La grotta platonica
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II
LA GROTTA PLATONICA.
Eccomi a Plato, ampia sorgente, ond’io
concetti attingo che son penne a l’estro,
son colori a l’imago, al dir son nerbo.
Eccomi a lui, che sovra gli altri come
5aquila vola e, le dissimil tempre
conciliando in sé d’alto intelletto,
la dignitade de la mente umana,
giudice Tullio, amplificar poteo.
Né tale invan lo figurerò in culla
10l’ali dorate artefici del mele,
e la presaga vision, che ’l Cigno
commise al petto del maggior de’ sofi.
Or, mentre io traggo de la scorza lieve
l’allegorico seme, e ’l fior ne colgo,
15e ne delibo il frutto, aura di lode
no ch’io da te, schiera volgar, non merco.
Di peregrin sapor sorda è a l’invito
sfioccata lingua; né scommessa orecchia
bee con diletto armonizzar di suoni.
20Però m’ascolti, e a me seconda, il maschio
subbietto apprezzi de’ gentili spirti
la poca schiera, che l’amor del bello
dal volgo innnumerevole diparte;
e cotanta d’ingegno ebbero, e d’ale
25natural possa, che, se stessi alzando
a l’ardue cime dove siede il vero,
bevono i raggi della prima luce,
onde son essi pur sacra favilla.
Immagina, lettor, cupa spelonca
30dal silenzio abitata e da la notte,
né mai percossa da raggiar di stella,
né mai distinta dal succeder l’ore
sensibilmente per le vie del moto;
benché da l’erta di diritto calle
35riesca in loco che dal sol s’allegra,
e ’l vero scopre delle cose aspetto.
Ivi nato e cresciuto uomo, impedito
da lacci, il dosso immobilmente ha vòlto
a spiracolo angusto, onde per vetri
40passa, rifratto e attenuante il buio
de l’aere nativo, ottico raggio;
e, in un col raggio colorato, passa
mirabile a vedersi ordin di cose,
che fuori van de la caverna errando.
45Passa il grand’astro, che misura i tempi,
rallegratore, animator de l’orbe,
che senza posa, saettando intorno
i segni ardenti de l’obliquo cerchio,
vertiginoso turbina e colora
50i quattro aspetti del volubil anno;
passa la queta del notturno cielo
imperadrice, che d’un lume gelido
sua faccia variabile inargenta;
ed or di sé piú presso ed or piú lungi
55fa in vario azzurro scintillar le stelle;
e passan cento d’animai, che d’orma
stampano il suolo e l’aere apron col volo,
sembianze innumerabili, infinite,
tutte di forma, di color diverse,
o di moto, d’attitudine, di vita.
L’uom, che nulla di ciò scorge, menzogna
lo crede, e ’l guardo in contemplando pasce
nel dirimpetto de lo speco erranti
l’immagin vane de’ veraci obbietti.
65Dal velame socratico traspare
qual è l’uomo quaggiú. Serra le menti,
finché son forme d’animato limo,
condensata d’error nube, cui santa
ragion, dono di Dio, raggio di lui,
70vincer fa prova, ma non vince; e solo
per lei l’oscuritá fassi piú cónta,
e solo col desio scorgesi il vero.
Intanto gl’intelletti a terra inchini,
eppur chiamati da l’eterea vista,
75la moltifronte Opinion travolve
dietro a l’affetto che dei cor s’indonna.
Proteo intellettual! dinanzi a lui
rimutevole, vario, a sé difforme,
cosa non avvi che dal ver derivi,
80che s’impronti del ver, del ver risplenda
e non s’infoschi, trasfiguri e sperga,
simile a raggio, che da l’aspre punte
qua e lá rimbalzi d’inegual metallo.
Disventuratamente ei nacque e crebbe,
85quando l’orgoglio de l’umano spirto
sdegnò i confini al suo conoscer fissi
dal Saper primo, da Colui che a tutto
in cielo, in terra, in mar novero impose,
pondo e misura; e che con certa legge,
90equilibrante l’ordine universo,
da parvenza di mal traendo il bene,
rattempra opposti, ravvicina estremi,
e lega in armonia l’atomo e ’l sole.
Ei gli sdegnò, ed ahi, con qual suo scorno
95travalicolli! Ne la sacra notte,
che invola e copre da profano sguardo
le inaccesse a’ mortali arcane cose,
avviluppato, immerso, ad ombre vane,
come quei cui le larve il sogno avvera,
100s’apprese, ahi lasso! e s’abbracciò con l’ombre,
e con l’ombre trovossi onde partio.
Così ’l folle Ission, ch’or su la ruota,
laggiú nel regno de la morta gente,
va senza fine e senza speme in vòlta,
105stringer credeo con l’ansiose braccia
Giuno, sorella del Tonante e sposa,
e la nebbia sfuggevole compresse;
cosí dal sasso, che inver’l’ardua vetta
spinge, respinto Sisifo trabocca;
110cosí quanta versando acqua ne l’urne
van le Bélidi, al suol tanta ne piove.
In tal di mente tenebria smarriti,
altri ondeggia dubbiezza, a cui vien manco
ove posi, inquieta; altri assecura
115persuasion delusa; altri nel novo
furor traporta ove Follia tien scettro,
e signoreggia i traviati ingegni;
e da cuor guasto, che agl’ingegni è sempre
d’empiezza fonte, altri sommossi, oh quanti
120sconciarono Ragion, foggiando intesti
d’orror fantasmi, ch’ebber grido e culto
di veritate, e ne mentir l’aspetto.
Tanta sciagura d’intelletti e tanti
di dotta insania monumenti il verso,
125favella degli dèi, cantar disdegna.
Tre valgon tutti, e pur membrarli è bello,
conforto a’ savi, disinganno a’ molti
di cieca Opinion miseri alunni.
Piú bello è trarli da l’antico: insulta
130al patrio amor vizio nostral; ma il saggio
vede gli uomin maisempre a sé simili
e i secol tutti effigiarsi in uno.
Al guardo di Mnemosine, ministra
de la pittrice fantasia, s’affacci
135primier fra’ primi l’Ateneo, che al Caso,
da cui l’ordine fugge ed il consiglio,
sottomise Natura: e sciolto il nodo,
che cogli eventi le cagioni allaccia
(le cagion che svolgentisi da l’Una
140rivolgendosi a lei fanno ritorno),
de le vicende, ond’è sí bello il mondo,
abbandona il governo a la fortuna.
Stanno per lui ne’ vóti spazi i numi
d’un ’oziosa voluttá beati,
145e de la oblivione de’ viventi.
Sopravvien l’Eleate. Ei l’indistinto
essere eterno, intelligibil Uno,
a sé simile, dissimile e tutto,
che movendosi sta, stando si move,
150maggior di sé, di sé minore e uguale,
tramescola, distempera, modifica
a l’innata materia in lui costretta
a variar apparimento e forma.
Orribil mostro, ed esemplar di quello,
155che in fasto geometrico nel cielo
batavo apparve, e a sé volse gli sguardi
di molta Europa: salutollo un fremito
lung-plaudente appo color, cui giova
l’universo esser Dio, Dio l’universo.
160Con volto e cor di bronzo ai due s’interza
oltracotato un sognator, che giostra
di libertá con Giove e di comando;
al fulmine sorride e al rovinoso
scoscenditor de l’etera rimbombo;
165che, francheggiato dal sentirsi puro,
le cose tutte sotto sé lasciando,
del proprio suo valor su le franche ali
levasi; e a l’infrangibile catena,
che di Necessitá svolgono a fronte
170le coronate figlie de la Notte,
indissolubilmente appende e annoda
la terra, il ciel, le piante, i bruti e l’uomo.
Ragion lo guarda, il guardo torce, e geme.
Tale è ’l magico incanto, onde figura
175opinion del gemino Universo
l’immagine mentita; e de’ mortali
creduli or troppo e a sconfidar men desti
usurpa i voti, or lusinghiera invesca
le di sé troppo inebriate menti.
180In guisa par, voluttuosa e rotta
a sollazzo venal, femmina il volto
lisciasi, e infiora la lucida chioma
i molli odor di Citerea stillante,
o che divisa su le late spalle
185scherzi e sul collo, o del nudato petto
il manifesto ondoleggiar secondi.
Gira oblique le luci, a cui concorda
il labbro usato a simulare il riso,
e i cenni e i gesti favellati al guardo;
190poi tutte di piacer mescendo l’arti
donnescamente move, e ’l servo gregge
guidasi dietro de’ perduti amanti.
Intanto Veritá, di sé beata
e solo accesa di beare altrui,
195volve sua spera in compagnia de l’altre
d’in seno a Dio disfavillanti essenze,
che, di lui nate e coeterne a lui,
empion la serie dei divin concetti.
Non è però ch’ella quaggiú non mostri
200talor sua diva forma, e non la tocchi
compassion de’ miseri, e desio
di vendicar de la nimica i torti.
Talor discende somigliante a vergine,
che pudica, incorrotta, arti ricusa,
205non conosce prestigi, e di se stessa
s’adorna a sé. Essa a Ragion che siede
de’ giudici signora e de le menti
ricorda il ciel, patria comune e stanza
degli animi natale, e novo in lei
210spira vigor di conformarsi al prisco
ordin sovrano correttor del mondo.
Oh tre fiate avventuroso e quattro
chi può raffigurarti e ’l pensier nudo,
occhio de l’alma, in te fissare, o diva,
215senza che nulla di terren l’ingombri!
Diffícil dono, a pochi dato, è in terra
vincer l’inganno, che ne accerchia i sensi
e la parte miglior che i sensi informa,
quasi germe gentile in suol selvaggio,
220serbar non tinta de l’umor men puro,
ond’essi traggon nodrimento e vita.
S*’io meritai di te, se a le mie note
da’ sogni intatte e da le fole achee
qualche favilla di tuo lume accesi;
225se disioso di piacerti, orecchio
negando al suon di popolare applauso,
di pochi leggitor vissi contento;
degnami, o diva, del tuo divo aspetto;
a te m’innalza, il cielo m’apri, ond’io,
230l’etra spirando che tu stessa spiri,
e beandomi al lume onde ti bei,
vaglia ritrar de la Bellezza prima
la bellissima forma: essa in te splende
qual tu in essa, e dal vostro alterno raggio
235spira il diletto, che fa paghi i numi.
Fia tua mercé s’io la vagheggi quale
stavasi quando l’infinita Idea,
invisibil del meglio architettrice,
ch’empie di sé lo spazio, e non l’occúpa,
240da l’immensa piramide de’ mondi,
ciascun di cominciar chiedenti a gara
la carriera de’ secoli e del moto,
raggiò su questo il creator sorriso,
che in essere spiegollo; e questo intanto
245da quella immota immensitá, cui manca
circonferenza ed ogni punto è centro,
ne’ mobili confin venía del Tempo;
e di Poter, di Sapienza e Amore
oltramaraviglioso apria teatro.
250Apriva; e la Beltá tenendo ancella,
le vie segnate dal Pensiero eterno
corse, mentre apparian, l’eteree rote,
e i dissimili moti e i moti opposti
in vago armonizzante ordin compose,
255e le dipinse d’ammirabil luce.
In terra scese, e di fiorito a verde
vestinne il disegual dorso, e di mille
squamose torme variò l’ampiezza
interminata de’ cerulei mari;
260poi di mille color, d’aspetti mille
sparsi di grazia, venustá spiranti,
e di moto e di vita impressi e d’anima
arricchí l’Universo, e l’Universo
ricco ne fulse, e ne fu specchio a lei.