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LA LOCANDIERA | 291 |
V. Maddalena cit.). È lecito affermare che per virtù di questa straordinaria attrice la Locandiera acquistò cittadinanza mondiale; e da allora si ebbero traduzioni in lingua russa danese czeca portoghese rumena, da aggiungersi a quelle in lingua spagnola greca ungherese che già esistevano (Maddalena); e di teatro in teatro Mirandolina, sempre giovine e sorridente, si trasse dietro «il povero cavaliere di Ripafratta, l’odiatore delle donne, il più ingenuo degli innamorati». (G. Ortolani, Della vita e dell’arte di C. G., Ven. 1907, p. 68).
Tuttavia i critici, come suole talvolta, si mostrarono meno sensibili del pubblico alle lusinghe della Locandiera. Dopo Grimm, lo stesso Goethe che vide a Roma nel 1787 (?) rappresentar la commedia, chiamò insulso lo scioglimento (v. la versione di Benedetto Croce dai frammenti Sull’Italia, nella pref. di Aless. Ademollo ai Teatri di Roma nel sec. XVII, Roma, 1888, pp. XXIV- XXVI; e Maddalena, La Loc., in Giorn. ligustico XX, 1893, pp. 396-7); e dovette il Klein nel secolo seguente assumere le difese di Goldoni (Geschichte des Drama’s von Klein, VI. I, Leipzig, 1868, pp. 524 sgg.; V. Maddalena, La fortuna ecc., 720). Con molta acutezza di pensiero volle ai dì nostri Camillo von Susan rendersi ragione del paradosso goethiano, che il carattere di Mirandolina si possa tollerare soltanto quando sia interpretato sulla scena da un uomo, come facevasi a Roma nel Settecento: e dimostrò quanto sia logica, all’infuori d’ogni romanticheria, la soluzione della commedia. («...In der Loc. haben wir einen der feinsten, lebenswahrsten Schlüsse, denn je ein Dramatiker erfunden hat.» Goethe und Goldonis «La Loc.», in Osierreichische Rundschau, 1 febbr. 1909).
Nelle Notizie pubblicate a Venezia nel t. XV (1797) del Teatro moderno applaudito, in coda alla commedia, tre difetti si additano: le figure intruse di Ortensia e Dejanira, che rallentano l’azione, la parte soverchia assegnata al Marchese, e l’innamoramento subitaneo del Cavaliere. Molti nell’Ottocento la dimenticarono, per esempio il Carrer (1825) il Meneghezzi (’27) il Paravia (’30) il Ciampi (’60); il Masi non le lasciò posto nella Scelta dì commedie di C. G., (1892); al Braggio parve «rasentare... la caricatura» (Le donne del G., in Strenna rachitici, Genova, 1889, p. 131); il Rabany (1896) se ne sbrigò con brevi parole; poco se ne curarono il Galanti (C. G., Padova, 1882, p. 225) e Giulio Caprin (C. G. Mil., 1907: «Mirandolina non è la civetta, ma è una speciale sfumatura di civetteria, e forse proprio per questo ci dà quel senso di realtà profonda, che un carattere assoluto non ci darebbe» p. 299); infine la trascurò Filippo Monnier (Venise au XV III. siecle, Paris, 1907). Nella schiera degli ammiratori ascoltiamo Dom. Gavi (Della vita di C. G., Milano, 1826, pp. 154-5): «La Locandiera è un portento dell’arte ecc.... Io non so qual più scabroso impegno possasi un poeta teatrale addossare; e pure son tanti e tali, si fini, gradati, impercettibili i lazzi, le astuzie, le piccole attenzioni, i discorsi vibrati, svelti, maliziosi che Mirandolina adopera, che vince ogni difficoltà, s’insinua in quell’ispido, irsuto cuore, e per forza lo domina: due bellissimi effetti negli uditori producendone, di tenero pianto e di piacevolissimo riso, come distintamente nelle tre ultime scene dell’atto terzo, preparate e condotte da divino maestro, ove è impossibile non ridere e piagnere a un tempo istesso, venendone lagrime abbondanti agli occhi, spremute da due diverse cagioni; evvi un movimento di vani affetti: sdegno, bile, amore,