La scienza nuova - Volume I/Libro II/Sezione II/Capitolo I

Capitolo primo - Della logica poetica

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Libro II - Sezione II Libro II - Capitolo II
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[capitolo primo]

della logica poetica1




[Come la prima Metafisica fu la poesia, l’espressione poetica fu la prima Logica, la favola fu la prima lingua. Il primo linguaggio non fu dedotto razionalmente dalla proprietà delle cose, ma si espresse fantasticamente per caratteri divini: la prima lingua quindi fu la Mitologia. Donde la conseguenza che l’etimologia ideale delle parole debba essere derivata dalle prime allegorie poetiche. Questo concetto della prima Logica è tolto quasi letteralmente dalla SN1 (III, ce. 1, 3, 22; Tav. delle tradiz. volgari, % 12) e si vede iniziata con la scoperta della prima lingua divina nelle Note al DU (CI2, c. 23)].

Or perchè quella ch’è Metafisica in quanto contempla le cose per tutti i generi dell’essere, la stessa è Logica in quanto considera le cose per tutti i generi di significarle; siccome la poesia è stata sopra ^ da noi considerata per una Metafisica poetica per la quale i poeti teologi immaginarono i corpi essere per lo più divine sostanze, così la stessa poesia or si considera come Logica poetica per la qual le significa.

«Logica» vien detta dalla voce «λóyoς», che prima e propiamente significò «favola», che si trasportò in italiano «favella»3 [p. 246 modifica](e la favola de’ Greci si disse anco «μῦθος», onde vien a’ Latini «mutus»4); la quale ne’ tempi mutoli nacque mentale, che in un luogo d’oro dice Strabone5 essere stata innanzi della vocale sia dell’articolata: onde «λóγoς» significa e «idea» e «parola». E convenevolmente fu così dalla divina Provvedenza ordinato in tali tempi religiosi, per quella eterna propietà: ch’alle religioni più importa (a)6 meditarsi che favellarne; onde tal prima lingua ne’ primi tempi mutoli7 delle nazioni, come si è detto nelle Degnità8, dovette cominciare con cenni atti corpi ch’avessero naturali rapporti all’idea. Per lo che «λóγoς» «verbum» significò anche «fatto» agli Ebrei; ed a’ Greci significò anche [p. 247 modifica]«cosa», come osserva Tommaso Gatachero, De instrumenti stylo9. E pur «μ̀υθος» ci giunse diffinita «vera narratio»10, o sia «parlar vero», che fu il parlar naturale che Platone prima e dappoi Giamblico (a)11 dissero essersi parlato una volta nel mondo. I quali, come vedemmo nelle Degnità12, perchè ’l dissero indovinando, avvenne che Platone e spese vana fatiga d’andarla truovando nel Cratilo, e ne fu attaccato da Aristotile e da Galeno; perchè cotal primo parlare, che fu de’ poeti teologi, non fu un parlare (b)13 secondo la natura di esse cose (quale dovett’esser la lingua santa ritruovata da Adamo, a cui Iddio concedette la divina onomathesia14 ovvero imposizione de’ nomi alle cose secondo la natura di ciascheduna), ma fu un parlare fantastico per sostanze animate, la maggior parte immaginate divine (c)15 Cosi16 Giove, Cibele o Berecintia, Nettunno, per cagione d’esempli, intesero e, dapprima mutoli additando, spiegarono esser esse sostanze del cielo, della terra, del mare, ch’essi immaginarono animate divinità, e perciò con verità di sensi gli cre[p. 248 modifica]devano dèi; con le quali tre divinità, per ciò ch’abbiam sopra detto de’ caratteri poetici17, spiegavano tutte le cose appartenenti al cielo, alla terra, al mare; e così, con l’altre, significavano le spezie dell’altre cose a ciascheduna divinità appartenenti, come tutti i fiori a Flora, tutte le frutte a Pomona. Lo che noi pur tuttavia facciamo, al contrario, delle cose dello spirito, come delle facilità della mente umana, delle passioni, delle virtù, de’ vizi, delle scienze, dell’arti; delle quali formiamo idee per lo più di donne, ed a quelle riduciamo tutte le cagioni, tutte le propietà e ’nfine tutti gli effetti ch’a ciascuna appartengono; perchè ove vogliamo trarre fuori dall’intendimento cose spirituali, dobbiamo essere soccorsi dalla fantasia per poterle spiegare e come pittori fingerne umane immagini. Ma essi poeti teologi, non potendo far uso dell’intendimento, con uno più sublime lavoro tutto contrario diedero sensi e passioni, come testé si è veduto, a’ corpi, e vastissimi corpi quanti sono cielo, terra, mare; che poi, impicciolendosi così vaste fantasie e invigorendo l’astrazioni, furono presi per piccioli loro segni. E la metonimia spose in comparsa di dottrina l’ignoranza (a)18 di queste finor seppolte origini di cose umane: e Giove ne divenne sì picciolo e sì leggieri ch’è portato a volo da un’aquila; corre Nettunno sopra un dilicato cocchio per mare; e Cibele è assisa sopra un lione.

Quindi le mitologie devon essere state i propi parlari delle favole (che tanto suona tal voce); talché essendo le favole, come sopra si è dimostrato19, generi fantastici, le mitologie devon essere state le loro propie allegorie. Il qual nome, come si è nelle Degnità20 osservato, ci venne diffinito «diversiloquium», in quanto, con identità non di proporzione ma, per dirla alla scolastica, di predicabilità, esse significano le diverse spezie o i diversi21 individui compresi sotto essi generi; tanto che devon avere una significazione univoca, comprendente una ragion [p. 249 modifica]comune alle loro spezie o individui (come d’Achille, un’idea di valore comune a tutti i forti; come d’Ulisse, un’idea di prudenza comune a tutti i saggi); talché sì fatte allegorie debbon essere l’etimologie de’ parlari poetici, che ne dassero le loro origini tutte univoche, come quelle de’ parlari volgari lo sono più spesso analoghe (a)1 E ce ne giunse pure la diffinizione d’essa voce «etimologia», che suona lo stesso che «veriloquium»; siccome essa favola ci fu diffinita «vera narratio» (b)2 3.

  1. (a) quali contese Cesare esserlo ne’ suoi libri De analogia, che scrisse contro Catone22, che si era attenuto alla parte opposta ne’ libri De originibus; e ce ne giunse, ecc..
    1. Intorno, o meglio contro questo capitolo c’è un’intera opera: Apologia sopra il terzo principio della Scienza nuova del sig. d. G. B. V. In cui egli tratta dell’origine di ogni lingua articolata e della mutola significativa, divisa in quattordici lettere, Nelle quali si fa vedere che quanto contiene il sudetto principio, tutto sia, così per filosofia come per istoria sacra e profana, erroneo e falso. Opera del sig. D. Damiano Romano avvocato napoletano. Dedicata all’illustriss. signore il sig. marchese don Carlo Danza, presidente del S. Consiglio e della regal Camera di S. Chiara (In Napoli, Per Serafino Persile regio stampatore, 1749).
    2. Si veda p. 212 sgg.
    3. Romano, op. cit., p. 163 sg.: «Non è vero... che «fabula» restò agl’Italiani per significare «favella». Quantunque alcuni pochi Latini si fossero serviti del verbo «fabulor» invece di «loquor» [e si citano Terenzio e Livio], pur nondimeno giamai venne in testa agl'Italiani di servirsi della voce «favola» per significare «favella».— Ma il V. forse voleva dire soltanto che «favella» deriva da «fabella»; etimologia cosi ovvia che nessuno, credo, gli può dar torto.
    4. Etimologia in opposizione alle fonti latine. Cfr. infatti Non. Marc, ad v. (p. 9): «Mutus» onomatopœia est incerta vocis, quasi mugitus. Nam mutus sonus est proprie qui intellectum non habet». — Lunghe discettazioni fanno a questo proposito il Romano, passim, e il Garofalo, p. 152.
    5. «Strabone non afferma che la favella mentale fosse stata innanzi della vocale articolata: egli (I, p. 69) discorre della elocuzione, della orazione in genere, della dizione poetica e prosaica, della rapsodia, della tragedia e della commedia, del parlare ornato e rettorico» (Garofalo, l. c).
    6. (a) meditarle e tacitamente custodirle che favellarne, ecc.
    7. Nella Lettera 1, della quale si può arguire il tono dal titolo (Giustifica l’autore perchè abbia posto il V. nel novero degli scrittori plagiari, e perchè non abbia fatto conto del titolo ampolloso della di lui opera: con questa occasione ancora dimostra che il di lui principio non sia nuovo, ma vecchio e rancido), il Romano fa questo lungo elenco di autori classici cui il V. avrebbe rubato nel formolare il suo principio delle lingue mute: Diod. Sic, I, 8; Cicer., Pro Sext.; Vitruv., De architect.; Hor., Sat., I, 3; Lucr., V, 102 sgg.; Plat., Crat., pasim; Latt., Div. inst., VI, 10. Ma, dice il Romano nella Seconda lettera, p. 26, «evvi anche di più: evvi che lo stesso sistema da moltissimi autori del XVI e XVII secolo è stato nelle lor opere rapportato e scritto». E qui un secondo elenco: Guglielmo Postello, De originibus et de omnium linguarum. origine, notis et consistentia; Stefano Broust, De quatuor hominis novissimis et de origine et variatione linguarum, Andrea Bachmann, De linguis; Tommaso Bangio, De ortu tot in orbe linguarum; Enrico Scevio, De origine et de confusione linguarum; Giovanni Worsth, De lingua omnium prima; «gli accademici inglesi nella loro storia universale»; Agostino Calmet, Dissertationes, I; Stefano Morino, Exercitationes de linguis; Puffendorf, De iur. nat. et gent., IV, 1, s 4, e chi più ne ha più ne metta. Per fortuna quest’elenco di pretesi plagiati dal V. è molto più breve di quello dei non meno pretesi plagiari: sicché il filosofo napoletano resta sempre in credito.
    8. Degn. LVII.
    9. Tomæ Gatakeri De novi istrumenti stylo Dissertatio, Qua viri doctissimi Sebastiani Pfochenii de lingua greca Novi Testamenti puritate, In qua Hebraismis, qui vulgo finguntur, qam (sic) plurimis larva detrahi dicitur; Diatribe ad examen revocatur, Scriptorumqe qȃ sacrorum qȃ profanorum, loca aliquam multa obiter explicantur atqe illustrantur, lib. I, c. 14, in Opera critica (Traiecti ad Rhenum, Ap. Fr. Halman, Guil. vande Water, Ant. Schouten, MDCXCVIII), coll. 89-90.— Il G., peraltro, non fa se non citare (per indi confutare) «Pfochenii sect. 54, qa contendit τὸ ρῆμα pro «re» a Luca, c. I, v. 37, usurpatum tam, Græcorum qam et Hebraisantium esse; idqe hac ratione subnixus,qia λὸγον et ̌επων Graeci autores sic usurparint».
    10. Romano, op. cit., pp. 156-7: «Non è vero che gli Greci usarono la voce «μ̀υθος» per significare «una vera narrazione»... Non potrà mai il V. produrre a suo favore la testimonianza di qualche greco scrittore antico.... Appena se si rivolge all’età più fresca di Roma,.... ritroverà qualche autore latino, il quale col nome di «favola» una «vera narrazione» espresse. Terenzio infatti [Hecyra, 620-1] le adattò questo senso: «Nos fabula sumus senex et anus» [propriamente: «postremo nos iam fabulæ | Sumus, Phamphile, «Senex atque Anus»]; e lo segui Giovenale, allor che cantò [I, 145]: «Ic nova nec tristis per cunctas fabula cœnas».
    11. (a) ed Origene, ecc
    12. Degn. LVII e note corrispondenti.
    13. (b) per sostanze naturali, o animate o inanimate, quale, ecc.
    14. Gen., II, 19-20.
    15. (c) [CMA3] prima con cenni o con corpi simili, appresso con segni dipinti e finalmente [SN2] con voci articolate. Così Giove, ecc..
    16. Il V. sottintende il soggetto: «i poeti teologi».
    17. Si veda p. 213.
    18. (a) de’ gramatici di queste, ecc.
    19. Si veda p. 218.
    20. Degn. XLIX.
    21. All’accuratissimo Weber non isfuggì che «im Originale, auch der Neapler Ausgabe, steht durch einen Druckfehler: «i indiversi individui». — Ma l’autografo ha «diversi», come d’altronde corregge, senz’avvertire, il Ferrari.
    22. I due libri dispersi De analogia, dedicati a Cicerone, non furono scritti contro Catone. L’errore del V. derivò forse dall’avere frettolosamente letto un passo di Svetonio (Iul., 56): «Reliquit et De analogia libros duo» et Anticatones totidem».
  2. (b) [CMA4] Talché essendo l’etimologie quelle che ne danno l’origini delle voci, e le favole furono le prime voci ch’usò la gentilità, le mitologie poetiche sono appunto quelle che qui noi trattiamo, che ne danno le vere origini delle favole. [SN2] questa è la Periermenia, o interpetrazione dei nomi; parte dì questa Logica poetica, dalla quale doveva quella di Aristotile incominciare.
  3. Come probabile fonte del V. in quest’ultimo capoverso il Garofalo, p. 155 n., addita (traendo anche lui la conseguenza che il V. sia plagiario) due brani di Ermanno von der Hardt, Detecta mythologia Græcorum (Lipsiae, 1736), præf.; brani che riferisco a semplice titolo di curiosità, giacché mi pare difficile che il V., ch’era sempre così lieto di trovare in altri scrittori, magari interpetrandoli a suo modo, un addentellato qualsiasi per citarli a sostegno delle sue teorie (cfr. Croce, op. cit., cap. 153), abbia avuto conoscenza di questo libro, che non sono riuscito a trovare in nessuna pubblica biblioteca napoletana.— «Fabulis scatet orbis... Mythologia, historia symbolica. Perelegantes mythi ex antiqua historia. Prædulcis historia in argutis mythis... Mythus elegans historia». — «Fabulæ vox quædam honesta et civilis pro «recensione». Historia fabula erat. Confabulari, sermocinari. Ætas degener in vitium traxit voces et res honorificas. Fabulas dixit figmenta. Externa species, figurarum usus, ficta et piota, unice considerata, neglecto scopo latente, unicum genuit «fabulæ» nomen. Fabula itaque pro vulgi iudicio et formaforis apparente: historia pro scriptorum scopo et sensu latente [basta questa frase a dimostrare la profonda differenza che è tra le idee del v. Hardt e quelle del V., che escludeva recisamente ogni sensus latens, cfr. Croce, op. cit., cap. IV]. Ovidii fabulæ, Metamorphoses, externo conspectu scena; sed pr scopo pœtæ historiæ sunt, Græciæ præsertim rerumpublicarum in Græcia mutationes, incrementa, fœdera bella, transactiones, gentium migrationes, colonica. Sic in fabula veritas, quæ colore adumbrata! umbra et color fictio, verità corpus verum sub veste pietà. Quandoquidem ergo et Græcia, sui per tempora, per fata, per bella, per studia nova, oblila, posteritas, nihil nisi umbram conspiciens, veri ignara, non nisi fabulas in ore habere cœpit».