La locandiera/Nota storica
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NOTA STORICA
Quando Mirandolina balzò alla mente di Carlo Goldoni? La Locandiera, come si sa, fu recitata nel carnovale del 1753 (avvertenza premessa alla 1.a ed. del t. VII del Bettinelli: v. Spinelli, Bibl.ia gold., p. 25; e intestazione delle edd.i Paperini, Pasquali ecc.): anzi nel mese di gennaio (v. atto I, sec. 11), non già la sera di S. Stefano 1752, secondo affermano i Mémoires (P. II, ch. 16). Si aperse, credo, il carnovale coi Due Pantaloni (I Mercatanti). Teodora Medebach, mentre il poeta scriveva, trovavasi certamente costretta a letto da un accesso di quel male che troppo giovine la trasse alla tomba, e in fatti anche nella commedia precedente comparisce Beatrice (la 2.a donna, Caterina Landi) invece di Rosaura, quale figlia di Pantalone. Si può quindi assegnare con tutta probabilità la composizione della Locandiera alla prima o alla seconda metà di dicembre, 1752.
Regnava sulle scene del teatro di Sant’Angiolo, e un po’ forse sul cuore di Goldoni, la bella e vivace Maddalena Raffi, sorella di Gasparo, ciò è a dire zia di Teodora, e moglie di Giuseppe Marliani: già ballerina di corda, come la nipote, nel famoso casotto che il Goldoni descrive nelle sue memorie italiane (vol. I di questa ediz., p. 143). Separatasi dal bonario marito «pour des ètourderies de jeunesse» (Mém., II, ch. 14), si riunì a lui nel carnovale del 1751; e il dottor veneziano ne diede notizia al conte Arconati-Visconti (17 febbr.): «... Ho cambiato parimenti la serva, e sarà la moglie del Brighella, che fu assai buona, e si spera tale, tuttocchè sei anni sia stata in riposo, avendo dello spirito e dell’abilità». (Questa lettera corregge i cit. Mém.). Subito il Goldoni, che dichiara più volte d’esser stato un attento osservatore delle attitudini artistiche dei vari suoi interpreti, scrisse per lei la Gastalda, e le concedette una parte prevalente nell’Amante militare e nelle Donne gelose (Lugrezia): non senza invidia e dolore della Medebach, alla quale non serbò l’ingrato veneziano nel quinto e ultimo anno del contratto teatrale che la Figlia obbediente, mentre la servetta Marliani trionfava sola, o quasi sola, nella Serva amorosa, nei Puntigli domestici, nella Locandiera, nelle Donne curiose e finalmente nella Donna vendicativa. Altro che convulsioni (v. Mém. II, 16) della prima donna!
L’indole della nuova Corallina si intravvede dai pochi cenni della sua vita, lasciatici dal Goldoni e dal Bartoli (Notizie de’ Comici ecc.: v. anche Rasi, I comici it. ecc.), e dal suo dispetto per il passaggio del commediografo veneziano sul teatro di S. Luca (Mém., ed. cit. con note di G. Mazzoni, I, 383). Mirandolina non è più la servetta del teatro dell’arte, ingentilita nella donna di garbo e nella vedova scaltra, ma è una donna strappata alla vera vita, e si confonde con Maddalena Marliani. Peccato, per la nostra curiosità, saper così poco di una sì fatta ispiratrice e interprete. Certo il Goldoni, maturo d’età e d’esperienza, aveva potuto fare senza suo pericolo uno studio diligente del carattere e dell’arte di Corallina, giunta pure alla pienezza dell’esistenza. I ricordi della Medebach nel ’47 a Livorno, della Baccherini nel ’43, e perfino della famosa Passalacqua, prima del matrimonio, impallidivano al confronto di questo indiavolato spirito femminile. In una ricetta maccheronica «per li SS. Comici di S. Angelo» nel 1754, certo anonimo prescriveva: «Spiritus diabolicae Corallinae bozze 20: Silvarum cornarum mariti Corallinae usque ad satietatem» (cod. Swajer, ora Cicogna 2395, presso il Museo Correr di Venezia, e. 103). Ma dei suoi amanti ci sfugge il nome: dell’arte scenica invece, oltre il Goldoni stesso nelle prefazioni alle varie commedie, e il Bartoli citato, ci tramandarono le lodi Pietro Verri («...E la tua spiritosa, accorta Corallina - Piace qualor la miro far da Mirandolina»: La vera commedia, Ven. 1755, p. XIII) e l’abate G. B. Vicini («Innimitabil sempre, sempre più destra e fina - È in caratteri varj l’attrice Corallina, - O il tragico si cinga coturno grave al piede, - O il ridevole socco che a lei Talia già diede»: Della vera poesia teatrale, Modena 1754, p. 8). Il Gradenigo nel ’54 (Notatorj, 14 febbr.) fa menzione di un sonetto stampato in suo onore per la recita delle Sorelle chinesi del Chiari; e venti anni più tardi, nel genn. ’74, replicandosi più volte a S. Gio. Crisostomo la Veneziana a Londra, scritta allora dallo stesso abate, Domenico Caminer avvertiva nel primo tomo del Giornale Enciclopedico «La parte brillante della Protagonista fu egregiamente sostenuta dalla Signora Maddalena Marliani»: anzi nel 1781-82, quando il Bartoli dettava le Notizie de’ comici italiani, appariva essa ancora «quella celebre Corallina che fu nella sua fresca giovinezza».
Ma non bisogna certo restringere a un solo modello la inspirazione artistica della Locandiera. Il marito della tenera Nicoletta sembra nel teatro vendicarsi delle donne che lo avevano più volte ingannato nell’età bella, e si diverte a mettere in scena le piccole perfidie dell’animo femminile. A chi ha letto le memorie premesse al primo volume della presente edizione, tornano a mente vari accidenti della vita goldoniana, trasformatisi poi in vivaci episodi da commedia: che pochi creatori attinsero con più fedele amore di Goldoni alla vita reale. «Dio volesse» esclama nella prefazione il buon Carlo, «che io medesimo cotale specchio avessi avuto per tempo, che non avrei veduto ridere del mio pianto qualche barbara Locandiera. Oh di quante scene mi hanno provveduto le mie vicende medesime!» Ma il poeta di Mirandolina non serba ira alle donne per la sua ingenuità di ragazzo, un giorno ferita, anzi sorride e di sè e delle arti muliebri, indulgente per tutti, innamorato della donna e dei suoi difetti, delle sue debolezze, delle sue stesse perfidie, (v. R. Bracco, La donna nel teatro di C. G., in La Donna, 20 febbr. 1907 e in Gazzetta del popolo, Torino, 21 lugl. 1910).
Da ciò sopra tutto l’originalità strana di questa commedia, che si annovera tra i capolavori del teatro comico, e sembra contendere agli altri la palma per la sua perenne freschezza. Studiarne i così detti precedenti storici torna opera vana, seanche si sappia che la parte della Locandiera fu scritta per una servetta, che il nome di Mirandolina fu foggiato su quello di Corallina, e Corallina è a sua volta, nella famiglia delle maschere, la sorella, cara al commediografo veneziano, di Colombina. Nulla servono le Argentine le Diamantine le Riccioline le Franceschine le Smeraldine, nulla le Pasquette le Fiammette le Spinette le Olivette le Violette a spiegarci il potere meraviglioso della Mirandolina goldoniana sul cuore degli uomini: nè giova frugare fra le Colombine e le Lisette del vecchio e del nuovo Teatro Italiano in Francia. (Cfr. per l’antica servetta L. Rasi, I comici ital., Firenze, 1897-1905, al nome Biancolelli Caterina; v. anche Adami Patrizia e Beatrice, Biancolelli Franchini Isabella, Roncagli Silvia, Veronese Anna, Visentini-Rusca ecc.). Tuttavia non bisogna credere che la Colombina francese di Regnard e di Bruyère de Barante non conosca a memoria le arti della civetteria e non difenda con calore la tesi dell’incostanza (v. nella raccolta Gherardi la Coquette ou l’Acadèmie des dames 1691; la Fausse coquette 1694; la Thèse des dames ou le Triomphe de Colombine 1695, ecc.): ma ragiona troppo, parla troppo, si scorge appena, quasi che fosse incorporea, e dilegua subito nel fantastico regno delle maschere. Da questo mondo irreale niente è così lontano e diverso come la Locandiera.
Alcuno ebbe a ricordare la Sorpresa dell’amore (1722, prima ed.) e i Giuramenti indiscreti (1732) di Pietro Marivaux (p. es. G. Ortolani, Per una scena d’amore nelle Baruffe Chiozzotte, in Marzocco, XII, 25 febbr. 1907): se non che il mutamento d’animo nell’uomo o nella donna dal disprezzo all’amore si ritrova già cento volte ne’ poemi classico-cavallereschi e nelle favole pastorali; e l’analisi delicata e minuta dello scrittore francese può solo servire di contrapposto all’arte un poco rozza, ma tanto più potente, che creò Mirandolina e il cavaliere di Ripafratta. Si pensi, per esempio, alla se. 7, a. I, della Sorpresa dell’amore, che risponde alla se. 15, a. I, della Locandiera. Eppure anche Lelio, l’odiatore delle donne, fin dal primo colloquio ci prende gusto a conversare con la Contessa («Madame, peu de femmes sont aussi aimables que vous»: e la Contessa: «Nous nous divertirons, vous à médire des femmes, et moi à mépriser les hommes» ); anch’egli vuol fuggire, quando s’accorge che il cuore esita, o se n’accorgono gli altri («Moi tomber! Je pars dès demain pour Paris; voilà comme je tombe» II, 5); anch’egli nel II a. fa una confessione di debolezza («Un moment» dice alla Contessa: «vous êtes de toutes les dames que j’ai vues celle qui vaut le mieux: je sens même que j’ai du plaisir à vous rendre cette justice-là» II, 7). Il Settecento, è vero, si riflette così nella Sorpresa dell’amore, come nella Locandiera: tuttavia la scena, l’arte, la vita stessa mutano. Seanche non si sapesse che a Venezia di Marivaux si leggevano soltanto i romanzi, che le commedie non si tradussero mai, che forse non si recitarono prima del 1780 (cfr. Casanova, le Messager de Thalie, ed. da Aldo Ravà, Contributo alla bibl. di G. Casanova, estratto dal G. Stor., LV, 1910), che Goldoni non ne fa menzione, e non dovette conoscerle prima del ’62, quando ne trovò il ricordo sul Teatro Italiano di Parigi, a nessuno verrebbe voglia di scoprire affinità di natura fra il salotto della vecchia signora di Lambert, ultimo rifugio di qualche preziosa, e la locanda goldoniana che sa di biancheria fresca e di manicaretti, fra Silvia Balletti e Maddalena Marliani, fra il ritratto psicologico e il dramma. In vece del minuetto a mezza voce, nel viale del giardino favoloso, familiare agli amori delle antiche ninfe e delle antiche maschere, l’azione che incalza e prorompe sul palcoscenico della vita con grida e con rabbia.
Non rimarrebbe dunque che da ricercare nell’opera stessa di Goldoni, dove la fortuna aiuta lo studioso a seguire le tracce fuggevoli di Mirandolina, in qual modo dal Prodigo, dalla Donna di garbo, dalla Vedova scaltra, dal Poeta fanatico, dalla Castalda, dall’Amante militare, dai Puntigli domestici ecc. balzò d’improvviso il tipo meraviglioso. («Quel caro demonietto in gonnella ch’è la Mirandolina Locandiera, riassume in se tutta l’indiavolata birichineria delle servette goldoniane»: Giacinta Gallina, Le maschere goldoniane, in Soccorriamo i poveri bambini rachitici, strenna venez. pel 1907, p. 32. V. anche Maria Vaccaro Osterman, Servi e servette nelle comm. di C. G., in Critica ed arte, Cateinia, marzo 1907). Se ci rimanesse lo scenario del Prodigo, come fu steso nel 1739, vorremmo gettare uno sguardo sulla prima Colombina, castalda di Momolo: accontentiamoci di udire nel ’51 Corallina, la Castalda di Pantalone, che ci rammenta con originalità goldoniana le tante serve padrone del Settecento: «... Gh’ho un certo no so che, che bisega. Son dretta la mia parte. Della lengua e dei occhi fazzo quello che voggio. E con una occhiadina, e con una paroletta, m’impegno de far cascar un omo, s’el fusse de piera viva» (a. I, se. 3 ed. Bettinelli: vol. VII della presente ed., p. 188).
Ma Mirandolina è Mirandolina, e non assomiglia a nessun’altra figura nel regno dell’arte: essa emana dal pieno Settecento, come Manon, e sconvolge il cuore degli uomini. Chi tenta resistere, chi la disprezza, offende il sesso, e più degli altri resta vinto e diviene suo schiavo. In lei nessuna corruzione, nessuna deformità morale, tolta l’arte di fingere; Mirandolina è sana, allegra, spiritosa: specialmente è donna, innamorata e gelosa del suo potere femminile. «Tutto il mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata ecc.... Voglio burlarmi di tante caricature d’amanti spasimati; e voglio usar tutta l’arte per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri, che son nemici di noi, che siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre Natura»: I, 9. Quando Grimm in Francia, nel 1764 (Correspondance: cit. da Rabany, C. G., Paris, 1896, p. 351), osservò che bisognava far cadere a sua volta la eroina nell’amore per il Cavaliere, mostrò di non aver nulla capito: così poteva scrivere La Noue una Civetta punita (1756), ma così non si crea Mirandolina. Eppure le scene della Locandiera, d’una psicologia naturale e vigorosa, si seguono limpidissime. Quando a’ nostri giorni il Rabany (1. e, p. 165) volle scusare Goldoni, poichè non ebbe «la pretesa d’offrire uno studio di carattere», mostrò di non aver capito il suo autore. Quando lo Schedoni, nel 1828 (Principii morali del Teatro, Modena, 51-52), rimproverò il commediografo veneziano per aver compiuto il trionfo di Mirandolina col matrimonio di Fabrizio, mostrò di capir bene le leggi della morale, non quelle della vita e dell’arte. Nè meglio capirono questo singolare e potente capolavoro quanti traduttori o riduttori, per adattarlo al genio delle varie nazioni, lo sconciarono più o meno nelle principali lingue d’Europa. Perchè qui non soltanto l’azione si svolge con perfetta arte di teatro, non soltanto il gioco de’ caratteri e delle passioni riesce bellissimo, non soltanto il riso comico nasce diversamente da ciascuno dei diversi personaggi, ma vi sono episodi d’una dolorosa verità umana, come le sei prime scene dell’atto terzo, che reggono il confronto con Molière e con qualunque altro poeta drammatico.
La caricatura del marchese di Forlipopoli, la satira delle due comiche, appentengono al quadro di costume del Settecento e però vivono meno. Che il Goldoni volesse proprio colpire la boria di qualche nobiluomo spiantato, di qualche barnaboto, si può mettere in dubbio, essendo ormai consuetudine anche in Italia, sul palcoscenico (Fagiuoli, Gorini Corio, Becelli ecc.) e fuori, la rappresentazione ridicola della nobiltà affamata. (Ne esagerarono l’importanza sociale Ugo Müller, cit. da E. Maddalena, La Locandiera, in Giorn. ligustico, XX, 1893, p. 390; Vernon Lee, Il Settec. in it, Milano, II, 270; e forse il Maddalena stesso, 1. c,). Ricordiamo per tutti il conte Ottavio nella Castalda: sebbene qui più arguta e più intera, senza volgarità, fin dall’alzarsi della tela si stacchi la magra figura del Marchese, a cui di rincontro piantasi, facendo risonare i suoi zecchini, il recente conte d’Albafiorita: «... Sì, Conte! Contea comprata. - Io ho comprata la contea, quando voi avete venduto il marchesato ecc.» — Ortensia e Dejanira, cioè, sul teatro di Sant’Angelo, Caterina Landi ed Eleonora Falchi, servivano a compiere la pittura della locanda, il carattere del Cavaliere e la vittoria di Mirandolina. («...Immaginate dal G.» osservò Giulio De Frenzi «perchè lumeggiassero più brillantemente, mediante la loro ottusa venalità di donnette facili, la scaltra civetteria di Mirandolina. Senza quelle due macchiette il quadro scenico perde il suo equilibrio, e l’intenzione dell’artista è tradita»: Per il 2.o cent.io della nascita di C. G. il Teatro A- Manzoni, Milano, 1907, p. 13). Quanto a Fabrizio (sulla scena il brighella Marliani) il quale, a guisa di molti critici, non riesce a capire la bella locandiera, è personaggio troppo importante, perchè occorra richiamarvi a posta l’attenzione. — Ricercare poi che cosa storicamente e artisticamente rappresentino, nel secolo della Pompadour, del Casanova e di Laclos, Mirandolina e il cavaliere di Ripafratta; ridestare Manon e Des Grieux, la Maerianna e Pamela, Cleveland e Lovelace; ricordare le altre donne goldoniane e dire come e perchè differiscano da quelle di Molière; analizzare la vendetta di Mirandolina e la passione del Cavaliere nella vita e nella commedia, ci trarrebbe troppo lontani da un’umile Nota.
Strano che il pubblico da principio non si accorgesse di questo capolavoro, e che nemmeno l’autore ne avesse piena coscienza. La Locandiera non suscitò il grido della Vedova scaltra, della Pamela, del Molière, della Sposa Persiana, checchè affermino le Memorie (P, II, ch. 6): restò anzi un po’ confusa fra le minori sorelle. Pochi la ricordarono. Il Beregan appena la nomina («L’accorta Locandiera, i Mercanti, il Tutore ecc.» Museo di Apollo, 1754); appena la nomina Alvise Foscarini («La Dama e il Cavaliere, e la Serva amorosa, - La gaia Locandlera, e la sì deliziosa - Pamela ecc.» cod. Cicogna 2395 cit., e. 44). Qualcheduno, come il citato Verri, vi ammirò specialmente l’arte della Marliani. (Nello stesso poemetto si legge più sopra: «Esser può in prosa ancora una Commedia vera; - E fra le tue più elette conto la Locandiera - Là, ve specchiar si ponno i severi arroganti - Che insultan gl’infelici e malaccorti amanti ecc.»). I più si spaventarono per ragione della morale (p. es. l’estensore della Storia lett.ia d’It., vol. VIII, Modena, i755, p. 20: «... Benchè a leggerla non compaja meno che onesta, sul palco avvivata dall’azione non può non dispiacere a chi dal teatro vorrebbe a ragione levato ogni abuso contrario al buon costume» ); condannarono la commedia che offendeva il canone più sacro della scuola del teatro, e costrinsero Goldoni a difendere in questo modo la propria audacia, nella prefazione in testa alla stampa, fattasi a breve distanza dalla recita: «Fra tutte le Commedie da me sinora composte, starei per dire esser questa la più morale, la più utile, la più istruttiva».
A Parigi, nel 1764, l’autore ne cavò un canovaccio da recitarsi sul Teatro Italiano, col titolo di Camilla locandiera (Camille aubergiste, 1 maggio ’64: V. lett. dei 2 febbr. al march. Albergati, in Lettere di C. G. per cura di E. Masi, Boi. 1880; e Maddalena, La fortuna della Loc. ecc., estr. dalla Rivista d’It. nov. 1907, p. 722), ma con esito infelice, forse per colpa della riduzione (Grimm, 1. c.). A Roma fu presto conosciuto l’originale, nel 1754 (Cametti, Critiche e satire teatrali ecc., estr. dalla Riv. Music. Ital. 1902, p. 5); a Modena s’incontra tardi, nel ’73 (Modena a C. G., 1907, p. 240). Del resto solo interrottamente possiamo seguire le rappresentazioni di commedie goldoniane nel Settecento: ma è certo che la Locandiera risalì di rado sulle scene a Venezia e fuori. Leggo nel n. 22 del Diario Veneto, 22 genn. 1765: Teatro di S. Samuele, «Si recita il Cavaliere di Ripafratta o. sia il Marchese di Forlipopoli. Commedia bellissima e tutta da ridere». È merito delle compagnie comiche veneziane dell’estremo Settecento di aver ricondotto alla luce questo capolavoro, il quale doveva poi avviarsi al giro glorioso per tutta Europa: col suo vero titolo, o con quello appiccicato (Gli amanti in locanda. Li tre amanti in locanda. Li tre rivali in locanda), lo ritroviamo più volte sui teatri di S. Gio. Crisostomo (Teatro Civico nel 1797) e di S. Luca, tra il 1796 e il 1801, per opera delle compagnie Battaglia, Perelli, Goldoni, Bianchi (v. Giorn. dei teatri di Ven.); e nel 1803 a S. Benedetto (I quattro amanti in locanda), a S. Luca, a S. Gio. Crisostomo, compagnie Venier-Asprucci, Battistini-Scovazzo e Fabbrichesi-Gnocola (v. Giornaletto teatrale). Ma nell’Ottocento le recite nelle principali città d’Italia, da Torino a Napoli, non si contano più.
Intanto a Parigi nel 1791 applaudivasi una raffazzonatura in versi francesi (La Jeune hótesse) di Carbon Flins des Oliviers, che tornò infinite volte sul teatro, e che trent’anni dopo generò in Germania altre fortunate Locandiere tedesche, famosissima fra tutte la Mirandolina di Carlo Blum (Berlino, 1828), tradotta pure a Varsavia nel ’34. (V. preziose notizie in Maddalena, La fortuna della Loc. fuori d’It., cit.). - Finalmente nel 1830 Carolina Internari, alunna di Annetta Pellandi, recitava a Parigi nel testo originale il capolavoro di Goldoni: e precedeva di 26 anni il trionfo nelle capitali d’Austria, di Francia e d’Inghilterra, di Adelaide Ristori (segnato da tre fedeli versioni: V. Maddalena cit.). È lecito affermare che per virtù di questa straordinaria attrice la Locandiera acquistò cittadinanza mondiale; e da allora si ebbero traduzioni in lingua russa danese czeca portoghese rumena, da aggiungersi a quelle in lingua spagnola greca ungherese che già esistevano (Maddalena); e di teatro in teatro Mirandolina, sempre giovine e sorridente, si trasse dietro «il povero cavaliere di Ripafratta, l’odiatore delle donne, il più ingenuo degli innamorati». (G. Ortolani, Della vita e dell’arte di C. G., Ven. 1907, p. 68).
Tuttavia i critici, come suole talvolta, si mostrarono meno sensibili del pubblico alle lusinghe della Locandiera. Dopo Grimm, lo stesso Goethe che vide a Roma nel 1787 (?) rappresentar la commedia, chiamò insulso lo scioglimento (v. la versione di Benedetto Croce dai frammenti Sull’Italia, nella pref. di Aless. Ademollo ai Teatri di Roma nel sec. XVII, Roma, 1888, pp. XXIV- XXVI; e Maddalena, La Loc., in Giorn. ligustico XX, 1893, pp. 396-7); e dovette il Klein nel secolo seguente assumere le difese di Goldoni (Geschichte des Drama’s von Klein, VI. I, Leipzig, 1868, pp. 524 sgg.; V. Maddalena, La fortuna ecc., 720). Con molta acutezza di pensiero volle ai dì nostri Camillo von Susan rendersi ragione del paradosso goethiano, che il carattere di Mirandolina si possa tollerare soltanto quando sia interpretato sulla scena da un uomo, come facevasi a Roma nel Settecento: e dimostrò quanto sia logica, all’infuori d’ogni romanticheria, la soluzione della commedia. («...In der Loc. haben wir einen der feinsten, lebenswahrsten Schlüsse, denn je ein Dramatiker erfunden hat.» Goethe und Goldonis «La Loc.», in Osierreichische Rundschau, 1 febbr. 1909).
Nelle Notizie pubblicate a Venezia nel t. XV (1797) del Teatro moderno applaudito, in coda alla commedia, tre difetti si additano: le figure intruse di Ortensia e Dejanira, che rallentano l’azione, la parte soverchia assegnata al Marchese, e l’innamoramento subitaneo del Cavaliere. Molti nell’Ottocento la dimenticarono, per esempio il Carrer (1825) il Meneghezzi (’27) il Paravia (’30) il Ciampi (’60); il Masi non le lasciò posto nella Scelta dì commedie di C. G., (1892); al Braggio parve «rasentare... la caricatura» (Le donne del G., in Strenna rachitici, Genova, 1889, p. 131); il Rabany (1896) se ne sbrigò con brevi parole; poco se ne curarono il Galanti (C. G., Padova, 1882, p. 225) e Giulio Caprin (C. G. Mil., 1907: «Mirandolina non è la civetta, ma è una speciale sfumatura di civetteria, e forse proprio per questo ci dà quel senso di realtà profonda, che un carattere assoluto non ci darebbe» p. 299); infine la trascurò Filippo Monnier (Venise au XV III. siecle, Paris, 1907). Nella schiera degli ammiratori ascoltiamo Dom. Gavi (Della vita di C. G., Milano, 1826, pp. 154-5): «La Locandiera è un portento dell’arte ecc.... Io non so qual più scabroso impegno possasi un poeta teatrale addossare; e pure son tanti e tali, si fini, gradati, impercettibili i lazzi, le astuzie, le piccole attenzioni, i discorsi vibrati, svelti, maliziosi che Mirandolina adopera, che vince ogni difficoltà, s’insinua in quell’ispido, irsuto cuore, e per forza lo domina: due bellissimi effetti negli uditori producendone, di tenero pianto e di piacevolissimo riso, come distintamente nelle tre ultime scene dell’atto terzo, preparate e condotte da divino maestro, ove è impossibile non ridere e piagnere a un tempo istesso, venendone lagrime abbondanti agli occhi, spremute da due diverse cagioni; evvi un movimento di vani affetti: sdegno, bile, amore, tenerezza, ridicolo; cosa più bella non si può dare». Ma poi pare al Gavi troppo avviluppato il nodo e ne critica lo scioglimento. Poco di notevole nei giudizi del Sismondi (De la littèr. du Midi de l’Europe, Bruxelles, I, 1837, p. 503), di Raffaello Nocchi (Comm. scelte di C. G., Firenze 1856, p. 285), di Gius. Guerzoni (Il Teatro ital. nel sec. XVIII, Milano 1876, pp. 182 e 218). Carlo Dejob là dove accenna, nella commedia del Settecento, all’uomo innamorato suo malgrado, dopo aver nominato Manvaux, continua: «Mais le chef-d’oeuvre du genre est la Locandiera, cette charmante pièce de G. dont tout Paris s’est entretenu naguère, quand une eminente actrice est venue nous la représenter; jamais on n’a mieux peint le mélange de prévenance et de réserve, d’abandon et de rigueur, de tendresse et d’indifférence par lequel une femme peut faire perdre un instant la tête a un galant homme qui se croyait à l’épreuve de toutes les séductions. La pièce de Bouilly, Haine aux femmes (1808), est bien faible en comparaison ecc.» (Les femmes dans la comédie au XVIII.e siècle, Paris, 1899, p. 72).
Negli ultimi anni Mirandolina affascinò e rapì... fino gli eruditi. Due edizioni uscirono della Locandiera, ad uso delle scuole, per cura di Ferruccio Martini (Roma, Albrighi-Segati, 2.» ed., 1904) e di G. Tambara (Torino, Paravia, 1901): e alcune scene rallegrarono le antologie scolastiche. Nel 1907 ne proclamarono l’immortalità, fra gli altri. Renato Simoni («La Loc. non solo è una commedia tutta fatta di aurea e squisita trina psicologica, ma ha per protagonista quella Mirandolina che a me sembra la donna più giustamente e semplicemente conoscitrice del cuore umano che il teatro abbia mai prodotto »: Per G., in La Vedetta, Fiume, I, 1907, n. 11, p. 285), Giulio De Frenzi (o sia L. Federzoni, il quale annovera la Loc. «fra le commedie più serenamente immorali del nostro teatro» 1. e.) e Sabatino Lopez («Tutte le volte che leggo G., è per me una disperazione ecc.... Tutte le volte che ho pensato quale commedia di tutto il repertorio vorrei avere scritto, ho scelto: La Locandiera»: Per il 2.o cent.io il T. Manzoni cit., p. 83). Da ultimo Pietro Toldo la collocò accanto ai Rusteghi e alle Baruffe chiozzotte, contrapponendo Goldoni a Molière (L’oeuvre de Molière et sa fortune en Italie, Torino, 1910, pp. 374, 377, 392). Che più? Lo stesso Maddalena, il quale ne’ primi anni aveva fatto il viso un po’ duro alla Locandiera (Giorn. ligust. cit.), negandole il titolo di capolavoro, si lasciò sedurre un poco per volta, e per ammenda ricercò pazientemente le orme gloriose della incantatrice fuori d’Italia, di paese in paese, in un suo bellissimo saggio, dove confessa: «Meritata dunque la sua grande fortuna in Italia e fuori. Per numero di traduzioni (riduzioni) vien subito dopo il Burbero ecc, e supera di poco il Servitore di due padroni. A queste tre commedie deve C. G. se il suo nome in Europa non vegeta ancora solo nelle storie letterarie e nelle enciclopedie. - La bibliografia che segue insegna che la Locandiera fu tradotta (ridotta o imitata) in altre lingue una trentina di volte». (L. c., 720-1. Poco ci sarebbe da aggiungere: un’altra vers. inglese, d’uso scolastico, edita nel 1901 a Boston, un’altra spagnola ed. a Barcellona, 1906).
Ma noi siamo ormai stanchi di tanto peregrinare, e senza curarci d’altro (un articolo di G. Larroumet, 1901, cita Della Torre, Bibl. gold., 102-3; raccostarono Giacosa a Goldoni, in grazia della Loc., Maurizio Wilmotte in qualche conferenza tenuta a Bruxelles, e, fra gli altri, G. M. Scalinger Mirandolina - Nennele, in La Ribalta, Napoli, 25 febbr. 1907; v. poi Ferd. Martini, C. Gold., in La Vita italiana nel Settecento (1895), Milano, Treves, pp. 229-232: Schmidbauer, Das comische bei G., München, 1906, pp. 75-7 e pref. alla Loc, Strasburgo, Heitz, 1910, in Bibliotheca Romanica, n. 109: E. Maddalena, Lessing e Goldoni, estr. dal Giorn. Storico, XLVII, 1906, pp. 10-1 1, per qualche reminiscenza nella Minna con Barnhelm - e si potrebbe seguitare per un bel pezzo, accennando anche a qualche ispirazione poetica), rivolgiamo un ultimo sguardo d’appassionato rimpianto alle grandi e alle leggiadre interpreti dell’Ottocento, a Maddalena Gallina, ad Anna Fiorilli Pellandi, a Carlotta Marchionni, a Rosa Bugamelli Sacchi, a Rosa Romagnoli, a Maddalena Pelzet, ad Albina Pasqualini, alla Ristori, alla Marini, alla Tessero, alla Reiter, alla Vitaliani ecc. e alla divina Duse; e, oltralpe, alle Mirandoline tedesche, la Velsing, la Heidn, la Devrient, Carlotta Hagn, Carolina Müller, Teresa Peche, Clara Stich, Agnese Sorma ecc., e a quelle d’ogni paese, la Zuericowska, polacca, Irene Vanbrugh, inglese, Lucinda do Carmo, portoghese ecc. (v. Maddalena, 1. e). - E quante volte all’orecchio della fanciulla creata da Carlo Goldoni risuonarono le note musicah! Sette libretti contò il Musatti (Drammi music, di G. e d’altri tratti dalle sue comm.e, Ven., 1898, p. 7) musicati da Seb. Nasolini (Amor la vince, 1793 e la Loc., 1800) Simone Mayr (due, nel 1800) Gius. Farinelli (la Loc. di spirito, 1805) Salvat. Agnello (1839) Emilio Usiglio (1861); un ottavo scoperse il Maddalena (Libretti del Gold, e d’altri, estr. dalla Rio. music, it., VII, 1900, p. 4-5), con musica di Ant. Salieri, (1 773), e di tre altri sospettò l’origine goldoniana (la Locandiera di spirito, Napoli, 1768: v. Croce, I teatri di Nap., p. 540; la Belle hôtesse, 1793; l’Albergatrice scaltra, Napoli 1807): il primo dei quali, primo anche per tempo, segnò pure il Ricci, con musica di Piccinni (nel 1 770, a Bologna: v. Corr. Ricci, I teatri di Bol., ecc., Bol., 1888, p. 490). Nella Gazzetta Urbana Veneta dei 13 ott. 1793 si ricorda una Locandiera, o sia il Fanatico in berlina, del Paisiello. (Noto subito che nulla ha da che fare con Goldoni una farsetta col titolo di Locandiera, stampata nel 1759 a Siena tra i Compon. teatrali di Gir. Gigli, attribuiti invece a Gabriello Gabrielli).
Vero è che troppo umile parve a taluno la condizione sociale di Mirandolina, ma nel Settecento l’arte scendeva volentieri fino al popolo: e lo stesso rimprovero fu fatto, dopo le commedie goldoniane, agli eroi del romanzo di A. Manzoni. Invano Alberto Nota volle donare al teatro una Lusinghiera 1814, recit. 1819) ingentilita e punita: la sua donna Giulia passò sul palcoscenico con un fruscio di vesti eleganti, fatta vivere per poco da Carlotta Marchionni, e appassì come il mazzo di fiori che teneva in mano. - Mirandolina continua oggi e sempre a stirare la biancheria, mentre scoppiano nella locanda gli alterchi del Conte e del Marchese, e cresce drammaticamente la passione del cavaliere di Ripafratta: stira, e canta Viva Bacco e viva Amore; poi ci lascia pieni del suo profumo femminile, ripetendo con dolcezza il saluto: Compatite se non vi ho fatto... - Sulla sua giovinenza è già trascorso più di un secolo e mezzo, ma nessuno le potrà togliere il vanto di essere la figura di donna più viva di tutto il teatro comico.
Chi desiderasse notizia del senatore Giulio Ruccellai, a cui fu dedicata dall’autore la Locandiera, professore a Pisa negli anni 1727-1730, auditore nella giurisdizione di Firenze dal 1 734 fino alla morte (m. 1778, d’a. 76), ricerchi A. Zobi, Storia civile della Toscana; L. Passerini, Geneal. e storia della famiglia R.; ed E. Teza, Spigolature, in Nuova Antol., marzo 1875: citati da G. Mazzoni nelle note ai Mèmoires, ed. Firenze, Barbera, 1907, t. I, 442-3. Lo conobbe il Goldoni a Firenze nella state, pare, del 1744 (Mem.es, P. I, ch. 48).
G. O.
Questa commedia fu stampata la prima volta nell’estate del 1753, nel t. II dell’ed. Paperini di Firenze, e fu dentro l’anno ristampata a Pesaro (Gavelli, II) a Bologna (Corciolani, V) a Venezia (Bettinelli, VII) e nel 1756 a Torino (Fantino e Olzati, 111). Uscì di nuovo a Venezia l’anno 1762, nel t. IV dell’ed. Pasquali, e nel ’71 (Savioli, IX), nell’89 (Zatta, cl. 1. IV), nel ’94 (Garbo. IV); a Torino (Guibert e Orgeas, IV, ’72); e quindi a Livorno (Masi, I, ’88), a Lucca (Bonsignori, IV, ’88) e altrove nel Settecento. Nel 1843 uscì nel testo italiano anche a Monaco di Baviera, presso Giorgio Franz, e in questi giorni a Strasburgo, presso Heitz e Mündel. Oltre le due edd. scolastiche citate, basta ricordare nel 1902 quella di A. Padovan, in Commedie scelte di C. G., Milano, Hoepli. - La presente edizione seguì principalmente il testo più curato del Pasquali, ma reca in nota a piè di pagina le varianti dell’ed. Paperini ecc. Le note segnate con lettera alfabetica appartengono al commediografo.