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LXII LXIV

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LXI1I. — A tanto dice lo conto che dappoi che T. rimase co madonna Isotta e con Governale, molto si disconforta madonna Isotta di questa aventura, compiangendosi di tanto sollazzo quant’eglino aveano insieme, ed ora iera loro venuto questo istorpio intra le mani. «Ma qualunque altro cavaliere del reame di Longres fosse istato, di questa aventura non mi ne sarei cosí contristata. Ma ora si pare che per mia disaventura sia venuto qui lo migliore cavaliere del mondo in questo luogo», credendo la reina che sia messer Lancialotto. Molto si compiange fra se istessa madonna Isotta e Governale in quella notte. E T. tuttavia sí si riconfortava, imperciò ch’egli non ne cura giá neente, «ché se messer Lancialotto ci fosse, io ho grande volontade di combattere con lui, magiore che co neuno cavaliere del reame di Longres. E sed egli pace vorrae ed egli pace avrae, e sed egli battaglia vorrae, di battaglia non gli fallirò io a tutto mio podere». Ed alo matino si leva T. e sí s’arma ed apparecchiasi e montoe a cavallo, e viene contra a valle alo castello. E Governale sí gli porta lo scudo e la lancia, e madonna Isotta sí gli fae compagnia infino ala porta delo castello. E T. cavalcoe oltre e madonna Isotta rimane. E quando T. fue giunto al prato lá dove iera lo cavaliere, vide che giá iera montato a cavallo: no gli falla se non la giostra. E T. si parla a Governale e dicegli: «Va e dimanda lo cavaliere sí com’egli hae nome, imperciò che s’egli è Lancialotto, io non vorrei combattere con lui, cioè s’i’ potesse avere con lui pace sí la vorrei volontieri». A tanto si parte Governale e viene al cavaliere e sí lo saluta cortesemente e lo cavaliere sí gli rende suo saluto. E Governale dice: «T., lo nepote del re Marco di Cornovaglia, sí manda a dire per me, che voi sí gli dobiate dire lo vostro nome». Or dice lo cavaliere: «I’ hoe nome Galeotto, lo sire dele Lontane Isole, a cui egli hae morto lo mio padre e la mia madre. [p. 81 modifica] E imperciò sono io venuto qui per prendere vengianza di lui». E a tanto sí ne torna Governale a T. e sí gli rinunzia lo nome delo cavaliere e dice: «Egli hae nome Galeotto, lo sire dele Lontane Isole, e dice che si è venuto per prendere vengianza di voi». E quando T. udío ch’egli era Galeotto, lo piú alto principe del mondo e lo piú valentre, si dice infra se medesimo: «Or son io lo piú aventuroso cavaliere del mondo, da poi ch’io sono ala battaglia con cosí alto principo». Molto si riconforta T. di questa aventura. A tanto sí cavalcoe Galeotto inverso T. e sí gli disse: «Sire cavaliere, io vi dico che voi vi dobiate guardare da me, imperciò ch’io vi disfido». Allora sí prese T. lo scudo e sua lancia e prendono del campo li cavalieri, quanto ne fae loro bisogno, e sí s’abassano le lancie insieme e vegnosi a fedire. Ora feggiono di tutta loro forza, sí che ciascheduno ruppe la sua lancia in pezzi. E poi sí si avisano li cavalieri l’uno a petto dell’altro, e rifeggionsi insieme, sí che ciascuno cadde a terra del cavallo e i loro cavagli riverti in terra sopra loro segnori, sí che ciascheduno si duole di quella caduta. Appresso sí si levano li cavalieri, al piú tosto ch’egli possono, sí come uomini che sono di grande forza e di grande leggerezza, e mettono mano ale spade e fannosi grande assalto l’uno contra l’altro. E cominciansi a dare di grandissimi colpi d’una parte e d’un’altra, sí che in poca d’ora non vi n’hae neuno che non abia fedite assai e grande e picciole; sí che ciascheduno di loro si fae grande maraviglia dela forza che truovano ciascheduno di loro al suo compagnone. E tanto dura lo primo assalto che madonna Isotta, la quale istava in su le mura del castello a vedere la battaglia de’ due cavalieri, sí forte e sí dura e sí crudele a vedere, vedendo madonna Isotta lo suo carissimo amico in cotale battaglia e vedendo i grandi colpi che Galeotto dava a monsegnore T., soventi e minuti, sí che alcuna volta inchinava o volesse o no a forza d’arme, quando madonna Isotta vedea che T. avea lo peggio dela battaglia, allora si potea vedere lo viso di madonna Isotta cambiato, ed iera tornata tutta palida; e quand’ella vede che T. istava [p. 82 modifica] meglio della battaglia, allora si puote vedere [di] madonna Isotta lo suo viso vermiglio sí come rosa di maio, e sí come si muta lo suo colore. E pensa bene ch’alo diretano non porá lo cavaliere [sofferire] con T., imperciò ch’ella si conosce bene del’aventure. Ma li due cavalieri che combattono, si pensano tutto altro e dannosi di grandi colpi d’una parte e d’un’altra. E T. è bene grande di suo corpo e Galeotto è bene piú di lui. E tanto è durata la battaglia in tale maniera, che Galeotto si maraviglia molto dela forza che truova a monsegnore T. e dice bene in fra se medesimo che al dirieto dela battaglia egli non porá con lui sofferire. Molto si maraviglia di quella aventura messer Galeotto, imperciò che si vedea perdere molto sangue dele fedite dele quale egli avea, sí che parecchi altri cavalieri ne sarebero morti. Sí che tutti li cavalieri che guardavano la battaglia si ne maravigliano molto, come potiano tanto sofferire d’arme, che non sono giá morti. E li due cavalieri combattiano e pensavano tutto altro, che non faciano quegli che stavano a vedere la battaglia. E sí come egli ierano in tale aventura, sí come voi avete inteso, e istando per uno poco, ed eco venire due cavalieri armati a cavallo e dissero ali cavalieri dell’isola, i quali istavano a vedere e a giudicare la battaglia: «Or siamo noi distrutti e vitoperati, ché la nostra usanza di castello di Proro è distrutta e lo nostro castello si è disfatto e tutta la nostra gente è morta, salvo li pregioni degli strani paesi, che sono lasciati tutti. E questo damaggio sí ci hae fatto lo re di cento cavalieri, lo quale viene con cento cavalieri armati ed hae fatto lo danaggio lo quale io detto v’hoe». E quando li cavalieri che doviano giudicare la battaglia intesero queste cose, ciascheduno incominciò a fuggire e tegnono loro cammino. Ed ambodue li cavalieri rimasero soli ala battaglia. Ed allora si conforta molto madonna Isotta, perché vede bene che T. hae lo meglio dela battaglia. E istando in tale maniera, ed eco venire lo re de’ cento cavalieri armato con una bandiera in mano, iv’entro l’arme di Galeotto, ed apresso di lui si vegnono X cavalieri armati a cavallo. E quando madonna Isotta vide questi cavalieri, sí [p. 83 modifica] dubitoe molto del suo amico T., ma tutta fiata sí si conforta e si confida molto nela prodezza di T. E quando Galeotto vide la sua insegna e li suoi cavalieri, si incominciò forte a sgridare T. ed a dicegli: «Per mia fé, or se’ tu morto e di mia mano né non puoi campare, ed eco li miei cavalieri che vegnono per ucciderti». Allora sí rispuose monsegnore T. e dissegli: «Io so bene che voi non dite queste parole se non per spaventarmi e per mettermi paura, [ma io di ciò non temo] ché voi siete sí alto cavaliere e sí prode, che voi non soffereste, per alcuna maniera di mondo, che nostra battaglia si disfinisse per altri cavalieri che per noi due. E intra noi due fue incominciata e per noi due dee essere disfinita; né giá d’altro cavaliere io non prendere’ guardia se non da voi. Ma s’io veglio a tanto ch’io vinca la battaglia e li vostri cavalieri vorranno combattere co meco a uno a uno, giá di battaglia io non fallirò loro». A tanto si viene lo re de’ cento cavalieri cola lancia in mano per fedire T. e T. si colse uno salto dala parte di Galeotto e lo re di cento cavalieri si trapassoe oltre. Allora sí comandoe Galeotto alo re, che di queste cose e’ non si debia intramettere piú: «lasciate finire la battaglia a noi due». E a tanto vedendo T. la cortesia di Galeotto e pensando la grande affensione ch’egli avea fatta a lui, sí come d’uccidere suo padre e sua madre, sí si fece innanzi T. e si prese la spada e porsela per lo tenere a Galeotto e dissegli: «Io vi priego, Galeotto, sí come buono e leale cavaliere e sí come lo piú alto principe del mondo, che voi mi dobiate perdonare vostro maltalento. Imperciò che ciò ch’io feci sí lo feci per diliverare me e la mia compagnia e feci l’usanza dell’isola di Gioganti». E Galeotto intendendo queste parole e intendendo la cortesia di T. e considerando che avea lo peggio dela battaglia, disse Galeotto a T.: «Per tanto ti perdono io perch’io veggio che tu se’ uno de’ migliori cavalieri del mondo. E considerando tua prodezza sí ti perdono tutto mio maltalento, sí come tu hai morto mio padre e mia madre». Allora sí si gittano ciascheduno le targie di dietro ale spalle e dislacciansi gli elmi ch’aviano in testa e [p. 84 modifica] bracciansi insieme di grande amore intrambi li cavalieri. E dappoi che madonna Isotta vide ch’iera fatta pace intra li due cavalieri, se n’è molt’allegra or non ne dimandate. E vienesine incontra valle dela rocca in compagna di due iscudieri e di due damigelle e menane Galeotto e T. tutta sua compagnia e fae loro grande onore, ad ambodue li cavalieri. Ed adesso si fae cercare per l’isola per buoni medici per farlo medicare dele fedite ch’egli avea. E fue venuto il medico, e cercando le fedite si truova assai piú periculose fedite quelle di Galeotto che quelle di T. Ed allora guerío T. in quindici di e Galeotto si penoe a guerire due mesi. Allora Galeotto sí parla a T. e sí gli dice: «T., io vi priego per onore di voi e per onore di cavalleria e per quella cosa la quale voi piú amate in questo mondo, e di questo grande priego ch’io vi faccio sí mi perdoniate, sí come a cavaliere. Il priego ch’io vi foe si è che voi, al piú tosto che voi unque potete partirvi dal re Marco di Cornovaglia, che voi dobiate venire a me in Gaules, imperciò che lo maggiore disiderio ch’io abia si è di vedere voi e Lancialotto di Lacca insieme; e s’io ambodue vi posso vedere insieme, allora mi terrò d’essere lo piú alto cavaliere del mondo». Allora sí rispuose T. a Galeotto e sí gli promise sí come cavaliere, che alo piú tosto ch’egli potrae si andrá a lui in Gaules. E a tanto sí si parte monsegnor T. e madonna Isotta e Governale e Blaguina e tutti gli altri baroni e cavalieri di Cornovaglia, e messer Galeotto acompagna T. infino al porto. Ed allora sí comanda T. a tutta sua gente che tutti debiano montare in sula nave e ciascheduno ubidisce suo comandamento. Ed allora sí disse anche Galeotto ch’egli non debia dimorare ch’egli vada a lui in Gaules, sí com’egli gli hae promesso e T. dice ch’egli ’l farae volontieri. A tanto si parte T. da Galeotto e si s’acomandano insieme e dicono adio adio. E T. sí monta in su la nave e li masti marenai sí dirizzano loro vele al vento e sí fanno la piú diritta via che fare possono per andare in Cornovaglia. [p. 85 modifica] LXIV. — Or lascia qui lo conto di parlare di T. e torno a Galeotto all’isola de’Gioganti. Ora gli scrisse una lettera e disse cosí: «A voi re Arture e a madonna la reina Ginevra e a tutti li cavalieri erranti di Longres e d’altro paese, io Galeotto, sire dele Lontane Isole, a voi mando salute. Per mie lettere vi manifesto ch’io co’ miei cavalieri sí passai al’isola de’ Gioganti, per togliere la malvagia usanza la quale iera in quello luogo, ed holla tolta via ed ho disfatto il castello di Proro e iscapulati tutti i pregioni, ch’ierano in quello luogo. E io per vendicarmi di ciò che T. m’avea fatto, sí combattei con lui cuore per cuore. Onde sappiate, messer lo re Arture e madonna la reina Ginevra e tutti gli altri cavalieri del vostro reame, che nel mondo non sono se non due cavalieri e due donne, e in questi due cavalieri si hae tutta la bontade e tutta la prodezza del mondo, e nele due donne si è tutta gentilezza e tutta la bellezza del mondo; né in altri cavalieri io non veggio prodezza ned in altre donne non veggio bellezza, se non in loro». E questa fue la lettera che intramise Galeotto alo re Arturi. E quando la lettera fue giunta a corte del re Arturi e fue letta davanti ali cavalieri, molto si rallegra lo re e la reina e la corte tutta. «Li quali cavalieri sí sono questi, primeramente T. e Lancialotto e la reina Ginevra e madonna Isotta la bionda, la figliuola del re Languis d’Irlanda.» E questo fue lo tinore dela lettera. E molto ne è grande allegrezza in corte del re Arture e vie maggiore vi sarebe istata, se meser Lancialotto de Lacca vi fosse istato a corte.