La scienza nuova seconda/Brani soppressi o mutati/Libro quarto/Sezione nona

Libro quarto - Sezione nona

../Sezione settima ../Sezione decima IncludiIntestazione 4 febbraio 2022 75% Da definire

Libro quarto - Sezione settima Libro quarto - Sezione decima

[p. 244 modifica]

SEZIONE NONA

CAPITOLO SECONDO

1343[951]..... e ne’ secondi son i sudditi comandati d’attender a’ loro privati interessi e lasciare la cura del [CMA3] ben pubblico al monarca ed a coloro a’ qual’il monarca, la somma a sé riserbando, ne commette la cura nelle parti minori, nelle quali una repubblica è ripartita; aggiugnendo a ciò le naturali cagioni. 1Ch’è’ «aequum bonum» considerato dalla natural equitá, ed è l’obbietto della giurisprudenza ultima, che cominciò ne’ tempi della romana libertá popolare e si compiè sotto gl’imperadori.

1344Dal qual ragionamento escono questi importantissimi corollari:

1345I. — Che tal è avvenuto della sapienza de’ romani quale della poesia d’Omero, estimate entrambe effetti d’innarrivabile filosofia, che furon, in fatti, produtte dalla lor eroica natura.

1346II. — Che, con troppo giusto senso, gli eroi, come sopra ragionammo nella Fisica eroica dell’uomo, posero la loro sapienza nel cuore; perché ove fussero cuori eroici, cioè sinceri, aperti, fidi, generosi e magnanimi, vi sarebbon i veri sappienti di Stato, i quali ad essi monarchi non consiglierebbono che ordini di pace ed imprese di guerra, che rendessero loro gloriosi gli Stati, i quali gloriosi non sono se non portano un’universale e durevole contentezza de’ sudditi.

1347III. — Ch’i romani per ciò furono sappientissimi di Stato sopra tutte le nazioni del mondo, perché si fecero guidare con giusti passi dalla divina provvedenza, la qual è tutta occupata a conservar il gener umano (dal qual fine assolutamente Ulpiano definisce la ragione di Stato); né troppo acuti per l’indole del cielo affricano, essi scaltrirono la loro sapienza co’ traffici marittimi, come fecero i cartaginesi; né troppo dilicati per lo presto passaggio che vi avevano fatto, assottigliarono la loro con le filosofie, come fecero i greci: la qual sapienza simulata, come la cartaginese, o affilata, come la greca, non piacque al senato nel tempo della romana virtú. La qual manomise Cartagine, e con [p. 245 modifica] Cartagine l’Affrica, ed in Ispagna Numanzia nel di lei troppo ancor acerbo eroismo, ed in Italia Capova, ch’aveva risoluto troppo anzi tempo l’eroismo con le delizie del cielo e con l’abbondanza della terra: delle quali tre cittá aveva temuto Roma l’imperio dell’universo. Manomise quindi la Grecia, e con la Grecia l’Asia, e fece parti della sua quelle ch’erano state innanzi due grandi monarchie, la prima de’ persiani e la seconda de’ macedoni, e divenne signora di tutto il mondo, di cui per natura potette esser signora. Onde Cicerone, il qual non credeva la favola della legge delle XII Tavole venuta da Atene in Roma (come altrove abbiamo dimostrato e meglio dimostreremo in un propio Ragionamento nel fine di questi libri), aveva ben onde anteporre il solo libretto di quella legge a tutte le librarie de’ filosofi. E i romani giureconsulti, in conformitá di tal loro pratica, posero in teorica per gran principio della giurisprudenza la provvedenza divina.

1348IV. — La soluzione d’un altro egualmente (quanto questo, senza la soluzione di questo) diffidi problema a solversi: — Perché la giurisprudenza nacque sola al mondo tra’ romani? — Perché essi soli, prima coi costumi e poi, essendosi questi portati nella legge delle XII Tavole, per mezzo dell’interpetrazione, seppero custodire religiosissimamente gli ordini naturali, co’ quali la provvedenza dapprima aveva ordinato il mondo delle nazioni; lo che, per le cagioni e naturali e civili ch’abbiamo testé arrecato, non poterono né Cartagine né Numanzia né Capova né essa dottissima Grecia.

1349V. — Si manifesta la fortuna la qual fu cagione della romana grandezza, cioè la divina provvedenza, da’ romani sopra l’altre nazioni del mondo tutto religiosamente osservata; la qual fortuna non seppe vedere Plutarco, alquanto invidioso della romana virtú, né seppe additargliela Torquato Tasso nella sua generosa Risposta a Plutarco.

1350VI. — Il rovesciamento dell’idee c’hanno finor avuto i dotti: che l’eroismo andò di séguito alla sapienza degli antichi; quando de’ primi tempi, ne’ quali gli uomini erano tutti senso e pensavano nel cuore, la sapienza degli antichi dovette esser effetto dell’eroismo.

1331VII. — E finalmente si ha la piú luminosa pruova di ciò che sopra dicemmo: che la maraviglia e ’l disiderio, c’hanno finor avuto i dotti della sapienza degli antichi, furono sensi diritti d’intorno alla provvedenza divina, i quali poscia la loro boria depravò con immaginarla sapienza umana. [p. 246 modifica]

1352Dal fin qui ragionato facilmente s’intende la terza spezie di ragione, ch’è la ragion naturale della natura umana tutta spiegata, che si dice «aequitas naturalis». Della quale sola è capace la moltitudine .....

CAPITOLO TERZO

1353[952] [CMA3] Le cose qui ragionate d’intorno alle tre spezie della ragione ne danno la ragione finor nascosta, la quale non han saputo tutti coloro c’hanno adornato la storia delle leggi romane, i quali riconoscono tre spezie di giurisprudenze, cioè antica, mezzana ed ultima, ma non han saputo il perché s’andarono d’una in altra cangiando. Perché non considerarono ch’i governi debbon esser conformi alla natura degli uomini governati.

1354[953] .che naturalmente dettavano tali e non altre pratiche. [CMA3] Lo che fu alto consiglio della provvidenza, con cui secondo le diverse nature degli uomini ha ordinato la successione delle forme politiche. Ché nel tempo della somma fierezza del gener umano.e l’equitá civile, o ragion di Stato, fu intesa da pochi pratici di corte e serbata arcana dentro de’ gabinetti.

1355Tante cose e sí grandi nascondeva quest’arcano delle leggi, che gl’interpetri, non sappiendo, han creduto impostura [CMA4] de’ romani patrizi, [CMA3] e Claudio Clapmario, De arcanis rerumpublicarum, non osservò. Per tutto lo che ragionato, quanto naturalmente erano stati appresi per giusti i rigori della giurisprudenza antica, tanto naturalmente se ne riconobbe appresso l’ingiustizia dalla giurisprudenza mezzana, e molto piú dalla ultima. Che dee esser il vero c’ha dovuto sostenere la volgar tradizione della legge delle XII Tavole venuta da Grecia in Roma: perché nacque in tempi che durava ancora la maniera di parlare per caratteri poetici; e, per tutto il tempo che la giurisprudenza antica usò del rigore nel ministrarla, fu detto essa legge esser venuta da Sparta, repubblica la qual a mille pruove abbiamo dimostrato essere stata di forma aristocratica, qual abbiam truovato essere stata la romana infin alla legge publilia; ma, dappoi che la giurisprudenza mezzana cominciò a temprarne i rigori con la ragion naturale, si disse esser venuta da Atene, repubblica popolare, quale fu la romana dalla legge publilia in poi. E tal oppenione restò, perché questa spezie d’interpetrazione si ricevette e s’accrebbe dalla giurisprudenza ultima sotto gl’imperadori.