La scienza nuova seconda/Libro quarto/Sezione nona/Capitolo terzo

Sezione nona - Capitolo terzo - Corollario - Istoria fondamentale del diritto romano

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Sezione nona - Capitolo secondo Libro quarto - Sezione decima

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[CAPITOLO TERZO]

corollario
istoria fondamentale del diritto romano

952Le cose qui ragionate d’intorno alle tre spezie della ragione posson esser i fondamenti che stabiliscono la storia del diritto romano. Perché i governi debbon esser conformi alla natura degli uomini governati, come se n’è proposta sopra una degnitá; — perché dalla natura degli uomini governati escon essi governi, come per questi Princípi sopra si è dimostrato; — e ché le leggi perciò debbon essere ministrate in conformitá de’ governi e, per tal cagione, dalla forma de’ governi si debbono interpretare (lo che non sembra aver fatto niuno di tutti i giureconsulti ed interpetri, prendendo lo stesso errore ch’avevano innanzi preso gli storici delle cose romane, i quali narrano le leggi comandate in vari tempi in quella repubblica, ma non avvertono a’ rapporti che dovevano le leggi aver con gli stati per gli quali quella repubblica procedé; ond’escono i fatti tanto nudi delle loro propie cagioni le quali naturalmente l’avevano dovuto produrre, che Giovanni Bodino, egualmente eruditissimo giureconsulto e politico, le cose fatte dagli antichi romani nella libertá, che falsamente gli storici narrano popolare, argomenta essere stati effetti di repubblica aristocratica, conforme in questi libri di fatto si è ritruovata): — per tutto ciò, se tutti gli adornatori della storia del diritto romano son domandati: — Perché la giurisprudenza antica usò tanti rigori d’intorno alla legge delle XII Tavole? perché la mezzana, con gli editti de’ pretori, cominciò ad usare benignitá di ragione, ma con rispetto però d’essa legge? perché la giurisprudenza nuova, senz’alcun velo o riguardo di essa legge, prese generosamente a professare l’equitá naturale? — essi, per renderne una qualche ragione, dánno in quella grave offesa alla romana generositá, [p. 72 modifica] con cui dicono ch’i rigori, le solennitá, gli scrupoli, le sottigliezze delle parole e finalmente il segreto delle medesime leggi furon imposture de’ nobili, per aver essi le leggi in mano, che fanno una gran parte della potenza nelle cittá.

953Ma tanto sí fatte pratiche furono da ogn’impostura lontane, che furono costumi usciti dalle lor istesse nature, le quali, con tali costumi, produssero tali Stati, che naturalmente dettavano tali e non altre pratiche. Perché, nel tempo della somma fierezza del loro primo gener umano, essendo la religione l’unico potente mezzo d’addimesticarla, la provvedenza, come si è veduto sopra, dispose che vivessero gli uomini sotto governi divini e dappertutto regnassero leggi sagre, ch’è tanto dire quanto arcane e segrete al volgo de’ popoli; le quali, nello stato delle famiglie, tanto lo erano state naturalmente, che si custodivano con lingue mutole, le quali si spiegavano con consagrate solennitá (che poi restarono negli atti legittimi), le quali tanto da quelle menti balorde erano credute abbisognare per accertarsi uno della volontá efficace dell’altro d’intorno a comunicare l’utilitá, quanto ora, in questa naturale intelligenza delle nostre, basta accertarsene con semplici parole ed anche con nudi cenni. Dipoi succedettero i governi umani di Stati civili aristocratici, e, per natura perseverando a celebrarsi i costumi religiosi, con essa religione seguitarono a custodirsi le leggi arcane o segrete (il qual arcano è l’anima con cui vivono le repubbliche aristocratiche), e con tal religione si osservarono severamente le leggi; ch’è ’l rigore della civil equitá, la quale principalmente conserva l’aristocrazie. Appresso, avendo a venire le repubbliche popolari, che naturalmente son aperte, generose e magnanime (dovendovi comandare la moltitudine, ch’abbiam dimostro naturalmente intendersi dell’equitá naturale), vennero con gli stessi passi le lingue e le lettere che si dicon «volgari» (delle quali, come sopra dicemmo, è signora la moltitudine), e con quelle comandarono e scrisser le leggi, e naturalmente se n’andò a pubblicar il segreto: ch‘è ’l «ius latens», che Pomponio narra non avere sofferto piú la plebe romana, onde volle le leggi descritte in tavole, poich’eran venute le [p. 73 modifica] lettere volgari da’ greci in Roma, come si è sopra detto. Tal ordine di cose umane civili finalmente si truovò apparecchiate per gli Stati monarchici, ne’ qual’i monarchi vogliono ministrate le leggi secondo l’equitá naturale e, ’n conseguenza, conforme l’intende la moltitudine, e perciò adeguino in ragione i potenti co’ deboli: lo che fa unicamente la monarchia. E l’equitá civile, o ragion di Stato, fu intesa da pochi sappienti di ragion pubblica e. con la sua eterna propietá, è serbata arcana dentro de’ gabinetti.