La mia vita, ricordi autobiografici/XXXII

Capitolo XXXII. Capitolo color di rosa

../XXXI ../XXXIII IncludiIntestazione 1 dicembre 2017 100% Da definire

XXXI XXXIII
[p. 271 modifica]

XXXII.

Capitolo color di rosa.

(1895-1900).

Nell’anno 1891 (se non erro) uscì fuori un grazioso libro della contessa Lara intitolato Una famiglia di topi.

Il libro, graziosissimo, ebbe largo smercio, siccome m’era piaciuto molto il titolo singolare, così mi saltò il ticchio di scriverne uno consimile, e pensai che alla letteratura amena del mio paese non dovesse nuocere Una famiglia di gatti.

Detto fatto, lo scrissi e nè cedei la proprietà letteraria alla casa Paravia.

Povera contessa Lara, mia bionda e bella ispiratrice, mia sincera e cara amica; chi avrebbe mai pensato che di lì a qualche anno ti avrebbe squarciato il petto il piombo di una rivoltella? Chi avrebbe mai pensato che tu dovessi finir, così tragicamente, tu creatura di gentilezza e di amore?

La conobbi in Firenze verso il 1883 e ne apprezzai subito l’ingegno elettissimo. Evelina Cattermole Mancini era un poeta nel vero, schietto, genuino senso della parola. Se avesse potuto condurre una vita più quieta e le dolorose necessità dell’esistenza non l’avessero costretta a girovagare di città in città; soprattutto se il lavoro giornalistico a cui s’era ridotta [p. 272 modifica] negli ultimi tempi non l’avesse addirittura sfibrata, noi avremmo potuto ottenere da lei un’opera di rivelazione. Non parliamo del suo temperamento e soprattutto non giudichiamolo dal punto di vista di una morale gretta e piccina. L’arte sua derivava dal temperamento, un temperamento amoroso, ardentissimo che ella ha espiato con tutto il dolore di una vita affannosa, con tutto il sangue di una morte tragica. Ben protestarono le fanciulle di Roma contro i malevoli commenti di pochi sfaccendati, deponendo su quella bara una corona di rose bianche. La passione e le lacrime sono le grandi purificatrici dell’anima umana....

La vidi, per l’ultima volta, qui in Firenze. Dovevamo recarci insieme al famoso veglione del Teatro Nuovo, organizzato dall’Associazione della stampa. Capitata per un caso da Roma e invitata alla festa all’ultimo momento, chiese a me un abito da sera.

La condussi allora al negozio di Salvatore Ciatti e ci lasciammo soltanto dopo che ella ebbe acquistato un magnifico vestito celeste chiaro che armonizzava perfettamente con la sua delicata bellezza di bionda. L’aspettai al Teatro Nuovo, inutilmente, tutta la sera; ma non venne.

Da quel giorno non la rividi più, e dopo pochi mesi, aprendo per caso un giornale, ebbi la triste notizia della sua morte; Povera contessa Lara! ella meritava certo una miglior fortuna.

Ma non indugiamo più su quella cara perduta e riprendiamo invece il nostro racconto.

Avevo appena terminata la Famiglia dei gatti che un editore di Palermo, il Sandron, mi chiese se avessi [p. 273 modifica] voluto scrivere per lui un corso completo di letture per le scuole rurali 1. Accettai subito, con entusiasmo, tanto è grande in me il desiderio di lavorare per i bambini e per la loro educazione. Ed ho tanto l’abitudine di parlare con loro spiritualmente, che il mio linguaggio si foggia si adatta, starei per dire si piega alla loro intelligenza, che le immagini più limpide e le forme più serene vengono spontaneamente al mio spirito.

Io ho sempre nutrito pei bimbi una profonda, tacita adorazione, e nulla mi fa più lieta di una loro parola.

Ho la soddisfazione di dire che questa viva simpatia viene sempre contraccambiata; tantochè proprio in vista di questo scambievole accordo mi riesce facilissimo intenderli e farmi intendere. Date queste attitudini lo scriver libri per ragazzi è diventata per me un’abitudine. Quindi compongo presto e bene, e non per sete di pronti e lauti guadagni — come osservò malignamente un mio critico — ma per ispontaneità di sentimento Come ho già detto e ripetuto un’infinità di volte, molti speculatori sono arricchiti coi miei libri, ma io sono rimasta povera.

L’idea di fondare un «Giornale dei bambini» era venuta contemporaneamente fin dal 1883 o 1884 a me, Yorick, il Collodi e Ferdinando Martini. Il Martini riuscì a pubblicarne uno, assai bello, ma che non [p. 274 modifica] era ancora perfetto. Si stampava a Roma e vi collaboravano scrittori reputatissimi; fra gli altri la Serao.

Dopo, dal Martini la direzione passò a Guido Biagi, quindi al Collodi che la tenne, relativamente, pochissimo, e da lui alla mia cara amica Emma Perodi, che chiuse la serie. Cominciò a far subito concorrenza al Giornale dei bambini, quello dei fanciulli edito dal Treves, che era un prodigio di eleganza come arte tipografica, ricchezza di carta, lusso d’incisioni etc. Finanziariamente il Giornale dei fanciulli era più forte, giacchè i fratelli Treves avevano allora, come hanno ancora una posizione... monetaria incrollabile. E il più povero dovè cedere. Colla scusa di «fondersi» col Giornale dei fanciulli il Giornale dei bambini morì. Ma anche il vittorioso non ebbe vita lunga: dopo la fusione, tre o quattro anni fa, i fratelli Treves ne sospesero la pubblicazione, forse perchè in Italia e da un bel pezzo, non ci sono più bambini, ed è quindi perfettamente inutile stampare un giornale per loro.

Luigi Capuana verso il 1893 fondò un giornalino su quel medesimo genere e lo intitolò Cenerentola. Chiamò anche me a far parte della redazione, e qualche volta — per compiacere l’illustre amico — aderii al suo desiderio inviandogli una novellina o un bozzetto. Ma capivo che malgrado le cure indefesse del nobilissimo romanziere, il giornalino aveva ben poche speranze di vita.

Un perfetto «giornale dei bambini» mi era più volte comparso nella fantasia, più completo, armonico, con tutte le sue divisioni e tutte le sue rubriche; e come sempre mi accade quando un’idea mi persegue, non ebbi bene finchè non ebbi persuaso l’editore [p. 275 modifica] della Cordelia a tentare la pubblicazione di un giornale dei bambini. Mi accorsi soltanto di un grave errore dopo i primissimi tempi, cioè che in Italia gli scrittori per l’ infanzia sono ben pochi; e quei pochi sono più novellatori che giornalisti. Non si possono empire le pagine di un periodico di fiabe e di novelle: bisogna empirle di articoli. E siccome il « giornalismo per i ragazzi » è terribilmente difficile fui costretta per i primi anni a contribuire per la massima parte con scritti miei all’opera di redazione. Il mio Giornale del bambini uscì nel ’95 ed oggi vive ancora, se non di una vita gloriosa, almeno di una vita pacifica: ma è molto, ancora molto lontano da quell’ideale di bellezza che vagheggiavo.

Dovendo, dai 95 in poi, dirigere e in gran parte redigere anche un «Giornale dei bambini» il mio lavoro crebbe; e quindi fui costretta ad aumentare anche la mia attività. E dal 94 al 95 di volumi importanti non uscì che Feste azzurre un libro di poesie.... in prosa che dedicai all’ottimo amico conte Gruglielmo Capitelli, allora prefetto di Firenze. Angelo De Gubernatis mi aveva invitato a collaborare spesso in Natura e Arte, la magnifica rivista che egli fondò nel 1893 e che oggi si pubblica in Milano, edita dal Vallardi e diretta dal caro e simpatico Pasquale De Luca, ma non potei anche con tutta la buona volontà di questo mondo, accondiscendere alla sua preghiera. L’ubiquità intellettuale non è possibile neppure ai letterati di professione.

Come venivano accolte dal pubblico queste mie continue, incessanti, persistenti manifestazioni di attività letteraria? Con molta bontà, I miei libri si sono [p. 276 modifica] venduti lentamente, ma sicuramente. Nessuno spaccio farraginoso, dunque; nessuna frettolosa ristampa; ma un successo calmo. Letterariamente sono stata sempre simpatica, sempre accettata e pochissimo discussa. Tant’è vero che nelle recensioni de’ miei libri i critici e i giornalisti hanno adoperato per ventanni di seguito gli stessi aggettivi, ma non so se ciò si debba più al carattere costante del mio ingegno o alla scarsezza della loro fantasia.... Mah! i posteri giudicheranno, a tempo e luogo, quando ne meriti il conto.

Del resto quanto io abbia amato i bambini — tanto per ritornare al primo detto — potrebbero provarlo anche due miei discorsi che pronunziai il 7 gennaio 1895 all’ospedaletto Mayer e il 20 novembre 1897 all’asilo per gli orfani dei marinai; discorsi che pubblicherei volentieri se lo spazio me lo consentisse. Io ho sempre rifuggito dall’eloquenza chiassosa delle «pubbliche concioni» e ho preso la parola soltanto in qualche rara occasione in cui mi fosse dato di far nello stesso tempo un po’ di bene. Ma di questa mia vita solitaria o di questo mio orrore per le moltitudini sono stata rimproverata dai miei pochi nemici come di una posa. Né sono mancati i maldicenti che hanno sparso sul mio conto dicerie maligne, o hanno architettato fantastici castelli in aria sul valore della mia bontà, ma senza per questo riuscire a scuotere la mia leggendaria indifferenza, o a farmi sparire dalle labbra quel sorrisino leggermente sarcastico che è una delle mie specialità.



Note

  1. In città e in campagna.