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tenerezza, ridicolo; cosa più bella non si può dare». Ma poi pare al Gavi troppo avviluppato il nodo e ne critica lo scioglimento. Poco di notevole nei giudizi del Sismondi (De la littèr. du Midi de l’Europe, Bruxelles, I, 1837, p. 503), di Raffaello Nocchi (Comm. scelte di C. G., Firenze 1856, p. 285), di Gius. Guerzoni (Il Teatro ital. nel sec. XVIII, Milano 1876, pp. 182 e 218). Carlo Dejob là dove accenna, nella commedia del Settecento, all’uomo innamorato suo malgrado, dopo aver nominato Manvaux, continua: «Mais le chef-d’oeuvre du genre est la Locandiera, cette charmante pièce de G. dont tout Paris s’est entretenu naguère, quand une eminente actrice est venue nous la représenter; jamais on n’a mieux peint le mélange de prévenance et de réserve, d’abandon et de rigueur, de tendresse et d’indifférence par lequel une femme peut faire perdre un instant la tête a un galant homme qui se croyait à l’épreuve de toutes les séductions. La pièce de Bouilly, Haine aux femmes (1808), est bien faible en comparaison ecc.» (Les femmes dans la comédie au XVIII.e siècle, Paris, 1899, p. 72).

Negli ultimi anni Mirandolina affascinò e rapì... fino gli eruditi. Due edizioni uscirono della Locandiera, ad uso delle scuole, per cura di Ferruccio Martini (Roma, Albrighi-Segati, 2.» ed., 1904) e di G. Tambara (Torino, Paravia, 1901): e alcune scene rallegrarono le antologie scolastiche. Nel 1907 ne proclamarono l’immortalità, fra gli altri. Renato Simoni («La Loc. non solo è una commedia tutta fatta di aurea e squisita trina psicologica, ma ha per protagonista quella Mirandolina che a me sembra la donna più giustamente e semplicemente conoscitrice del cuore umano che il teatro abbia mai prodotto »: Per G., in La Vedetta, Fiume, I, 1907, n. 11, p. 285), Giulio De Frenzi (o sia L. Federzoni, il quale annovera la Loc. «fra le commedie più serenamente immorali del nostro teatro» 1. e.) e Sabatino Lopez («Tutte le volte che leggo G., è per me una disperazione ecc.... Tutte le volte che ho pensato quale commedia di tutto il repertorio vorrei avere scritto, ho scelto: La Locandiera»: Per il 2.o cent.io il T. Manzoni cit., p. 83). Da ultimo Pietro Toldo la collocò accanto ai Rusteghi e alle Baruffe chiozzotte, contrapponendo Goldoni a Molière (L’oeuvre de Molière et sa fortune en Italie, Torino, 1910, pp. 374, 377, 392). Che più? Lo stesso Maddalena, il quale ne’ primi anni aveva fatto il viso un po’ duro alla Locandiera (Giorn. ligust. cit.), negandole il titolo di capolavoro, si lasciò sedurre un poco per volta, e per ammenda ricercò pazientemente le orme gloriose della incantatrice fuori d’Italia, di paese in paese, in un suo bellissimo saggio, dove confessa: «Meritata dunque la sua grande fortuna in Italia e fuori. Per numero di traduzioni (riduzioni) vien subito dopo il Burbero ecc, e supera di poco il Servitore di due padroni. A queste tre commedie deve C. G. se il suo nome in Europa non vegeta ancora solo nelle storie letterarie e nelle enciclopedie. - La bibliografia che segue insegna che la Locandiera fu tradotta (ridotta o imitata) in altre lingue una trentina di volte». (L. c., 720-1. Poco ci sarebbe da aggiungere: un’altra vers. inglese, d’uso scolastico, edita nel 1901 a Boston, un’altra spagnola ed. a Barcellona, 1906).

Ma noi siamo ormai stanchi di tanto peregrinare, e senza curarci d’altro (un articolo di G. Larroumet, 1901, cita Della Torre, Bibl. gold., 102-3; raccostarono Giacosa a Goldoni, in grazia della Loc., Maurizio Wilmotte in