La mia vita, ricordi autobiografici/XXXIII
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XXXIII
Come sono e come vorrei essere...
In queste poche parole si compendiano molti degli ideali umani. L’accurata analisi della propria perspnalità non appaga; e lo spirito ha appena riconosciuto sé stesso che il desiderio gli muove il volo... Chi d’altra parte può essere così mediocre, anzi dirò così basso, da esser pienamente soddisfatto dell’attimo in cui vive senza che il sogno glie ne faccia desiderare un altro più fulgido e più luminoso?
Il decennio 1890-1900 è stato povero per me di grandi avvenimenti, se si tolgono quelli di natura così profondamente intima e personale che non avendo un carattere speciale o — in ogni modo — artistico, non possono trovar luogo in questi appunti autobiografici. Però prima di riandare insieme questo breve spazio di tempo e di rievocarne i vari avvenimenti voglio presentare ai miei lettori un ritratto completo del mio signor me, correggendo e rettificando le inesattezze in cui possono esser caduti — s’intende sempre in buona fede — tutti coloro che in qualche modo hanno parlato e scritto... su un argomento di così poco interesse.
Risparmio così la fatica della compilazione ai critici di là da venire ed evito il pericolo di essere non soltanto fraintesa.. nelle intenzioni, ma anche alterata nella fisonomia.
Io sono una donna di idee e di gusti molto semplici e nutro ancora un culto profondo per certe grandi idealità del passato che i giovani moderni credono il patrimonio dei codini e dei rimbambiti. Adoro quindi l’arte, il lavoro, la bontà, la fede. Il dolore mi ha insegnato a vivere.... e sopratutto a lasciar vivere. E se ho scritto molto, anzi moltissimo, di educazione e di istruzione, non hanno ispirato le parole e gli scritti una sciocca manìa di predicatrice, ma il desiderio sincero del bene di tutti.
Sono molto pacifica e molto paziente di carattere. Sopporto di buon animo i dolori e le amarezze fino a che mi è possibile; fino a che esse non minaccino seriamente la serenità del mio pensiero. In questo caso per non cedere, fuggo.
La reazione non è mai stata il mio forte, nè ho — d’altra parte — energìe sufficienti per compiere il male. Ecco forse la ragione per cui generalmente sono tenuta in conto di persona buona.
Sono molto tenace negli affetti e so voler bene a chi se lo merita: ma quando la malvagità degli uomini è riuscita a menomare la potenza del mio affetto, non è più possibile che nell’anima si riaccendano la stima, l’amicizia e l’amore. Tronco allora bruscamente la relazione, anche se molto intima, e il mio naturale buon senso m’aiuta a vincere l’amarezza del primo dolore. Non conservo rancore, ma il mio cuore è morto, morto per sempre. È capace del perdono, ma non risuscita più.
Le sventure di ogni genere m’ispirano la più grande pietà; se posso cerco di sollevarle; ma non incoraggio colla mia compassione l’avvilimento di chi è infelice, perciò non piango soltanto con chi soffre e per chi è vinto, ma ammiro ed amo chi lotta e vince; ed ecco perchè le finezze del mio sentimento non degenerano mai nelle aberrazioni e nelle sciocchezze del sentimentalismo. Credo profondamente nell’amore, perchè ho molto amato e del divino sentimento conosco tutte le gioie e tutti gli spasimi, ma penso che l’umanità sarebbe più felice, e l’arte meno morbosa se si tributassero meno lodi e meno incenso alla sua terribile sovranità.
Quindi è perfettamente naturale che non possa soffrire i flirt e certe forme di letteratura femminile a base di svenimenti, di languori, di sonetti, e di lume di luna. Tutto ciò si confà poco al mio carattere ridanciano e al mio spirito di dignità. Nei rapporti con gli amici e coi conoscenti sono affettuosa, semplice, senza pose; ma odio tutte le forme di volgarità, e tutte le infrazioni — permesse e non permesse — alla legge della gentilezza e della cortesia.
L’esperienza della vita mi ha reso alquanto diffidente e degli uomini e delle loro promesse: ma non impongo agli altri il mio scetticismo e la mia incredulità, e sopratutto mi guardo bene dal parlare di certi argomenti coi giovani perchè non voglio che essi credano con leopardiano sconforto legge dell’umanità ciò che forse è il destino di un solo individuo. Amo poco la conversazione e sono molto lieta quando in compagnia di qualche buon amico che mi intenda e mi voglia bene, possa esercitare sul mio prossimo le tendenze.... un po’ troppo critiche della mia lingua birichina. All’arguzia della frase ed alla finezza dell’osservazione hanno contribuito la nascita, la compagnia, l’educazione, l’ingegno naturale: so coglier subito, da buona fiorentina — il lato ridicolo o pomposo di una persona o di una cosa; tanto che posso vantarmi di aver fatto crollare più di una posizione romantica con una freddura o un calembour. E le vittime non mi hanno mai perdonato il tiro.
«Vo al teatro di rado, quando c’è musica italiana: detesto le tragedie, i drammi ibseniani e la nevrosi recitata. Quando lavoro — e lavoro le mie otto ore al giorno — sono intrattabile, selvaggia e non intendo veder nessuno, neppure gli amici più intimi. Ho la fissazione che ogni pagina di meno sia un pezzo di pane rubato alla mia famiglia. Una seconda manìa è quella di voler far la cuoca, manìa innocente che però intimorisce i miei congiunti i quali desidererebbero morir vecchi e di morte naturale».
Queste poche righe, le scrivevo in un articolo di dodici anni sono; né da quel tempo sono mutata di gusti, tutt’altro!
Questo — in brevi tratti — il mio carattere. E se qualche lombrosiano volesse conoscere le mie degenerazioni come letterata non potrei dargli davvero appunti preziosi. Non ho tic, né manìe, non soffro di convulsioni epilettiche, il mio angolo faciale è normalissimo e i miei medici non hanno fatto ancora sul mio conto osservazioni cranioscopiche che meritino di esser pubblicate. Odio i discorsi troppo lunghi, la gente che posa e gli ombrelli. Non so se queste indicazioni sommarie sieno sufficienti a farmi trovare un posto onorevole nel pubblico dei mattoidi; se non bastassero, mi rassegnerò ad esser giudicata una donniciuola purchessia, autrice di sillabari e massaia a tempo avanzato.
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Quanto al mio ingegno... è un po’ curioso che ne parli da me; ma perchè il ritratto sia completo, bisogna che i lettori mi conoscano perfettamente anche da questo lato. Io non ero nata per scrivere esclusivamente libri da ragazzi; anzi sarei molto bene riuscita nella commedia, nell’arte e nel romanzo se avessi a preferenza, coltivato questi generi. Lo prova il fatto che nessuno dei miei libri scolastici è adatto al pubblico a cui si rivolge e che io dovrei in molti miei volumi di lettura sacrificare tutti i miei slanci di artista, alle convenienze della psicologia infantile che naturalmente non vuol sapere d’arte e che avrebbe bisogno più di ogni altra cosa, — di un buon maestro di scuola.
Io sono stata «la vittima» delle Memorie di un pulcino. E quantunque abbia tentato, con riuscita non dubbia moltissimi generi letterari, come il romanzo, la novella, la leggenda, la poesia, la storia, la commedia, il monologo e soprattutto la filosofia pedagogica (per i grandi); sono sempre rimasta la soave, la gentile, la delicata scrittrice per i ragazzi, — mentre se debbo dir la verità han composto la maggior parte del mio pubblico le persone grandi. E questo per una semplicissima ragione: perchè in ogni genere da me coltivato ho messo la caratteristica speciale dell’arte mia e del mio sentimento. In ogni volume, anche arido, anche difficile, ho sempre cercato di esser l’Ida Baccini. E siccome le mie novelle non sono state abbastanza psicologiche, le mie poesie non abbastanza incomprensibili, le mie storie non abbastanza aride, le mie teorie pedagogiche non abbastanza paradossali, e i miei monologhi non abbastanza... scollacciati, così gran parte dei miei critici mi ha condannato alla morale a vita, non concedendomi di scrivere altri libri che non fossero libri da ragazzi. A questo preconcetto hanno obbedito moltissimi; tanto che non si è avuto ritegno di dare in mano a bambini libri che non erano assolutamente adatti al loro piccolo spirito. E siccome parecchi anni or sono scrissi un volume di novelle — alcune delle quali abbastanza ardite — intitolato Le mie vacanze, volendo significare con quel titolo una specie di riposo spirituale dalla pedagogia... giornaliera, l’editore, fraintendendo il senso, credè il libro destinato ad allietare, non le mie vacanze, ma quelle dei ragazzi, e pur troppo le novelle furono date in premio alle alunne delle scuole comunali di Bologna. E siccome, qualche anno dopo, lanciai in pubblico un altro volume di novèlle intitolato Dal salotto alla Chiesa, molti cervellotici pedagogisti d’Italia attratti forse dalla notorietà del mio nome e dell’assoluta moralità delle due parole «salotto» e «chiesa» non ebbero bene finché non fu segnato nel calendario scolastico del municipio di Foggia. Successe una specie di scandalo, è vero, ma le copie erano esitate: e quando le copie sono esitate, un editore, anche coscienzioso, non guarda tanto per il sottile...
Di materia legale e amministrativa non mi sono mai intesa.
Io ho l’ingegno assolutamente antiaffarista: non veggo mai i vantaggi o gli svantaggi di una speculazione; e ho uno salutare orrore dei contratti, delle scritture pubbliche e private, delle cambiali, delle citazioni, delle testimonianze, di tutto quanto insomma sa di burocratico o di togato.
Ho già detto che ciò non ha contribuito davvero al rapido aumento del mio patrimonio. Avrei dieci volte potuto intentar processi ad alcuni editori che hanno o falsificato edizioni, o stampato opere mie in una forma che non era la fissata, o non hanno adempiuto a certe prescrizioni legali. Ma non ne ho mai avuto il coraggio.
Moltissime volte, per la mia straordinaria manìa d’ordine ho mandato in pezzi delle lettere contrattuali — unicamente per isbarazzare dai fogliacci inutili la mia piccola scrivania.... Questi forse sono indizi di debolezza o di atonìa morale che potrebbero far comodo al mio lombrosiano. Li abbandono nelle sue mani. Chissà che non ne esca un profilo... abbastanza degenerato!
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Io credo; e non per abitudine servile del mio spirito, per debolezza congenita del mio carattere, per paurosa sofisticheria della mia coscienza, ma credo per assoluta convinzione e perchè ai non piccoli dubbi in materia religiosa, che più volte nel corso della mia vita m’hanno attraversato l’anima, sono stati di conforto ineffabile e gli studi elevati e le valide persuasioni del mio ragionamento. Io sono quindi spiritualista, senza pretendere di racchiudere nella aridità di una impossibile formula, le aspirazioni vaghe dell’anima mia; e credo all’eternità della vita appunto perchè sono persuasa dell’assoluta inesistenza della morte. Del resto mi pare che anche la logica del razionalismo dovrebbe giungere all’inconcepibilità del nulla. E per quello che si riferisce a verità o a ipotesi religiose, giudicando spassionatamente, sono convinta che la filosofia cristiana, anche considerata soltanto come manifestazione di un pensiero umano, sia molto superiore a tutte le altre.
Io amo anche come artista le bellezze del culto: giacché dai suoi inni, dai suoi cantici, dalle sue preghiere, dalle sue feste, dai suoi misteriosi ed altissimi simboli si svolge un’onda di mistica, meravigliosa poesia.
E in questo profondo convincimento dello spirito, vivo, lavoro, ed aspetto.