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246 libro secondo — sezione seconda — capitolo primo

(e la favola de’ Greci si disse anco «μῦθος», onde vien a’ Latini «mutus»1); la quale ne’ tempi mutoli nacque mentale, che in un luogo d’oro dice Strabone2 essere stata innanzi della vocale sia dell’articolata: onde «λóγoς» significa e «idea» e «parola». E convenevolmente fu così dalla divina Provvedenza ordinato in tali tempi religiosi, per quella eterna propietà: ch’alle religioni più importa (a)3 meditarsi che favellarne; onde tal prima lingua ne’ primi tempi mutoli4 delle nazioni, come si è detto nelle Degnità5, dovette cominciare con cenni atti corpi ch’avessero naturali rapporti all’idea. Per lo che «λóγoς» «verbum» significò anche «fatto» agli Ebrei; ed a’ Greci significò anche



    «fabulor» invece di «loquor» [e si citano Terenzio e Livio], pur nondimeno giamai venne in testa agl'Italiani di servirsi della voce «favola» per significare «favella».— Ma il V. forse voleva dire soltanto che «favella» deriva da «fabella»; etimologia cosi ovvia che nessuno, credo, gli può dar torto.

  1. Etimologia in opposizione alle fonti latine. Cfr. infatti Non. Marc, ad v. (p. 9): «Mutus» onomatopœia est incerta vocis, quasi mugitus. Nam mutus sonus est proprie qui intellectum non habet». — Lunghe discettazioni fanno a questo proposito il Romano, passim, e il Garofalo, p. 152.
  2. «Strabone non afferma che la favella mentale fosse stata innanzi della vocale articolata: egli (I, p. 69) discorre della elocuzione, della orazione in genere, della dizione poetica e prosaica, della rapsodia, della tragedia e della commedia, del parlare ornato e rettorico» (Garofalo, l. c).
  3. (a) meditarle e tacitamente custodirle che favellarne, ecc.
  4. Nella Lettera 1, della quale si può arguire il tono dal titolo (Giustifica l’autore perchè abbia posto il V. nel novero degli scrittori plagiari, e perchè non abbia fatto conto del titolo ampolloso della di lui opera: con questa occasione ancora dimostra che il di lui principio non sia nuovo, ma vecchio e rancido), il Romano fa questo lungo elenco di autori classici cui il V. avrebbe rubato nel formolare il suo principio delle lingue mute: Diod. Sic, I, 8; Cicer., Pro Sext.; Vitruv., De architect.; Hor., Sat., I, 3; Lucr., V, 102 sgg.; Plat., Crat., pasim; Latt., Div. inst., VI, 10. Ma, dice il Romano nella Seconda lettera, p. 26, «evvi anche di più: evvi che lo stesso sistema da moltissimi autori del XVI e XVII secolo è stato nelle lor opere rapportato e scritto». E qui un secondo elenco: Guglielmo Postello, De originibus et de omnium linguarum. origine, notis et consistentia; Stefano Broust, De quatuor hominis novissimis et de origine et variatione linguarum, Andrea Bachmann, De linguis; Tommaso Bangio, De ortu tot in orbe linguarum; Enrico Scevio, De origine et de confusione linguarum; Giovanni Worsth, De lingua omnium prima; «gli accademici inglesi nella loro storia universale»; Agostino Calmet, Dissertationes, I; Stefano Morino, Exercitationes de linguis; Puffendorf, De iur. nat. et gent., IV, 1, s 4, e chi più ne ha più ne metta. Per fortuna quest’elenco di pretesi plagiati dal V. è molto più breve di quello dei non meno pretesi plagiari: sicché il filosofo napoletano resta sempre in credito.
  5. Degn. LVII.