle lingue, si fa giustizia a’ primi di lor autori d’essere stati tenuti in tutti i tempi appresso per sappienti perocché diedero i nomi alle cose con naturalezza e propietá; onde sopra vedemmo ch’appo i greci e latini «nomen» e «natura» significarono una medesima cosa.

II

495Ch’i primi autori dell’umanitá attesero ad una topica sensibile, con la quale univano le propietá o qualitá o rapporti, per cosí dire, concreti degl’individui o delle spezie, e ne formavano i generi loro poetici.

III

496Talché questa prima etá del mondo si può dire con veritá occupata d’intorno alla prima operazione della mente umana.

IV

497E primieramente cominciò a dirozzare la topica, ch’è un’arte di ben regolare la prima operazione della nostra mente, insegnando i luoghi che si devono scorrer tutti per conoscer tutto quanto vi è nella cosa che si vuol bene ovvero tutta conoscere. [p. 213 modifica]

V

498La provvederla ben consigliò alle cose umane col promuovere nell’umane menti prima la topica che la critica, siccome prima è conoscere, poi giudicar delle cose. Perché la topica è la facultá di far le menti ingegnose, siccome la critica è di farle esatte; e in que’ primi tempi si avevano a ritruovare tutte le cose necessarie alla vita umana, e ’l ritruovare è propietá dell’ingegno. Ed in effetto, chiunque vi rifletta, avvertirá che non solo le cose necessarie alla vita, ma l’utili, le comode, le piacevoli ed infino alle superflue del lusso, si erano giá ritruovate nella Grecia innanzi di provenirvi i filosofi, come il farem vedere ove ragioneremo d’intorno all’etá d’Omero. Di che abbiamo sopra proposto una degnitá: ch’«i fanciulli vagliono potentemente nell’imitare», e «la poesia non è che imitazione», e «le arti non sono che imitazioni della natura, e ’n conseguenza poesie in un certo modo reali». Cosí i primi popoli, i quali furon i fanciulli del gener umano, fondarono prima il mondo dell’arti; poscia i filosofi, che vennero lunga etá appresso, e ’n conseguenza i vecchi delle nazioni, fondarono quel delle scienze: onde fu affatto compiuta l’umanitá.

VI

499Questa storia d’umane idee a maraviglia ci è confermata dalla storia di essa filosofia. Che la prima maniera ch’usarono gli uomini di rozzamente filosofare fu l’αὐτοψία o l’evidenza de’ sensi, della quale si serví poi Epicuro, che, come filosofo de’ sensi, era contento della sola sposizione delle cose all’evidenza de’ sensi, ne’ quali, come abbiam veduto nell’Origini della poesia, furono vividissime le prime nazioni poetiche. Dipoi venne Esopo, o i morali filosofi che diremmo «volgari» (che, come abbiam sopra detto, cominciò innanzi de’ sette savi della Grecia), il quale ragionò con l’esemplo, e, perché durava ancora l’etá poetica, il prendeva da un qualche simile finto (con uno de’ quali [p. 214 modifica] il buono Menenio Agrippa ridusse la plebe romana sollevata all’ubbidienza); e tuttavia uno di sí fatti esempli, e molto piú un esemplo vero, persuade il volgo ignorante assai meglio ch’ogni invitto raziocinio per massime. Appresso venne Socrate e introdusse la dialettica, con l’induzione di piú cose certe ch’abbian rapporto alla cosa dubbia della quale si quistiona. Le medicine, per l’induzione dell’osservazioni, innanzi di Socrate avevano dato Ippocrate, principe di tutti i medici cosí per valore come per tempo, che meritò l’immortal elogio: «'Nec fallit quenquam, nec falsus ab ullo est». Le mattematiche, per la via unitiva detta «sintetica», avevan a’ tempi di Platone fatto i loro maggiori progressi nella scuola italiana di Pittagora, come si può veder dal Timeo. Sicché, per questa via unitiva, a’ tempi di Socrate e di Platone sfolgorava Atene di tutte l’arti nelle quali può esser ammirato l’umano ingegno, cosí di poesia, d’eloquenza, di storia, come di musica, di fonderia, di pittura, di scoltura, d’architettura. Poi vennero Aristotile, che ’nsegnò il sillogismo, il qual è un metodo che piú tosto spiega gli universali ne’ loro particolari che unisce particolari per raccogliere universali; e Zenone col sorite, il quale risponde al metodo de’moderni filosofanti, ch’assottiglia, non aguzza, gl’ingegni: e non fruttarono alcuna cosa piú di rimarco a pro del gener umano. Onde a gran ragione il Verulamio, gran filosofo egualmente e politico, propone, commenda ed illustra l’induzione nel suo Organo; ed è seguito tuttavia dagl’inghilesi con gran frutto della sperimentale filosofia.

500Da questa storia d’umane idee si convincono ad evidenza del loro comun errore tutti coloro i quali, occupati dalla falsa comune oppenione della somma sapienza ch’ebber gli antichi, han creduto Minosse, primo legislator delle genti, Teseo agli ateniesi, Ligurgo agli spartani, Romolo ed altri romani re aver ordinato leggi universali. Perché l’antichissime leggi si osservano concepute comandando o vietando ad un solo, le [p. 215 modifica] quali poi correvan per tutti appresso (tanto i primi popoli eran incapaci d’universali!); e pure non le concepivano senonsé fussero avvenuti i fatti che domandavanle. E la legge di Tulio Ostilio nell’accusa d’Orazio non è che la pena, la qual i duumviri per ciò criati dal re dettano contro l’inclito reo, e «lex horrendi carminis» è acclamata da Livio; talch’ella è una delle leggi che Dragone scrisse col sangue e «leges sanguinis» chiama la sagra storia. Perché la riflessione di Livio: che ’l re non volle esso pubblicarla per non esser autore di giudizio sí tristo ed ingrato al popolo, ella è affatto ridevole, quando esso re ne prescrive la formola della condennagione a’ duumviri, per la quale questi non potevan assolver Orazio, neppure ritruovato innocente. Dove Livio affatto non si fa intendere, pcrch’esso non intese che ne’ senati eroici, quali ritroveremo essere stati aristocratici, gli re non avevano altra potestá che di criare i duumviri in qualitá di commessari, i quali giudicassero delle pubbliche accuse, e che i popoli delle cittá eroiche eran di soli nobili, a’ quali i rei condennati si richiamavano.

501Ora, per ritornar al proposito, cotal legge di Tulio in fatti è uno di quelli che si dissero «exempla» in senso di «castighi esemplari», e dovetter esser i primi esempli ch’usò l’umana ragione (lo che conviene con quello ch’udimmo da Aristotile sopra, nelle Degnitá: che «nelle repubbliche eroiche non vi erano leggi d’intorno a’ torti ed offese private»); e ’n cotal guisa, prima furono gli esempli reali, dipoi gli esempli ragionati de’ quali si servono la logica e la rettorica. Ma, poi che furono intesi gli universali intelligibili, si riconobbe quella essenziale propietá della legge: — che debba esser universale, — e si stabilí quella massima in giurisprudenza: che «legibus, non exemplis, est íudicandum».