La scienza nuova seconda/Brani soppressi o mutati/Libro quarto/Sezione decima

Libro quarto - Sezione decima

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SEZIONE DECIMA

CAPITOLO PRIMO

1356[955]..... e nel secondo per «excipere». [CMA3] Tantoché queste dovetter essere le prime orazioni fatte agli dèi; ond’a’ latini gli avvocati restaron detti «oratores». A’ quali anco da tali orazioni ed obsecrazioni, con eleganti differenze, restarono «oro» ed «obsecro» per cose gravissime, «rogo» e «quaeso» per cose leggieri. Tali richiami agli dèi si faccevano dapprima dalle genti.

1357[955*] [CMA3] Sulla qual credenza Boiocalo, valoroso principe degli angrivari ed assai benemerito de’ romani, avendo ad Avito, luogotenente generale dell’esercito romano in Germania, domandato terre, dove esso ed altri germani principi, ch’avevano fatto lui capitano di quella spedizione, potessero vivere co’ loro vassalli, ed avendogliele il romano niegato, se ne richiamò al cielo con quell’apostrofe, che non fu uno sparuto colore di rettorica, ma piena di eroica vivezza: «solerti inde respiciens — ci serviamo delle stesse parole di Tacito, perché adeguano la grandezza della storia — et cetera sydera vocans, quasi coram interrogabat: vellentne contueri inane solum? potius mare superinfunderent adversus terrarum ereptores ». La qual sublimitá di lingua non nacque altronde che dalla sublimitá del di lui cuore. Perocché, da tal detto commosso, Avito avendogli profferto per lui solo e i di lui vassalli le domandate terre, egli generosamente, «tanquam proditionis precium aspernatus», diede in quella risposta magnanima: «deesse nobis terra, in qua vivamus, potest; in qua moriamur, non potest»; com’esso con tutte quelle nazioni, disperatamente combattendo, morirono. La qual istoria appruova a maraviglia ciò che noi diciamo: che con la barbarie sta la vera grandezza e sublimitá, la quale non è da sperarsi né dalle sottigliezze delle filosofie né dalle pulitezze dell’arti.

1358[957*] [CMA3] E qui si faccia una stretta ma pesante raccolta di cose de’ tempi divini della gentilitá. La prima fede fu la forza degli dèi; il primo culto fu la coltivazione de’ campi; le prime are [p. 248 modifica] essi campi arati; le prime contemplazioni quelle degli auspici; i primi templi le regioni del cielo, le quali disegnavano gli áuguri per contemplarglivi; i primi misteri essi auspíci medesimi, onde i poeti teologi se ne dissero «mystae», che Orazio volta «interpetri degli dèi», i quali si tenevano per sappienti di tal teologia mistica, e tai poeti n’ebbero il titolo di «divini», cioè dotti in divinitá o sia nella scienza della divinazione; le prime cerimonie e le prime solennitá quelle degli atti legittimi; le prime orazioni furono l’accuse o difese; le prime devozioni furono l’esegrazioni de’ rei; i primi voti cotali rei consegrati; i primi sagrifici i supplici di tali rei; le prime ostie, le prime vittime, cotali rei giustiziati. Dalle quali cose tutte si vede apertamente le prime religioni gentilesche essere state tutte sparse di fierezza e di sangue; e tutto ciò dalla divina provvedenza ordinato, acciocché la generazione degli uomini, nel ferino errore perduti, temprando l’indole immane della fiera natura con ispaventose e crudeli (e per ciò crudeli, perché spaventose) religioni, si riducesse finalmente all’umanitá.

CAPITOLO TERZO

1359[966]..... e ’l popolo, a cui si appellò, l’assolvette piú perché il delitto si nascose dentro lo splendore della sua gloria che per alcun merito della causa, come il tutto si può raccogliere da Livio. [CMA3] Il qual diritto eroico durò fin a’ tempi di Giustiniano, che tutti i giudizi, perch’eran tutti ordinari, erano tutti condennatòri, perché la formola di tutti dal pretore si concepiva: «Si paret reum esse, condemna, iudex»; onde, se non appariva il reo, non vi era bisogno di assolversi, perché non vi era stato giudizio, il quale tutto consisteva in essa formola. Oggi, che tutt’i giudizi sono estraordinari, ordinati dalla ragion naturale, sono tutti assolutòri; perché o si truova in fatti reo, e, col condennarsi, si assolve naturalmente dal debito; o non si truova, e si dice assolversi «ab impetitis», si assolve dall’ingiusta o falsa oppenione, perché in tali giudizi regna la natural giustizia e la veritá. Cotali giudizi ordinari bisognarono a’ tempi d’Achille, [SN2] che riponeva tutta la ragion nella forza..... fu in cautelare i clienti. Il qual costume natural delle nazioni diede l’argomento a tutta una commedia di Plauto, intitolata Il persiano, nella quale i testimoni, che vi si adoperano, professan esser uomini dabbene, e sono dal padrone dello schiavo [p. 249 modifica] informati di tutto l’ordine della trappola che esso tende contro il ruffiano; e non sono d’altro soleciti o scrupolosi che di vedere contarsi dallo schiavo al ruffiano il danaio; e ’l ruffiano, di ciò da essi convinto, si fugge da Atene, per non essere condennato d’aver corrotto lo schiavo altrui.

[CMA3]

CAPITOLO QUINTO

riprensione del sistema d’ugone grozio
ne’ libri «de iure belli et pacis»

1360E, per dimostrar ad evidenza, particolarmente contro il Grozio, quanto sia difettuoso e vada errato il suo gran sistema De iure belli et pacis, è da riflettersi che i romani, i quali senza contrasto furono sappientissimi di tal diritto sopra tutte l’altre nazioni del mondo, quelli che Livio dice «sunt quaedam belli et pacis iura», il qual motto diede il primo motivo al Grozio di meditare quell’opera incomparabile, essi sperimentarono prima privatamente con que’ plebei, contro a’ quali udimmo Aristotile nelle Degnitá che gli eroi giuravano d’esser eterni nimici; e quelle leggi, che lor avevano dato in casa, poi fuori nelle guerre diedero alle vinte nazioni. Le leggi furono queste cinque e non piú, quali in quest’opera abbiamo ritruovato:

1. le clientele di Romolo,

2. il censo di Servio Tullio,

3. il «ius nexi mancipique» della legge delle XII Tavole,

4. la legge de’ connubi,

5. e finalmente quella di comunicarsi il consolato alla plebe.

1361Perocché riducevano le provincie fiere e feroci a’ giornalieri di Romolo con mandarvi le colonie romane; — regolavano le mansuete col censo di Servio Tullio, o sia col dominio bonitario; — alla splendida e luminosa Italia, ch’era contenta d’essere nel suo seno Roma, capo del mondo, permise il dominio quiritario de’ campi con la mancipazione, o sia tradizione solenne del nodo della legge delle XII Tavole, onde furono detti i fondi «soli italici»; — a’ popoli benemeriti dentro essa Italia comunicarono il connubio e col connubio la cittadinanza, che (siccome i plebei romani, ove si facessero de’ grandi meriti) fussero capaci degli onori e del consolato, quali furon i municipi romani. [p. 250 modifica]

1362Sopra sì fatte cinque leggi essi andarono stendendo con giustizia le conquiste e ingrandendo con clemenza il romano imperio; che è quello onde doveva con sodezza di principi trattare queste cose romane il gran Carlo Sigonio con l’immensa minuta erudizione con cui n’ha scritto. Quindi s’intenda quanto il Grozio trattò il diritto della guerra e della pace assai meno della mettà e senza scienza di principi, contemplando tutto ad un colpo le nazioni dentro la societá di tutto il gener umano! Il qual errore nacque da quell’altro: ch’egli ne ragiona non co’ principi della provvedenza, come n’avevano ragionato i romani giureconsulti; la quale prima addottrinò dentro i popoli privatamente, senza saper nulla l’uno dell’altro, d’intorno a queste leggi, le quali, usciti poi fuori con le guerre, riconobbero giuste cosí i vincitori di darle, come di riceverle i vinti.