La leggenda di Tristano/III
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III. — Ma ora lascia lo conto a parlare di questa aventura e torna a Merlino, per divisare come trovoe T. in dela foresta. Ma partendosi Merlino e Governale con due noditricie, e andaronosine adiritto al diserto, e cavalcando si pervenero ala fontana del petrone; nel quale petrone avea lettere intagliate. E Merlino disse a Governale: «E sa’ tu quello ch’elle dicono?». Ed egli disse di noe. Ed allora disse Merlino: «Queste lettere dicono: qui assemberranno loro parlamento li tre buoni cavalieri del mondo [e parleranno] dela bestia salvaggia, ciò saranno Lancialotto e Galeas e Tristano». Queste parole ierano iscritte in quello petrone dela fontana. «Questo tuo segnore T. che tu avrai in guardia, fie uno di questi tre cavalieri de’ migliori del mondo, e fie si grazioso, ch’ogn’uomo si l’amerae. E queste parole t’ho io dette perché tu abie buona guardia, ché ancora farae bisogno a molte dame ed a molte damigelle, e molti cavalieri si saranno campati da morte per la sua prodezza. » E partendosi dala fontana, cavalcando pervenne alo luogo ov’era la damigella con Tristano. Allora la damigella volle fuggire, e Merlino disse: «Damigella, non temere». E allora quando Merlino l’ebe cosí detto e la damigella si venne a loro, e Merlino si prese T. e disse a Governale: «Prendi T.». E Governale si lo ricevette in sua guardia, e poscia Governale [lo guardò] tutto tempo dela sua vita. E appresso di queste parole si si partirno delo diserto e tornarono alla cittade de Leonois. E quando fuerono venuti ala cittade, si trovarono che lo re Meliadus si era tornato. E li baroni, vedendo Merlino, dissero alo re: «Ecco lo profeta per cui noi t’avemo trovato». Ed allora lo re Meliadus si gli fece grande onore. E Merlino disse al re Meliadus: «Abbie buona guardia di questo tuo figliuolo». E lo re dimandoe s’egli hae nome e s’egli è fatto cristiano. E la damigella disse che sie, che la reina, quand’ella venne a morte, si gli puose nome Tristano. E allora disse lo re: «Ed io no gli muteroe giá nome». Ma incontanente disse Merlino: «Abbie buona guardia di questo tuo figliuolo, ché per la sua prodezza camperanno di morte molti cavalieri e fie uno deli piú graziosi cavalieri del mondo e per sua prodezza si fie nominato per tutto il mondo».
Allora lo re Meliadus si chiamoe Merlino nela camera sua e dissegli: «Dimi come tu hai nome». Ed egli si risponde cosí e disse: «Alcuna gente m’appella Merlino lo profeta, ed io si venni in questa parte piú per amore del vostro figliuolo che per lo vostro, per la bontade che sarae in lui». Allora disse lo re: «E credi che vaglia dell’arme T.?». Ed egli disse che fie uno deli migliori cavalieri del mondo: «ma lasciatelo notricarea Governale di Gaules; imperciò ch’egli è leale uomo e guarderallo bene in tempo di sua vita». Appresso disse Merlino alo re Meliadus: «Io t’acomando a Dio, ch’io non posso piú istare qui, imperciò ch’io si venni in grande fretta per amore del tuo figliuolo e per diliverare te dela pregione, lá ove tu ieri». E incontanente lo re si volle donare a Merlino molto oro e molto argento d’assai. Ma elli non ne volle fiore, anzi si pardo incontanente dal re e andoe ala sua via. E lo re si fece trovare incontanente balie assai per fare bene notricare lo suo figliuolo, e diedelo a Governale e comandoe che fosse bene guardato, e molto è allegro lo re di ciò che gli avea detto Merlino, che lo suo figliuolo dovea essere cosí grazioso cavaliere; si che non si ricorda dela reina Eliabella.
Ma dimorando per uno tempo, si che T. potea avere III anni, e allora lo re Meliadus si prese un’altra moglie, la quale iera gentile donna. E dappoi che l’ebe menata nela corte lo re Meliadus e vide T., cosí bella criatura, incomincioe ad averne grande ira di lui. E lo re tenea tutto giorno T. in braccio, e la reina n’iera molto dolente e dicea in fra se istessa: «Forse n’avrò io uno cotale». E la notte vegnente e lo re Meliadus giacque con sua dama ed ella ingravidoe. E quando la reina si sentio gravida, fue molto allegra. Ma T. è cosí bello e neuna altra criatura non può essere piú di lui [né] si bello. Ma lo re Meliadus coli suoi baroni ne faciano grande festa, vedendolo cosí bello, e T. iera maggiore di quattro anni che gli altri damigelli non ierano ali sette anni. E la reina portoe tanto tempo lo suo ventre pieno, che venne lo tempo del parturire; e poi parturette uno figliuolo maschio. Molto ne menava grande allegrezza la reina deio suo figliuolo; ma lo re non ne menava si grande allegrezza. Ma incontanente si fecero trovare balie per lattare lo garzone. E la reina volendo cosí grande male a T. per le sue bellezze, e dicea infra se istessa che bisogno è che lo faccia uccidere. Ma Governale che di queste cose si s’appone assai e conosce bene che la reina odia T. di tutto suo cuore, e allora Governale si chiama T. e si gli comanda che non debia mangiare né bere di neuna cosa che la reina gli dea o faccia dare. E allora dice T.: «Io faroe tutto quello che voi mi comanderete». Ed allora Governale chiamoe T. nela camera, e tanto vi stettero in tale maniera uno grande tempo; si che T. potea avere anni VII. Ed allora andoe T. per la sala del palagio, tanto bello ed avenante che neuno altro non si truova com’ello o piú bello di lui. Ma lo re Meliadus prese T. in braccio e portalo neia camera e coricossi con esso lui e teneasi T. in braccio. E questo si era di state ed iera allora grande caldo, si che lo re Meliadus guardando in una finestra e vide una ampolla piena, che parea buono vino. E allora disse lo re a T.: «Vae prendi quella coppa e dami bere». E T. che di queste cose non prende guardia, prende l’ampolla e mette questo beveraggio nela coppa, credendo egli che fosse buono vino, e porselo alo re. E lo re istese la mano per prendere la coppa; e la reina, vedendo che lo re prendea la coppa lá ov’era lo beveraggio, incomincioe forte a gridare e a dire: «Non bere, re, non bere, re Meliadus». E lo re, dubitando di queste parole, cessoe la coppa da sé e disse: «Perché non beroe io?». E la reina si gli disse: «Perché lo beveraggio non è buono per voi». E lo re disse: «E dunque perché istava quello beveraggio quivi?». E la reina allora non seppe che si dire, ma incomincioe tutta a tremare. E lo re disse: «Perché iera messo quello beveraggio quivi?». E anche la reina non seppe che si rispondere. E allora si chiamoe lo re tutti li suoi baroni e disse, presente loro, ala reina: «Dimi perché iera fatto e per cui questo beveraggio, ch’io sappo che questo beveraggio iera fatto per me e per T.». E allora comandoe lo re che sia dato ala reina lo beveraggio; ed ella disse che ella non ne berebe. E allora disse lo re: «E dunque volevi tu uccider me overo T.?». Ed ella disse che non lo volea fare, né mica uccidere lui. «E dunque volei tu uccidere pur T.?». Ed ella disse allora che pur per lui l’avea fatto. Ed allora comandoe lo re ali baroni suoi che debbiano giudicare quello che sia ragione da fare di lei, sicome di femina c’hae commesso grandissimo accesso. «E se voi non giudicherete la veritade, io vi faroe voi distruggere tutti.» Ed allora andarno li baroni tutti, perch’ebero dubitanza deio re, e dissero che la reina avea fatto accesso che dovea esser distrutta. Ed allora incontanente comandoe lo re che fosse acceso uno grande fuoco. Veggendo la reina ciò fare, incomincioe fortemente a piangere e le dame e le damigelle co le’. Ma T. vedendo piangere le dame e le damigelle co le’, domandoe uno de’ baroni, e dissegli: «Ond’è venuto questo dolore cosí novellamente, ch’io vi veggio tutti quanti piangere?». E uno de’ baroni si gli disse: «Noi si piangiamo perché la reina dee essere arsa». E T. disse: «Che ha ella fatto, perch’ella dee essere arsa?». E lo barone gli disse: «Perché la reina ti volle attossicare». Ed allora si parte T. dato barone e venne ala sala deio palagio, lá dov’iera lo re con altri assai baroni. E T. si si inginochioe dinanzi dal padre e dissegli: «Messer, io v’adomando uno dono». E lo re si maraviglioe di ciò che T. gli dice, e allora disse: «Domanda ciò che tu vogli, dolce mio figliuolo». E allora disse T.: «Impromettetelmi voi, sicome re?». E ’l padre dice che si. Allora disse T.: «Io vi domando che la reina si sia diliberata per mio amore». E allora disse lo re: «Chi te lo insegnò dire queste parole? ch’io so bene che tue per te nol’avresti dette». E T. disse che se Dio l’aiuti e li santi, che neuna persona no glile insengnoe dire queste parole: «ma io il vi dico, perché neuna persona non ha in tutto il mondo né in tutto il vostro reame che tanto [si debbia] addolere deio male dela reina quanto io; ché s’ella avesse disinore, io lo riputerei a mee». E allora lo re e tutti li suoi baroni si si maravigliarono molto del senno di T., pensando ch’egli avea dette e rendute cotale ragione di ciò ch’egli avea detto. E allora disse lo re: «Io voglio che la reina sia diliberata per tuo amore, ma tu hai renduto a lei buono guiderdone di mal servigio che ella ti volle fare». E molto si parla allora per lo reame de Longres dela grande cortesia di T., dicendo tutti li baroni: «Se questi viverá per lungo tempo, non puote fallire che non sia prò cavaliere».
Ma la reina la quale è diliverata per amore di T., non pensa se non com’ella possa dare morte a T. Ma Governale, che bene conosce la volontade dela reina, si comanda a T. ch’elli non debbia andare nelo palagio sanza lui né non debia mangiare né bere «se non quello ch’io diroe». E T. rispuose: «Questo farò io volentieri». E allora si parte Governale e T. dela camera. Ma la reina che di mal pensare non cessa, raconcia lo beraggio da attosicare T. Ma un giorno lo re Meliadus si era coricato nel letto per dormire e faciagli grande caldo, e la reina andava alo letto per dormire co lui. E lo re disse: «Andate a dormire ala vostra camera, imperciò che in tutto tempo di vostra vita io non dormiroe con voi né voi con meco, per quello che voi fatto avete». Ed allora si parte la reina e si si torna a una sua camera; e lo re uscio nela sala ali suoi cavalieri. Ma la reina non pensa se non com’ella possa uccidere T., e anche ebe aconcio lo beveraggio nela camera e non pare che sia se non buono vino. E venendo un giorno una damigella nela camera dela reina, si avea lo figliuolo dela reina in braccio ed iera grande caldo. E lo fantino adimandoe a bere, e la damigella guardando per la camera e vide una ampolla e parea che fosse pur vino. Ed ella prese l’ampolla e misene nela coppa, credendo ella che fosse buono vino, e diedene bere alo fantino. E incontanente ch’ebe bevuto, lo fantino si fue morto. E la damigella, quando lo vide morto, incomincioe a piangere ed a mettere grande boce. Si che la reina che v’iera presso a questa camera, si corse a questo romore, e lo re con altri cavalieri assai. Ma la reina, quand’ella vide lo suo figliuolo ch’iera morto, disse ala damigella: «Che t’ho io fatto, che tu m’hai morto lo mio figliuolo?». Ed ella si rispuose e disse: «Madonna, io non l’hoe morto, anzi l’hae morto quegli che puose lo beveraggio nela camera». E allora disse lo re: «Come e perché hai tu morto, damigella, lo mio figliuolo? Egli è bisogno ch’io ti faccia distruggere». E allora la damigella incomincioe fortemente a piangere e ad avere grande paura. E allora disse lo re: «Damigella, perché l’hai tu morto?». Ed ella risponde e dice che «di questo beveraggio io non ne sapea neuna cosa, se Dio mi vaglia. E impercioe non sono degna di morire. Ma quella che aconcioe lo beveraggio hae bene servita la morte». La reina, quando intese queste parole, ebbe grande paura, perch’ella vedea che la damigella si si dicea vero. E allora lo re, intendendo queste parole, vide che la reina, [per] quello che sovra li era detto, ch’iera incolpata a queste cose, e parea che Dio ne facesse miraculi. Allora lo re si si parte da questa camera e e la reina si rimase con grande dolore, piangendo tuttavia e dicendo infra se istessa: «Or è morto lo mio figliuolo, volendo io uccidere l’altrui». Molto si chiamava lassa e taupinella di questa grande disaventura. Ma quand’ella vedea andare T. per la sala del palagio, cotanto bello e cotanto avenante di tutte cose, che ogn’uomo che lo vedea si si ne maravigliava di lui, tanto iera grazioso; ma la reina quando lo vedea, tutta fiata si contristava di lui. Ma T. incomincia ad imparare a cavalcare e ad andare ala caccia ed a imparare ad ischermire, si che tutte gente si maravigliano molto di lui. E allora T. si si veste di panni grossi, per andare ala caccia. Ma lo re Meliadus si fae mettere bando, che tutti li suoi baroni fossero a cavallo ala mattina alo suo palagio, per andare ala caccia. E la mattina si fue a cavallo lo re e tutti li suoi baroni, e T. e Governale con loro, e vannone nel diserto a cacciare. E cominciando la caccia, e lo re si si partio dali suoi baroni e tenne dietro a uno cervio, e Governale e Tristano cavalcano dinanzi alo re. E cavalcando si pervennero in uno grande prato, e quindi si ne uscirono fuori Vili cavalieri armati e quando trovarono [Governale] dissero «E non verae T.?». E Govenale disse che non sapeva. Allora dissero li cavalieri: «Ov’è egli?». E Governale no rispuose loro. Allora cavalcano li cavalieri e ferinono lo re Meliadus e abatterlo morto in terra da cavallo. E allora fuggio Governale inverso la cittade e elli e T.; ma neuno de li suoi baroni non socorse lo re, ma ciascheduno incomincioe a fuggire. E allora si fue portato lo re Meliadus ala cittade. Ed allora si si incomincia grande pianto per lo suo reame, e bene dee piangere di lui ogne buono cavaliere, per la sua prodezza e per la sua cortesia. Assai ne piange la reina con altre molte dame e damigelle; e poi seppellirono lo re molto orrevolemente, si come a lui si convenia, a grande onore.