La scienza nuova - Volume II/Libro II/Sezione XI/Capitolo I
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[SEZIONE UNDECIMA] [GE0C4RAFIA POETICA]
[CAPITOLO PRIMO]
DELLA GEOGRAFIA POETICA
[Nelle NDU si mostra che entro i confini della Grecia fu prima abbozzata la geo?.rafla: i Greci, uscendo dalle loro terre, trasportarono alle altre regioni le denominazioni de’ loro paesi e delle loro città: quindi la prima Asia, la prima Africa, la prima Esperia, l’India primitiva furono entro le terre de’ Greci; quindi i viaggi di Ercole, di Bacco e di altri eroi restano circoscritti entro i brevi limiti dell’orbe greco, e restano spiegate molte apparenti assurdità dei poemi di Omero {NDU, ad (’/*, e. 12). Nella óW (II, 60) si riproducono le stesse idee con qualche sviluppo, e vengono trasportate sul principio di una geografia ideale, cercata nelle leggi della mente umana, e uniforme si nella Grecia che nel Lazio e presso le altri nazioni.— Nel liassumere in questo capitolo le idee già esposte, se ne estende l’applicazione, si mostrano le apparenze e le illusioni, che ne’ tempi umani inevitabilmente alterano, scambiano, intrecciano le antiche tradizioni dei varii popoli. Evandro, già nazionale del Lazio, i)er queste illusioni fu creduto Arcade; per le stesse illusioni Enea fu fatto venire da Troia nel Lazio; e per assimilazione alcuni re di Roma furono creduti stranieri, perchè denominati col nome delle genti di cui avevano le qualità.]
Or ci rimane finalmente di purgare l’altro occhio della Storia poetica, cb’è la poetica Geografia; la quale, per quella propietà di natura umana, che noi noverammo traile Dognità i, che gli uomini le cose sconosciute e lontane, ov’essi non ne abbian avuto la vera idea o la debbano spiegar a chi non l’ha, le descrivono per somiglianze di cose conosciute e vicine, ella, nelle sue parti ed in tutto il suo corpo, nacque con picciol’idee dentro la medesima Grecia, e, coU’uscirne i Greci poi per lo mondo, s’andò ampliando nell’ampia forma nella qual ora ci è rimasta descritta. E i geografi antichi convengono in questa verità, ma poi non ne sepper far uso; i quali affermano che le antiche nazioni, por» Degn. II. 682 LIBRO SRCONDO — SEZIONE UNDECIMA — CAPITOLO PRIMO
tandosi in terre straniere e lontane, diedero i nomi natii alle città, a’ monti, a’ fiumi, colli di terra, stretti di mare, isole e promoutorii.
Nacquero, adunque, entro Grecia la parte orientale, detta Asia o India; l’occidentale, detta Europa o Esperia; il settentrione, detto Tracia o Scizia; il mezzodì, detto Libia o Mauritania; e furono cosi appellate le parti del mondo co’ nomi delle parti del picciol mondo di Grecia per la simiglianza de’ siti, ch’osservaron i Greci in quelle, a riguardo del mondo, simili a queste, a riguardo di Grecia. Pruova evidente di ciò sieno i venti cardinali, i quali, nella loro geografia, ritengono i nomi che dovettero certamente avere la prima volta dentro essa Grecia. Talché le giumente di Reso debbono ne’ lidi dell’Oceano (qual or or vedremo detto dapprima ogni mare d’interminato prospetto ^) essere state ingravidate da Zefiro, vento occidentale di Grecia 2; e pur ne’ lidi dell’Oceano (nella prima significazione, la quale testé si è detta) devon essere da Zefiro generati i cavalli d’Achille; come le giumente d’Erictonio die’ Enea ad Achille ^ essere state ingravidate da Borea, dal vento settentrionale della Grecia medesima. Questa verità de’ venti cardinali ci è confermata in un’immensa distesa, che le menti greche, in un’immensa distesa spiegandosi, dal loro monte Olimpo, dove a’ tempi d’Omei’O se ne stavano i dèi, diedero il nome al cielo stellato, che gli restò *.
Posti questi principii, alla gran penisola situata nell’oriente di Grecia restò il nome d’Asia minore, poi che ne passò il nome d’«Asia» in quella gran parte orientale del mondo ch’Asia ci restò detta assolutamente. Per lo contrario, essa Grecia, ch’era occidente a riguardo dell’Asia, fa detta «Europa», che Giove, cangiato in toro, rapi: poi il nome d’«Europa» si stese in quest’altro gran continente fin all’oceano occidentale. Dissero «Esperia» la parte occidentale di Grecia, dove dentro la quarta parte dell’orizonte sorge la sera la stella Espero: poi videro l’Italia nel
1 Si veda già p. 656, n. 5 e più oltre p. 687.
2 Si veda p. 656, n. 7.
3 IL, X, 221 sgg.
- Si veda p. 661, n. 4. DELLA GEOGRAFIA PORTICA 688
medesimo sito (a), e la chiamaron «Esperia magna»; si stesero finalmente nella Spagna del medesimo sito, e la chiamaron «Esperia ultima». I Greci d’Italia, al contrario, dovettero chiamar«Ionia» la parte a lor riguardo orientale di Grecia oltramare, e restonne il nome, tra l’una e l’altra Grecia, di «mar Ionio»: poi, per la somiglianza del sito delie due Grecie, natia ed asiatica, i Greci natii chiamaron «Ionia» la parte a lor riguardo orientale dell’Asia minore. E dalla prima Ionia è ragionevole che fusse in Italia venuto Pittagora da Samo, una dell’isole signoreggiate da Ulisse, non da Samo dell’Ionia seconda i. Dalla Tracia natia venne Marte, che fu certamente deità greca; e quindi dovette venir Orfeo, un de’ primi poeti greci teologi (&). Dalla Scizia greca venne Anacarsi, che lasciò in Grecia gli oracoli scitici, che dovetter esser simili agli oracoli di Zoroaste (che bisognò fusse stata dapprima una storia d’oracoli 2), onde Anacarsi è stato ricevuto tra
(a) ma molto maggiore di quella parte di Grecia, e la chiamarono, ecc.
(6) [CM.43J Altrimenti, s’egli è Orfeo della Sitonia, posta nello più addentrato seno di Ponto, un tanto eroe, che fu fondatore della greca umanità, vien ad essere uno scellerato traditore della sua patria, il quale scorgesse i greci argonauti a farvi la ruba del vello d’oro. Ma il primo Ponto dovett’essere il picciolo stretto di mare dello Bosforo tracio, che poi distese il nome a tutto quel mare. [Segue un brano, che in SN^ fv, posposto; e indi:] Dalla Scizia, ecc.
1 «Prima Samus fuit Ulyssica, quae et «Sanie» Straboni, et comrnunìter «Cephalenia» dieta, lonii maris insula Achaiae adiacens; quae Samus cum Ithaca et Dulichio in Ulyssis ditione fuerat^ cum ex his tribus insulis Pene lopes proci fuisse ab Homero narrentur Deinde, graecis coloniis in Asiam
minorem deductis, ex simili situ, quo Samus Vlyssica erat occidua Graeciae, insula occidua Asiae «Samus» dieta, quae celeberrima posteris mansit. Et Ionia, regio occiduae Asiae maritima, ab prima Ionia, quae fuerit occidua Graeciae maritimae ora; unde lonium mare dictuni mansit, quod occiduam Oraeciam alluit; a quo mari appellata Ionia, tractus Magnae Graeciae circa Crotonem urbem: nisi, si ita dieta sii ab Samo italica, Calabriae ulterioris oppido, nunc, Barrio teste. Crepacuore, ubi Pythagoram habitasse ferunt, illuc secum a Samo Ulyssica vocabulo comportato; quod oppidum in excellentissimi I. B. Philomarini, Roccae principis, ditione nunc est» (NDU, ad CI C. 31).
2 «Das scheint su heissen, der Mytlius von Anacharsis stelle die Geschichte der Urakel dar. Es sind iibrigens, wie auch aus dem Folgenden hervorgeht, die Sinn 684 LIBRO SECONDO — SEZIONE UNDECIMA CAPITOLO PHIM(»
gli antichissimi dèi fatidici. I quali oracoli dall’impostura poi furono trasportati in dogmi di filosofia; siccome gli Orfici ci furon supposti versi fatti da Orfeo (a), i quali, come gli oracoli di Zoroaste, nulla sanno di poetico e danno troppo odore di scuola platonica e pittagorica i. Perciò da questa Scizia, per gl’Iperborei natii 2, dovettero venir in Grecia i due famosi oracoli delfico e dodoneo, come ne dubitammo nell’Annotazioni alla Tavola cronologica 3; perchè Anacarsi nella Scizia, cioè tra questi Iperborei natii di Grecia, volendo ordinare l’umanità con le greche leggi, funne ucciso da Caduido, suo fratello *. Tanto egli profittò nella filosofia barbaresca dell’Ornio ^^ che non seppe ritruovargliele dappersè! Per le quali ragioni, quindi, dovett’essere pur scita Abari, che si dice aver scritto gli oracoli scitici, che non potèron esser altri che gli detti testé d’Anacarsi; e gli scrisse nella Scizia, nella quale Idantura, molto tempo venuto dopo, scriveva con esse cose ^: onde necessariamente è da credersi essere stati scritti da un qualche impostore, de’ tempi dopo essere state introdutte le greche filosofie. E quindi gli oracoli d’Anacarsi dalla boria de’ dotti furono ricevuti per oracoli di sapienza riposta, i quali non ci son pervenuti ’^. Zamolsci fu Geta (come Geta fu Marte) il qual, al riferire d’Erodoto, portò a’ Greci
(a) [CAfJ.3], il quale, con una sublime filosofìa, unita al popolaresco, dovette cantargli alle fiere di Grecia per ridurle all’umanità; ma questi, come gli oracoli^ ecc.
spriiche des Anacharsis bei Diogenes Laertius gemeint» (Weber). Si veda d’altronde p. 100, n. 1. > Si veda p. 72 sgg.
- Cioè: da quella parte settentrionale di Grecia, che in tempi preistorici si chiamò
«Scizia», per mezzo di quel popolo, indigeno della Grecia, in cui, in quegli stessi tempi, era dato il nome di «Iperborei».
3 Si vedano pp. 100-L
- Si veda p. 101, n. 10. Il trovarsi qui scritto «Anacarsi», e non «Abari», come
nelle Ann. alla Tav. cron., mostra che l’errore là commesso dai V. fu mera distrazione.
= Si veda p. 58, n. 3.
«Si veda p. 279, n. 2. Il concetto del V. è: non è possibile che Abari scrivesse oracoli d’indole filosofica in iscrittura alfabetica, una volta che Idantura, venuto tanto dopo di lui, si esprimeva ancora in linguaggio mutolo, con geroglifici.
’ Si veda p. 100, n. 2. DELLA GEOGRAFIA POETICA 685
il dogma dell’immortalità dell’anima i. Così da alcun’India greca dovette Bacco venire dell’indico Oriente trionfatore (da alcuna greca terra ricca d’oro poetico), e Bacco ne trionfa sopra un carro d’oro (di frumento); onde lo stesso è domatore di serpenti e di tigri, qual Ercole d’idre e lioni, come si è sopra spiegato 2. Certamente il nome, che ’1 Peloponneso serba fin a’ nostri di, di «Morea» troppo ci appruova che Perseo, eroe certamente greco, fece le sue imprese nella Mauritania natia; perchè ’1 Peloponneso tal è per rapporto all’Acaia qual è l’Affrica per rapporto all’Europa. Quindi s’intenda quanto nulla Erodoto seppe delle sue pi-opie antichità (come gliene riprende Tacidide ^), il quale narra ch’i Mori un tempo furono bianchi *, quali certamente erano i Mori della sua Grecia, la quale fin oggi si dice «Morea bianca» 5. Cosi dev’esser avvenuto che dalla pestilenza di questa
1 Non si tratta di un dio Geta, sì bene dei Geti, popolo trace, tra i quali solamente (e non già fra tutti i Greci) Zalmoxi (e non Zaniolsci) riuscì, giusta la leggenda, mediante una gherminella, a introdurre la credenza nell’immortalità, che egli aveva appresa appunto dal contatto con gli altri Greci, e nientedimeno con Pitagora» di cui un tempo sarebbe stato servo. Herod., IV, 93-90, e cfr. Platone, Charmid., p. 156 d. Strabone, VII, 5, p. 297; Diog. Laert., Vili, 2
2 Si veda p. 444.
8 Tucidide dice soltanto di non voler narrare la storia «(bg KOvqz’x.L» e «d)g Xoyoypd^oi», ma da storico (1,21,1), quantunque egli sappia bene che le cose da lui narrate, appunto perchè prive di favole, diletteranno meno i.1, 22, 4); ma né nel primo né nel secondo luogo nomina Erodoto. Senonché gli Scholia, ad 11. ce, hanno, rispettivamente: «AoyoYpot^ot’] atvtxTSxat xòv ’HpóSoxov», e «Tó |j,yj (lu9(55sg aùxóóv] tzóXvì upòg ’HpóSoxov [aìvtxxsxai]». Ma il V., forse, pensava al passo riferito a p. 102, n. 2
- Erodoto non afferma in alcuna parte che i Mori una volta fossero bianchi. Semplicemente
Plinio, N. H., V, 8, dice: «Interiori autem amhitu Africae ad meridiem versus, superque Gaetulos, intervenientibiis desertis, primi omnium Libiiaegyptiiy deinde Leucaethiopes habitant». Al che l’ilarduin postilla: «AsuxatGiÓTieg, albi Aethiopes, Plolemeo, lib IV, cap. 6, et Agalliemero, Geogr., lib. /, cap. 5; nempe quia ceteris candidiores’sunt». — Cfr. anche Ezechiele Spanheim nel suo cemento a Callimaco, a proposito del v. 11 dell’inno a Cerere («sax’ STtì xtbg [JiéXavag [AìGtOTcag] xai òncf. xà ypóosa |jiàXa»), in Callimachi Hymni, epigrammata et fragmenta, ecc., a cura di Gio. Augusto Ernesti (Lugd. Batavorum, 1701), II p. 754.
’ Il nome di «Morea j fu dato al Peloponneso nel medio evo, al tempo della quarta crociata, a cau.sa del gran numero di gelsi mori cln’vi fiorivano. 686 LIBRO SECONDO — SEZIONE UNDECIMA — CAPITOLO PRIMO
Mauritania {a) avesse Eusculapio coii la sua arte preservato la sua isola di Coo; che, se la doveva preservare da quella de’ popoli di Marocco, egli Farebbe dovuto preservare da tutte le pestilenze del mondo. In cotal Mauritania dovett’Ercole soccombere al peso del cielo, che ’1 vecchio Atlante era già stanco di sostenere: che dovette dapprima dirsi cosi i il monte Ato, che, per un collo di terra, che Serse dappoi forò 2, divide la Macedonia dalla Tracia, e vi restò pur quivi, traila Grecia e la Tracia, un fiume appellato Atlante ^; poscia, nello stretto di Gibilterra, osservati i monti AbUa e Calpe cosi per uno stretto di mare dividere l’Affrica dall’Europa, furono detti da Ercole ivi piantate colonne, che, come abbiamo sopra detto, sostenevano il cielo, e ’1 monte nell’Affrica quivi vicino fu detto «Atlante» *. E ’n cotal
(a) (dove fin a’ di nostri dura l’indole di tal cielo maligna, che quasi ogni anno vi sia la peste) avesse^ ecc.
^ Cioè, «Atlante».
2 Herod., vii, 21 sgg. Mache l’Athos si chiamasse originariamente «Atlante» è, naturalmente, congettura vichiana.
3 Heeod., IV, 49.
- Si vedano p. 323, n. 5 e p. 659. A maggior chiarimento, valga ancora questo
passo della SN^, II, 60: «I Greci, quando poi videro lo stretto di Gibilterra fra due alti monti, Abila e Calpe, perchè osservarono così l’Europa divisa dall’Africa da picciolo stretto di mare, com’era nel mondo di Grecia l’Attica dal Peloponneso se non per un collo di terra somigliante, sopra questa somiglianza de’ siti
spiegarono naturalmente le loro idee, e con le idee stesero le loro prime voci...., e dissero «Esperia» la Spagna... e «Mauritania» tal parte d’Africa...; e ’1 monte Abila e Calpe dovettero appellare «Atlante», diviso in due colonne, che poi si dissero «di Ercole», che succede ad Atlante nel peso di sostenere il cielo», ossia di «sostenere la religione con un’altra spezie di divinazione». Infatti, continua il V., «gli efori di Sparta, capitale del Peloponneso, indovinavano dal tragitto delle stelle cadenti la notte». Ora questa astronomia volgare non potè certamente provenir loro dagli Eraclidi, e quindi da Ercole, che non «fu mai spiegato da’ mitologi che avesse perpetuata alcuna sapienza riposta de’ suoi più antichi». Deve dunque trattarsi di una importazione straniera. Donde la legittima congettura che «nel Peloponneso venne alcuna colonia d’Oriente (come da Pelope Frigio ebbe certamente il nome di Peloponneso), che vi portò questa sorte d’indovinare propia degli orientali: perchè tutti gli altri Greci indovinavano dalla folgore e dal tuono; con la sola differenza da’ Latini, che le parti destre a quelli erano a questi sinistre, e le sinistre al contrario». Il latto dunque che gli Eraclidi fecero propria la divinazione insegnata loro dai Frigi, venne poi rappresentato mitologicamente con Ercole che succede ad Atlante nel peso di sostenere il cielo, ossia gli dèi della propria nazione, mercè la divinazione. Pagina:Vico - La scienza nuova, 2, 1913.djvu/393 Pagina:Vico - La scienza nuova, 2, 1913.djvu/394 Pagina:Vico - La scienza nuova, 2, 1913.djvu/395 Pagina:Vico - La scienza nuova, 2, 1913.djvu/396 DELLA GEOGRAFIA POETICA 691
dato un segreto contro le stregonerie di Circe i, com’abbiamo sopra osservato), in un giorno fusse andato da’ Gimmerii 1 quali restarono cosi detti 2 a vedere l’inferno, e nello stesso giorno 3 fusse ritornato da quella * in Circei 5, ora detto Monte Circello, che non è molto distante da Cuma (a).
Con questi stessi principii della Geografia poetica greca si possono solvere molte grandi difficultà della storia antica dell’Oriente, ove son presi per lontanissimi popoli, particolarmente verso settentrione e mezzodì, quelli che dovettero dapprima esser posti dentro l’Oriente medesimo.
Perchè questo, che noi diciamo della Geografia poetica greca (è), si truova lo stesso nell’antica geografia de’ Latini. Il Lazio dovette dapprima essere (e) ristrettissimo, che, per dugencinquanta anni di regno, Roma manomise ben venti popoli e non distese più che venti miglia, come sopra abbiara detto ^, 1* imperio (d). L’Italia fu certamente circoscritta da’ confini della Gallia cisalpina (e) e da quelli di Magna Grecia: poi, con le romane conquiste, ne distese il nome nell’ampiezza nella quale tuttavia dura. Cosi il mar toscano dovett’esser assai picciolo nel tempo ch’Orazio Coclite solo sostenne tutta Toscana sul ponte:
(a) [CMJ.3] IV. — Che l’oracolo dodoneo è posto da Omero tra i Tesproti: dappoi i Greci per la simiglianza del culto l’avessero osservato e detto in Egitto. — Con questi, ecc.
(6) ci si conferma, quantunque per picciolissima parte, ma con forza che uguaglia il tutto, con quella de’ Latini, ecc.
(e) un picciol distretto di minute città, che, ecc.
{d) e per l’acquisto di Corioli diede a Marcio il titolo di Coriolano, com’a conquistatore d’una proviacia. L’Italia, ecc.
(e) or detta Lombardia, e da quelli, ecc.
1 Od., K, 275 sgg.
2 Cioè, non già presso i Cimmerii originari del settentrione della Grecia congetturati dal V., ma presso quelli che poi, per le ragioni avanti esposte, restarono detti «Cimmerii».
3 Vale a dire, nelle stesse ventiquattr’ore: cf r. Od., A, 12-3; M, 7.
- Cioè: presso quella, presso Circe.
^ Omero, non parla mai di Circei: è il V. che qui vuol ricordare l’opinione, che identificava la favolosa isola Eea col promontorio Circeo. 6 Si veda p. 91, n. 3. Pagina:Vico - La scienza nuova, 2, 1913.djvu/398 Pagina:Vico - La scienza nuova, 2, 1913.djvu/399 Pagina:Vico - La scienza nuova, 2, 1913.djvu/400 Pagina:Vico - La scienza nuova, 2, 1913.djvu/401 696 LIBRO SECONDO — SEZIONE UNDECIMA — CAPITOLO PRIMO
perciò scambiarono iJ loro dio Fidio con l’Ercole de’ Greci, e, per lo giuramento natio «medius fidius», introdussero <c mehercule», «edepol», «mecastor». ^ Dipoi, per quella boria, tante volte detta, c’hanno le nazioni di vantar origini romorose straniere, particolarmente ove ne abbian avuto da’ loro tempi barbari alcun motivo di crederle (siccome, nella barbarie ritornata, Gian Villani narra Fiesole essere stata fondata da Atlante ^, e che in Germania regnò un re Priamo troiano 3), perciò i Latini volentieri sconobbero Fidio, vero lor fondatore, per Ercole, vero fondatore de’ Greci, e scambiarono il carattere de’ loro pastori poeti con Evandro d’Arcadia. In terzo luogo, le nazioni, ov’osservano cose straniere, che non possono certamente spiegare con voci loro natie, delle straniere necessariamente si servono. Quarto e finalmente, s’aggiugne la propietà de’ primi popoli, che sopra nella Logica poetica * si è ragionata, di non saper astrarre le qualità da’ subbietti, e, non sappiendole astrarre, per appellare le qualità appeUavan essi subbietti; di che abbiamo ne’ favellari latini troppo (a) certi argomenti. Non sapevano i Romani cosa fusse lusso: poi che l’osservarono ne’ tarantini, dissero «tarantino» per (6) «profumato». Non sapevano cosa fussero stratagemmi militari: poi che l’osservarono ne’ Cartaginesi, gli dissero «punicas artes» {e). Non sapevano cosa fusse fasto: poi che l’osservar ono ne’ Capovani, dissero «supercilitiin campanicum» per dire «fastoso» o «superbo». Cosi Numa ed Anco furon «sabini». perchè non sapevano dire «religioso», nel qual costume eran insigni i Sabini. Cosi Servio Tullio fu «greco», perchè non sapevano dir «astuto», la qual idea dovettero mutoli conservare •’^, finché poi conobbero i Greci della città da essi vinta ch’or noi diciamo;
(a) freschi e ’n conseguenza trop[)0 certi, ecc.
(6) «sfoggioso» e «profumato», ecc.
(e) per «maliziose» e «fraudolenti». Non sapevano, ecc.» Si veda p. 529, n. 2.
2 Storie fiorentine, 1,6-7, ove, per altro, non si parla di Atlante, ma di Attalante, pronipote di Giafet.
3 Ivi, 1, 17.
- Si veda p. 254 sg.
^ Cioè: senza avere alcuna parola per indicarla. DELLA GEOQBAPIA POETICA 697
e fu detto anco «servo», perchè non sapevano dir «debole» (che rillasciò il dominio bonifcario de’ campi a’ plebei con portar loro la prima legge agraria, come sopra si è dimostrato i, onde forse funne fatto uccider da’ padri): perchè l’astuzia è propietà che siegue alla debolezza, i quali costumi erano sconosciuti alla romana apertezza e virtù. Che, invero, è una gran vergogna che fanno alla romana origine, e che di troppo offendono la sapienza di Romolo fondatore, non aver avuto Roma dal suo corpo eroi da creai- vi re, infino che dovette sopportare il regno d’uno vii schiavo: onore che gli han fatto i critici occupati sugli scrittori 2; somigliante all’altro, che segui appresso, che, dopo aver fondato un potente imperio nel Lazio e difesolo da tutta la toscana potenza, han fatto andar i Romani come barbari eslegi per l’Italia, per la Magna Grecia e per la Grecia oltramare, cercando leggi da ordinare la loro libertà, per sostenere la riputazione alla favola della Legge delle XII Tavole venuta in Roma da Atene ^.
1 Politica poetica, c. I. in fine (p. 519 sgg.) e e. III.
2 Cioè: gli eruditi, clie prendono per moneta contante tutto ciò che trovano in Livio in Dionigi.
’ Si veda per tutto ciò, nell’Appendice, il Ragionamento primo.