La scienza nuova - Volume I/Libro II/Sezione II/Capitolo II

Capitolo secondo - Corollari d’intorno a’ tropi, mostri e trasformazioni poetiche

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Capitolo secondo - Corollari d’intorno a’ tropi, mostri e trasformazioni poetiche
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[capitolo secondo]

corollari d’intorno a’ tropi, mostri e trasformazioni
poetiche




[Le figure della prima Logica furono quelle della poesia, i tropi, e specialmente la metafora, che forma le lingue col primo lavoro dell’animazione poetica (CI2, c. 12):— la metonimia, che dà nome alle cose dalle idee più particolari (ibid. e SN1, III, c. 24);— la sineddoche, che indica le cose dalla parte più appariscente, ibid.); — i mostri, nati dalla povertà del primo linguaggio, incapace d’indicare le qualità con nomi astratti (CI2, c. 12, notc. §14; SN, III, cc. 9, 14); — la metamorfosi, nata dall’incapacità delle lingue d’indicare il cambiamento (SN1, V, c. 7). — L’origine di queste figure, già accennate nel DU e nella SN1, ora nuovamente meditata sul concetto d’una Logica primitiva, include la dimostrazione che il linguaggio poetico nacque istintivamente dalle naturali necessità e non fu creato dalla riflessione (CI1,cc. 1, 12). In questo capitolo il V. parla per la prima volta dell’ironia, che sorge assai tardi nella storia del linguaggio, perchè suppone la riflessione].


Di questa Logica poetica sono corollari tutti i primi tropi, de’ quali la più luminosa e, perchè più luminosa, più necessaria e più spessa è la metafora, ch’allora è vieppiù lodata quando alle cose insensate ella dà senso e passione, per la Metafisica sopra qui ragionata1; ch’i primi poeti dieder a’ corpi l’essere di sostanze animate, sol di tanto capaci di quanto essi potevano, cioè di senso e di passione, e sì ne fecero le favole. Talché ogni metafora si fatta vien ad essere una picciola favoletta. Quindi se ne dà questa critica d’intorno al tempo che nacquero nelle lingue: che tutte le metafore portate con simiglianze prese da’ corpi a significare lavori di menti astratte debbon essere de’ tempi ne’ quali s’eran incominciate a dirozzar le filosofie; lo che si dimostra da ciò: che in ogni lingua le voci ch’abbisognano all’arti colte ed alle scienze riposte hanno contadinesche le lor origini. Quello è degno d’osservazione: che ’n tutte le lingue la maggior parte dell’ [p. 251 modifica]espressioni d’intorno a cose inanimate sono fatte con trasporti del corpo umano e delle sue parti e degli umani sensi e dell’umane passioni: come capo, per cima o principio; fronte, spalle, avanti e dietro; occhi delle viti e quelli che si dicono «lumi ingredienti» delle case; bocca, ogni apertura; labro, orlo di vaso o d’altro; dente d’aratro, di rastello, di serra, di pettine; barbe, le radici; lingua di mare; fauce o foce di fiumi o monti; collo di terra; braccio di fiume; mano, per picciol numero; seno di mare, il golfo; fianchi e lati, i canti; costiera di mare; cuore, per lo mezzo (ch’«umbilicus» dicesi da’ Latini); gamba o piede di paesi, e piede per fine; pianta per base sia fondamento; carne, ossa di frutte; vena d’acqua, pietra, miniera; sangue della vite, il vino; viscere della terra; ride il cielo (a)2, il mare; fischia il vento; mormora l’onda; geme un corpo sotto un gran peso; e i contadini del Lazio dicevano «sitire agros», «laborare fructus», «luxuriari segetes»; e i nostri contadini «andar in amore le piante», «andar in pazzia (b)3 le viti», «lagrimare gli orni»; ed altre che si possono raccogliere innumerabili in tutte le lingue. Lo che tutto va di séguito a quella Degnità4: che l’uomo (c)1 ignorante si fa regola dell’universo, siccome negli esempli arrecati egli di sé stesso ha fatto un intiero mondo. Perchè come la Metafisica ragionata insegna che «homo intelligendo fit omnia», cosi questa Metafisica fantasticata dimostra che «homo non intelligendo fit omnia»; [p. 252 modifica]e forse con più di verità detto questo che quello, perchè l’uomo con l’intendere spiega la sua mente e comprende esse cose, ma col non intendere egli di sé fa esse cose e col transformandovisi lo diventa.

II

Per cotal medesima Logica, parto di tal Metafisica, dovettero i primi poeti dar i nomi alle cose dall’idee più particolari e sensibili; che sono i due fonti, questo della metonimia e quello della sineddoche. Perocché la metonimia degli autori per l’opere nacque perchè gli autori erano più nominati che l’opere; quella de’ subbietti per le loro forme ed aggiunti nacque perchè, come nelle Degnità2 abbiamo detto, non sapevano astrarre le forme e la qualità da’ subbietti; certamente quella delle cagioni per gli di lor effetti sono tante picciole favole, con le quali le cagioni s’immaginarono esser donne vestite de’ lor effetti, come sono la Povertà brutta, la Vecchiezza trista, la Morte pallida.

III

La sineddoche passò in trasporto poi con l’alzarsi i particolari agli universali o comporsi le parti con le altre con le quali facessero i lor intieri. Cosi «mortali» furono prima propiamente detti i soli uomini, che soli dovettero farsi sentire mortali. Il «capo», per l’«uomo» (a)3 o per la «persona», ch’è tanto frequente in volgar latino, perché dentro le boscaglie vedevano di lontano il solo capo dell’uomo; la qual voce «uomo» è voce astratta, che comprende come in un genere filosofico il corpo e tutte le parti del corpo, la mente e tutte le facultà della mente, l’animo e tutti gli abiti dell’animo. Cosi dovette avvenire che «tignum» e «culmen» significarono con tutta propietà «travicello» e «paglia», nel tempo [p. 253 modifica]delle pagliare; poi, col lustro delle città, significarono tutta la materia e ’l compimento degli edifìci. Cosi «tedum» per l’intiera «casa», perchè a’ primi tempi bastava per casa un coverto. Cosi «puppis» per la «nave», che, alta, è la prima a vedersi da’ terrazzani; come a’ tempi barbari ritornati si disse «una vela» per «una nave». Cosi «mucro» per la «spada», perchè questa è voce astratta e come in un genere comprende pomo, elsa, taglio e punta; ed essi sentirono la punta, che recava loro spavento. Cosi la materia per lo tutto formato, come «il ferro» per (a) 4 «la spada», perchè non sapevano astrarre le forme dalla materia. Quel nastro di sineddoche e di metonimia:

Tertia messis erat5

nacque senza dubbio da necessità di natura, perchè dovette correre assai più di mille anni per nascere traile nazioni questo vocabolo astronomico: «anno»; siccome nel contado fiorentino tuttavia dicono: «abbiamo tante volte mietuto» per dire «tanti anni». E quel gruppo di due sineddochi e d’una metonimia:

Post aliquot, mea regna videns mirabor, aristas6


di troppo accusa l’infelicità de’ primi tempi villerecci a spiegarsi, ne’ quali dicevano «tante spighe», che sono particolari più delle messi, per dire «tanti anni»; e perch’era troppo infelice l’espressione, i gramatici v’hanno supposto troppo di arte. [p. 254 modifica]

IV


L’ironia certamente non potè cominciare che da’ tempi della riflessione, perch’ella è formata dal falso, in forza d’una riflessione che prende maschera di verità (a)7 . E qui esce un gran principio di cose umane, che conferma l’origine della poesia qui scoverta: che i primi uomini della gentilità essendo stati semplicissimi quanto i fanciulli, i quali per natura son veritieri, le prime favole non poterono fingere nulla di falso; per lo che dovettero necessariamente essere, quali sopra ci vennero diffinite, vere narrazioni.

V

Per tutto ciò si è dimostrato che tutti i tropi (che tutti si riducono a questi quattro), i quali si sono finora creduti ingegnosi ritruovati degli scrittori, sono stati necessari modi di spiegarsi tutte le prime nazioni poetiche, e nella lor origine aver avuto tutta la loro natia piopietà. Ma poiché, col più spiegarsi la mente umana, si ritruovarono le voci che significano forme astratte, o generi comprendenti le loro spezie, o componenti le parti co’ loro intieri, tai parlari delle prime nazioni sono divenuti trasporti. E quindi s’incominciau a convellere que’ due comuni errori de’ gramatici: che ’l parlare de’ prosatori è propio, impropio quel de’ poeti; e che prima fu il parlare da prosa, dopoi del verso.

VI


I mostri e le trasformazioni poetiche provennero per necessità di tal prima natura umana, qual abbiamo dimostrato nelle Degnità8 che non potevan astrarre le forme o le propietà da’ [p. 255 modifica]subbietti; onde con la lor Logica dovettero comporre i subbietti per comporre esse forme, o distrugger un subbietto per dividere la di lui forma primiera dalla forma contraria introduttavi. Tal composizione d’idee fece i mostri poetici (a); come in ragion romana, all’osservare di Antonio Fabro nella Giurisprudenza papinianea9, si dicon «mostri» i parti nati da meretrice, perc’hanno natura d’uomini insieme e propietà di bestie a esser nati da’ vagabondi o sieno incerti concubiti; i quali truoveremo essere i mostri i quali la Legge delle XII Tavole (nati da donna onesta senza la solennità delle nozze) comandava che si gittassero in Tevere.

VII


La distinzione dell’idee fece la metamorfosi; come, fralle altre conservateci dalla giurisprudenza antica, anco i Romani nelle loro frasi eroiche ne lasciarono quella «fundum fieri» per «autorem»


. (a) di che abbiamo nella ragion romana ch’ogni padre di famiglia romano ha tre capi, per significare tre vite; perchè «vita» è termine astratto e ’l capo è la più cospicua sensibil parte dell’uomo, onde gli eroi giuravan per lo capo per significare che giuravano per la vita. Le quali tre vite erano: una naturale della libertà, un’altra civile della cittadinanza, la terza famigliare della famiglia. — La distinzione dell’idee, ecc. [p. 256 modifica]fieri» 1, perchè come il fondo sostiene il podere o il suolo e ciò ch’è quivi seminato o piantato o edificato, così l’appruovatore sostiene l’atto, il quale senza la di lui appruovagione rovinerebbe, perchè l’approvatore, da semovente ch’egli è, prende forma contraria di cosa stabile (a)10.


1 Cic, Pro Balbo, 8: «Sed negat ex federato piopulo quemquam potuisse, nisi is populus fundus factus esset, in hanc civitatem venire». — Aul. Gell., XVI, 13: «Municipes..., nuìlis aliis necessitatibus, neque ulla populi romani lege adstricH,nisi in quam populus eorum fundus factus est». — Paul. Diac, ad v.: «Fundus... dicitur populus esse rei quam alienai, hoc est auctor».

  1. (c) prima sente, poi perturbato avvertisce, finalmente riflette con mente pura 5; e di quell’altra, che l’ordine dell’idee va secondo l’ordine delle cose6; e della terza, che prima furono le selve, poi i tuguri, appresso le ville, quindi le città e finalmente l’accademie7; [CMA3] e finalmente a quella che noi qui abbiamo proposta per prima che l'uomo ignorante, ecc.
    1. Si veda p. 247.
    2. (a) [CMA3] freme il mare, ecc.
    3. (b) [CMA3] le biade, le viti; lagrimare gli orni, la manna; piagnere le viti tagliate; ed altre, ecc.
    4. Degn. I.
    5. Degn. LIII.
    6. Degn. LXIV.
    7. Degn. LVV.
  2. Degn. XLIX.
  3. (a) ch’è la principale e più cospicua parte dell’uomo, la qual voce, ecc.»
  4. (a) l’armadura, perchè la materia è più sensibile della forma [CMA4] e ì primi uomini non sapevano astrarre le forme da’ loro subbletti,[SN2] perocché «æs» per lo «danaio coniato» venne da tempi che «æs rude» spendevasi per moneta. Quel nastro, ecc.
  5. In nessuno scrittore latino trovo l'emistichio citato dal V. Trovo si bene queste altre espressioni equivalenti: Ovid., Metam.,XIV,l46: «Tercentum messes, tercentutn musta videre»; — Petr. Arr., Satyric, 89, 1-2: «Iam decima mustos inter ancipites metus | Phrygas obsidebat messisi; — Mart., I, 102, 4: «Quarta tribus lustris addita messis erat»; IV, 79, 1: «Condita quum libi sit iam sexagesima messis»; XII, 34, 1-2: «Triginta mihi quatuorque messes | Tecum, si memini, fuere.»
  6. Verg., Buc., I, 70.
  7. (a) [CMA4] Onde qui riflettiamo non ricordarci d’aver letto ironia in tutta l’Iliade, e perciò preghiamo il leggitore ad osservarlo, chè,» s’è così, egli ne darà un grande argomento per la discoverta del vero Omero che si farà nel terzo di questi libri, e che l’Omero dell'Iliade fu a’ tempi della Grecia generosa, aperta, magnanima, e sì, molto innanzi dall’Omero dell’Odissea, la qual è tutta piena delle simolazioni e doppiezze d’Ulisse
  8. Non è ben chiaro a quale Degnità si alluda. Forse il V. voleva riferirsi alle ultime paiole della LI: «i primi poeti furono per natura».
  9. Iurisprudentiæ papinianeae scientia, ad ordinem institutionum imperialium efformata, in qua universum ius civile nova methodo ad propria indubitata sua principia reftrtur, et ex iis durissime ac certissime demonstratur. opus Antonii, Fabri I. C. Sebusiani, sereniss. subaudice ducis consiliaris, in sabaudiensi curiasenatoris et in gebennensis ducatus auditorio praisidis. ad illustriss. et excellentiss. principem henricum a sabaudia, gebennensium et nemorosii ducem (coloniæ allobrogum. ap. petium et jacob. chouet, m. dc. xiv.). ma né nel tit. i, princ. i, illat. iii (de iis qui contra formam humani generis converso more nascuntur, p. 89), né in altre parti del libro si accenna alla definizione data dal V.
  10. (a) [Segue qui in SN2, cmie esempio di metamorfosi, l’esposizione della favola di Dafne, che in SN3 venne trasportata nella sezione dell’Iconomica poetica. Si vegga più oltre, sez. IV, cap. I].