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XLIII XLV

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XLIV. — In questa parte dice lo conto che lo re vedea bene che lo nano dicea veritade, ma sí grande era la ’nvidia che hae di T. che dicea, egli è pur bisogno ch’egli combatta con lui. E lo re disse: «Nano, tu puoi bene fare sí ch’io avroe tua dama e non sarae distrutta». E allora rispuose lo nano e disse: «Questo farò io volontieri, sí veramente ch’io non ne sia chiamato traditore». E lo re disse: «Io ti voglio dire in che maniera tu lo puoi fare sí che non ne sarai ripreso. Tu sí andrai con T. sí come tu gli hai promesso, e io monteroe a cavallo, tutto bene armato di tutte arme, e anderomine al passo dell’Agua dela Spina e quivi aspeteroe tanto che T. verrae, e poi si combatteroe con lui e metterollo a terra del cavallo. E dappoi ch’io l’avroe abattuto, si vorroe che tu mi metti a lato dela dama in luogo di T.». E lo nano disse: «Come sapete voi che voi vi possiate bene diliverare [p. 50 modifica] da T. cosí leggieremente? E giá dice l’uomo ch’egli è sí buono cavaliere che non si truova migliore di lui. E imperciò vi consiglio che voi non mettiate vostra persona in aventura di morire». E lo re disse allora allo nano, quando udio ciò: «Nano, per mia fé, tu mi vedrai sí pro cavaliere, che tue ti meraviglierai». E a tanto si finano loro parlamento. E allora lo nano uscio nela sala, e T. quando lo vide sí gli disse: «Nano, io sono apparechiato di venire a tutte le fiate che ti piacerae». E lo nano disse che l’ora non iera ancora venuta, «ma aspettate infino che notte sarae». E lo re Marco chiamoe lo scudiere nela camera sua e sí gli disse: «Vae incontanente e apparechiami mia arme ed aconciami mio distriere, ch’io vorrò cavalcare fuori dela terra, dappoi che la notte sarae venuta. E voglio che tu mi facce compagnia, e sí ti dico che tu ti debie bene guardare che tu queste parole non manifesti a servi né a persona del mondo; ch’io mi farò malato e accomiaterò tutti li cavalieri di mia corte». E lo scudiere disse che questo egli fará volontiere. E allora lo scudiere si partío dalo re e cognosce bene che suo segnore è fello.

Ma appresso che la notte fue venuta e lo re si fa dare commiato a tutti li suoi baroni e fae dire loro che lo re è malato di sua persona. E allora sí si partono tutti li suoi baroni e ciascheduno sí si torna al suo albergo. Ed allora lo re sí s’apparecchia e sí prende sua arme. E dappoi che fue armato ed egli sí si partio dela camera e venne nelo giardino, e quivi aspetta lo suo iscudiere. E istando per uno poco e lo scudiere si fue venuto coli cavagli alo giardino, e lo re montoe a cavallo e lo scudiere gli porta lo scudo e la lancia dietro. E partesi del giardino e cavalcano inverso il passo dell’Agua dela Spina. E quando fuerono giunti al passo e lo re disse alo scudiere; «Aspettiamo qui dinfino che lo cavaliere verrae». Allora disse lo scudiere: «Per certo vi dico, re Marco, che voi non mi parete bene savio, quando voi volete combattere coli cavalieri erranti, li quali vegnono in vostra terra. Ma dappoi che volete combattere con loro, gli aspettate fuori di vostro reame, sí che voi non siate tenuto o chiamato [p. 51 modifica] traditore». Allora disse lo re: «Io no l’aspetteroe altrove che a questo passo». E allora ismontoe giuso lo re da cavallo. E istando per poca d’ora e T. venne colo nano, e lo re, incontanente che lo vide, sí prese l’arme e montoe a cavallo e andoe inverso di lui e sí gli disse: «Cavaliere, guardati da me, ch’io ti disfido». Ma T., quando intese la boce deio cavaliere, disse in fra se medesimo: «Qui non è da fare altro se no da fedire». E allora broccia lo cavallo l’uno contra l’altro, e lo re fiede a T. sopra lo scudo e dagli sí grande colpo che passa lo scudo e l’asbergo e fecegli grande piaga nela sua carne, e la lancia si ruppe in pezzi. E T. ferio alo re sopra lo scudo e passa lo scudo e l’asbergo e misegli lo ferro dela lancia nela spalla sinestra e bene in profondo, e miselo in terra delo cavallo e la lancia sí si ruppe in pezzi. E alo cadere che lo re fece, si spasimoe. E T. disse alo nano: «Oramai andiamo a nostra via, ché di costui sierno noi oramai diliverati». E allora cavalcano intrambodue e tanto cavalcano in cotale maniera che vegnono alo giardino dela damigella dela fonte dell’Agua dela Spina e quine ismontano. E T. si disarmoe e fasciossi la ferita ch’egli avea, e, dappoi che fue fasciato, sí si mise l’arme in dosso e disse alo nano: «Vae a tua dama e dille sí com’io sono qui e aspetto suo comandamento». E allora si parte lo nano e vae a sua dama e truovala ch’iera a letto e grande ora dela notte iera passata. E la dama, quando vide lo nano, sí gli disse e domandollo: «Ov’è T.?». E lo nano disse: «Madonna, egli è alo giardino e aspetta tutto vostro comandamento». E allora disse la damigella: «Vae tosto e menalo quae». E allora torna lo nano a T. e disse a T. tutto ciò che la damigella gli hae comandato. E allora montoe a cavallo e partisi deio giardino e venne alo palagio e quivi ismontoe e andoe suso nela camera ala damigella e trovoe ch’iera coricata nel letto. E T. sí si disarmoe e introe nel letto cola damigella e incornincioe a fare grande gioia e grande festa insieme l’uno coll’altro, e la damigella incomincioe a basciare ed a abraciare T. e fecero intrambidue loro volontade e loro compimento d’amore. E [p. 52 modifica] dappoi egli si cominciarono a ragionare insieme di molte cose, e T. e la damigella si stettero in molto sollazzo. E fatto compimento di loro amore e ecco giungere lo nano, e disse a T.: «Leva suso, che eco mio sire ch’è giuso ala porta del palagio». E T. quando intese queste parole si prese l’arme e dimandoe commiato dala damigella e montoe a cavallo e partisi del palagio. E lo marito dela damigella montoe suso in palagio e venne nela camera dela damigella e incontanente fuorono recati li doppieri accesi. E lo cavaliere guardando alo letto, vide ch’iera pieno di sangue. E allora disse ala damigella: «Unde è venuto questo sangue ch’è cosí fresco?». E la damigella piena di paura rispuose e disse: «Questo sangue è uscito del mio naso, ché tutta notte non hae fatto altro ch’uscire sangue del mio naso». E lo cavaliere disse: «Dama, dama, queste parole non ci afe mistiere, ché d’altra parte è venuto questo sangue che di vostro naso». E la damigella incomincioe a giurare ch’ella avea detta la veritade. E lo cavaliere, il quale avea nome Lambegues, si mise mano ala spada e disse: «O tu mi dirai lo cavaliere, il quale è giaciuto con teco o io t’uccideroe». E allora la damigella si ebe grande paura e disse: «In prima che voi m’uccidiate, io vi diroe lo nome deio cavaliere». E disse: * E’ fue T. lo nepote del re Marco di Cornovaglia, lo quale è partito ora di quie». E allora disse Lambegues: «Dama, per mia fé male avete pensato, quando mia onta procacciaste. Ma voi caro l’acatterete». E lo cavaliere montoe a cavallo e tenne di dietro al cavaliere. E cavalcando in tale maniera e T. incomincioe a dire in fra se medesimo: «Ora bene son io disaventuroso cavaliere, quando sí tosto mi sono partito dala damigella». Molto si compiangea T. fra se medesimo di questa aventura. [Ma Lambegues cavalca inverso T. molto aspramente] e poi l’ebe veduto alo splendore dela luna, e disse: «T., guardati da me ch’io ti disfido». E T. quando udio lo cavaliere, si dirizzoe la testa deio suo cavallo inverso di lui, e lo cavaliere ferio a T. sopra lo scudo e passolli lo scudo e l’asbergo e fecegli grande piaga nela carne, sí che la lancia si ruppe in pezzi. [p. 53 modifica] E T. quando si sentio fedito, si fedio egli lo cavaliere sopra l’elmo dela spada e diedegli sí grande colpo che gli passoe l’elmo e la cuffia del ferro e fecegli grande piaga nel capo. E lo cavaliere cadde a terra del cavallo, e alo cadere che fece lo cavaliere si ispasimoe. E allora disse T. «Cavaliere, combatteremo noi piú?». E lo cavaliere non rispuose. E T. credea che fosse morto e disse: «Cavaliere, se tu m’hai fedito, io non credo che tu guari tempo ti ne possi lodare». E allora si partio T. e torna al suo palagio. E quando Governale vide che T. iera fedito, incomincioe a fare grande pianto e dicea: «Oi lasso me, ché mala guardia hoe presa di voi, dappoi che voi siete in cotale maniera ferito». E T. rispuose e disse: «Bello dolze maestro, non temete di me, imperciò ch’io non hoe fedita ch’io non de guerisca e legieremente». E incontanente vennero i medici e guardano la fedita di T. ed ebero trovata la fedita che ricevette dappoi e vie piú pericolosa che quella ch’egli avea ricevuto inprima. E dappoi che l’ebero medicato ed egli andarono a medicare lo re Marco, e trovarono la fedita del re vie piú pericolosa che quella di T. Ma dappoi che seppe lo re che T. giacea dela sua fedita, disse allo scudiere lo quale l’avea acompagnato all’Agua dela Spina: «Tu credei ch’io avesse lo peggio dela battaglia, ma tu puoi vedere ch’io hoe podere d’andare e di venire e T. non si puote levare. Ma io voglio andare a vedere si com’egli istae». E quando egli fue venuto alo letto a T. ed egli sí gli disse: «Dolze mio nepote, come istai?». E T. gli disse: «Io istoe meglio ch’alcuna gente non vogliono». E lo re disse: «Ora puoti vedere che in questo reame hae altressi pro cavalieri d’arme come tue. Ma sai tu chi t’hae fedito?». E T. disse: «Io non lo so ora, io lo saprò bene tosto». Ed allora crede lo re ch’egli dica pur per lui, ed allora sí si partio e tornossi alo palagio. E T. stette XX giorni che non potea portare arme.