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i - poemetti 17

II

LA GROTTA PLATONICA.

     Eccomi a Plato, ampia sorgente, ond’io
concetti attingo che son penne a l’estro,
son colori a l’imago, al dir son nerbo.
Eccomi a lui, che sovra gli altri come
5aquila vola e, le dissimil tempre
conciliando in sé d’alto intelletto,
la dignitade de la mente umana,
giudice Tullio, amplificar poteo.
Né tale invan lo figurerò in culla
10l’ali dorate artefici del mele,
e la presaga vision, che ’l Cigno
commise al petto del maggior de’ sofi.
Or, mentre io traggo de la scorza lieve
l’allegorico seme, e ’l fior ne colgo,
15e ne delibo il frutto, aura di lode
no ch’io da te, schiera volgar, non merco.
Di peregrin sapor sorda è a l’invito
sfioccata lingua; né scommessa orecchia
bee con diletto armonizzar di suoni.
20Però m’ascolti, e a me seconda, il maschio
subbietto apprezzi de’ gentili spirti
la poca schiera, che l’amor del bello
dal volgo innnumerevole diparte;
e cotanta d’ingegno ebbero, e d’ale
25natural possa, che, se stessi alzando
a l’ardue cime dove siede il vero,
bevono i raggi della prima luce,
onde son essi pur sacra favilla.