La meteorologia applicata all'agricoltura/Parte prima/3/5

3 - Digressione sopra la Ruggine, e l'altre malattie del grano

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3 - Digressione sopra la Ruggine, e l'altre malattie del grano
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§. V. Digressione sopra la Ruggine, e l’altre malattie del grano.

78. I Francesi, e gli autori che hanno scritto ex professo di questa materia, distinguono molte specie di malattie ne’ grani. In questo paese non se ne conosce che due generi: 1° la Ruggine, per cuì s’intende tutto ciò che ristringe, o vuota i grani; 2° il Carbone quando i grani non contengono che una polvere nera.

79. Gli antichi, e il comune degli uomini fino al presente, attribuiscono la prima malattia, vale a dire la consunzione del grano, alla fermentazione della terra, a delle fumane, rugiade, pioggie, calde e salse, a nebbie mescolate di esalazioni, che cadono su i seminati, a venti brugianti eċ.

80. Galileo ne diede una spiegazione da Matematico, in questa maniera: quando una nebbia, una rugiada, una pioggietta stillante, ha lasciato una quantità di picciolissime goccioline sopra le foglie ed i frutti, se il sole esce all’improviso, queste goccio[p. 53 modifica]line sferiche diventano tante lenti caustiche acutissime, i fochi delle quali cadendo sopra le foglie, e sopra i grani, li brugiano veramente. Di fatto si vede su i frutti di questi punti come di carbone, che sembrano vere brugiature. Ma quanto ai grani di formento, senza brugiatura si trovano vuoti.

81. Vi fu un tempo, in cui tutto era l’opera degl’insetti, sopra tutto le malattie: Redi, Vallisnieri, ed altri Naturalisti, che inclinavano a questa opinione, credevano pure, che la nebbia e la ruggine era l’opera degl’insetti: quella polvere gialla, nera, che si vede sulle foglie, e sulle spiche delle biade, non erano che gli escrementi, le ova, o le spoglie degl’insetti, che avevano mangiato la sostanza del grano. Ancora al giorno d’oggi vi sono molti di quest’opinione, e pretendono aver veduto gl’insetti nelle spiche coll’occhio nudo, quando altri negano d’averne potuto scoprire vestigio alcuno nè pure col microscopio. Puovvi esser dell’equivoco, e credo che consista in ciò, di voler attribuir ad una causa sola, e sempre, la nebbia.

82. Ultimamente in Toscana i Signori Targioni, e Fontana anno prodotto un’opinione nuova, che ha tutta l’aria di probabilità. Pretendono avere scoperto, che la Ruggine non è altro, che un ammasso d’un numero infinito di pianticelle parasite, simili ad una specie di muffa. Queste pianticelle, inserendo un’infinità di radichette tra le fibbre delle piante di formento, le succhiano, lor tolgono la sostanza; e perciò i grani restano o vuoti, o magri. Queste piantine anno le loro semenze invisibili, volano per l’aria, e portate dai venti s’attaccano alla biada; ed incontrando un’umidità tepida, germogliano, vi moltiplicano in infinito, e producono la rovina di cui si parla.

83. Io non ho bisogno di determinarmi a veruna di queſte opinioni sulla natura della ruggine: per il [p. 54 modifica]mio oggetto basta, che essa dipenda da una certa costituzione dell’aria, da un certo concorso di meteore. La ruggine si manifesta, come s’è detto, nelle primavere stemperate, dopo nebbie, rugiade, pioggie, seguite immediatamente da sole ardente, in luoghi bassi, e poco ventilati. Tutte queste disposizioni di calore e d’umido possono alla verità sviluppare le picciole semenze delle muffe parasite, o far nascere le picciole ova degl’insetti.

84. Ma senza ricorrere a queste cause straniere; perchè le biade non possono ammalarsi naturalmente per un eccesso d’umido, e di caldo? E non possono primamente esser attaccate da una specie di malattia cutanea? Quell’umore grasso e glutinoso, che si depone da una nebbia, disseccato dal sole, non può fissarsi sulle foglie, sulle gambe, sulle spiche? con ciò impedire la traspirazione, e con essa la buona digestione de’ succhi, formando al di fuori quella polvere gialla, o nera, che diede il nome alla ruggine?

85. In secondo luogo, perchè non può formarsi una malattia interna, simile a un raffreddore, a un’infiammazione negli animali? L’umido, colpito dal sole deve fermentare, bollire nella terra, nelle radici, nei canali stessi delle piante: ciò basta per alterare gli umori e produrre in seguito un languore, un disseccamento, una morte: se voi volete farne l’esperienza, basta inaffiare una pianta in un vaso ed esporla al sole; in due o tre giorni ella muore infallibilmente; così le biade, se sieno state innondate, sopravvenendo giorni caldi, per una fermentazione violenta maturando avanti il tempo, vale a dire, mujono in pochi giorni, poichè la maturazione non è che la morte naturale delle piante annuali. Allora bisogna vedere, in quale stato è il grano; se è compito, contiene la sua farina; se era tenero, sarà vuoto a proporzione. In fine io temo, che non si possa fissare una causa sola per tutte que[p. 55 modifica]ste malattie: or sarà una, or sarà un’altra, or molte insieme, e variamente combinate.1

86. Comunque sia della natura della ruggine, un’osservazione universale è questa, che tal malattia attacca principalmente le biade deboli, seminate tardi, e che perciò anche più tardi mettono le spiche; di poi nelle primavere fresche, piovose, ineguali senza venti; perchè in queste circostanze, le piante essendo d’una tessitura più floscia, resistono meno alle stesse impressioni, qualunque sieno. Vi sono al tre osservazioni: l’infezione della ruggine sparisce se succede una pioggia abbondante, che lavi le biade, o un vento che scuota l’umidità stagnante. Le biade coricate patiscono più, perchè sono meno ventilate. Una rugiada, una nebbia senza sole, se anche durasse tutto un giorno, non fa gran male, non essendovi fermentazione. Tutto ciò che aumenta l’umidità, aumenta i pericoli delle nebbie, come l’evaporazione di alberi folti, de’ luoghi bassi, delle terre umide, dei lettami ec. con tutto ciò che impedisce la dissipazione dell’umidità, come le alti siepi, le muraglie, che fermano i venti ec. All’opposto i luoghi elevati, ventilati, lontani da’ boschi ec. saranno meno soggetti alle rugiade, alle brine, alle nebbie, e alle loro perniciose conseguenze.

87. V’è un’altra osservazione nelle Memorie di Ber[p. 56 modifica]Berna 1765. di cui non saprei render ragione; e questa è, che le biade mescolate, che da noi si dicono Granate, per esempio di formento e di segala, non vanno tanto soggette alle nebbie. Ciò è confermato dal Sig. Targioni a proposito delle nebbie del 1765. e 1766. in Toscana, forse una pianta ha degli effluvj, che smorzano l’impressione della nebbia, o pure assorbe i vapori. Così la saggina, o mellica, difende le vigne dalla nebbia.

88. Vi può esser qualche altro rimedio contro la nebbia. Le cagioni, o circostanze indicate, suggeriscono qualche regola di precauzione. Bisogna seminare grano scielto; praticarvi qualche bagno, o ranno, di calce, e di urina vecchia, alcalizzata; o bagnarlo con l’olio di lino, Il quale anche allontanerà i vermi; bisogna seminare in una terra ben preparata, e sopra tutto seminare per tempo, e alla superficie con semplice erpice: sarà utilissimo di allargare, e schiarire i campi, a fine che sieno ventilati. I campi di questi territorj, sono boschi, e per ciò tanto più patiscono la nebbia.

89. Per dissipare l’umidità sono suggeriti due rimedj particolari. Il primo, inculcato dagli autori antichi d’agricoltura, e provato con successo da qualche nostro coltivatore, è la Fumigazione, che deve praticarsi tutte le mattine sospette, con apparenza di nebbia (che già all’aurora ai manifeata ) ne’ mesi di maggio, e di giugno, brugiando paglie, letti d’animali, ritagli di pelli, di corni, d’unghie, ec. Questo fumo sparso sopra i seminati deve produrre due effetti salutari, 1° può assorbire l’umidità, che è l’occasione, e la cagione delle nebbie; 2° il fumo contenendo un’alcali volatile, può fertilizzare le terre, e le piante. Il secondo rimedio confiste a scuotere la rugiada dalle biade, facendo tirare da due uomini lungo i solchi una corda a traverso le biade stesse. [p. 57 modifica]

90. Poco mi resta a dire sopra la Volpe, o il Carbone: questa è una polvere contagiosa, che si comunica di campo in campo, e di anno in anno; basta, secondo alcuni, che questa polvere tocchi un grano per renderlo volpato. Questa malattia non si conosce in Italia, se non in questo secolo in circa, e sembra esser venuta dal Dolfinato: si diffonde ora in Germania. Si osserva, che regna nei campi, e negli anni, in cui le semine furono cattive, se la primavera seguente riesce umida; sopra tutto dopo un inverno lungo ed umido, come quello del 1770. in Italia, in cui il formento patì piuttosto di carbone, che di nebbia. Il Sig. Du Hamel per tanto crede, che gl’inverni rigidi facciano perire i piedi tocchi di carbone, e come ammalati, e così arrestino il progresso che questa malattia farebbe all’infinito. Per impedire questa polvere, o malattia di propagarsi, si prescrive colla prova di qualche esperienza, di bagnare il grano avanti di seminarlo con una lissivia forte, composta di cenere e di calce.

Note

  1. La nebbia è un vero fumo, che sorge dalla terra la mattina, e va passeggiando per li seminati basso basso; ed io inclino a crederlo una specie d’aria mefitica o una vera mofeta, mentre ne imita i caratteri esterni nell’atto di produrne l’effetto, che di uccider le piante, poichè intorno le mofete non vivono piante nè erbe (Fortis viaggio d’Italia M. S. ) questo sia detto della nebbia del grano e d’altri seminati, e si noti, che non tutti li fondi vanno soggetti alla nebbia, perchè non tutti i fondi somministrano tali fumi.