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i - poemetti 19

     65Dal velame socratico traspare
qual è l’uomo quaggiú. Serra le menti,
finché son forme d’animato limo,
condensata d’error nube, cui santa
ragion, dono di Dio, raggio di lui,
70vincer fa prova, ma non vince; e solo
per lei l’oscuritá fassi piú cónta,
e solo col desio scorgesi il vero.
Intanto gl’intelletti a terra inchini,
eppur chiamati da l’eterea vista,
75la moltifronte Opinion travolve
dietro a l’affetto che dei cor s’indonna.
Proteo intellettual! dinanzi a lui
rimutevole, vario, a sé difforme,
cosa non avvi che dal ver derivi,
80che s’impronti del ver, del ver risplenda
e non s’infoschi, trasfiguri e sperga,
simile a raggio, che da l’aspre punte
qua e lá rimbalzi d’inegual metallo.
Disventuratamente ei nacque e crebbe,
85quando l’orgoglio de l’umano spirto
sdegnò i confini al suo conoscer fissi
dal Saper primo, da Colui che a tutto
in cielo, in terra, in mar novero impose,
pondo e misura; e che con certa legge,
90equilibrante l’ordine universo,
da parvenza di mal traendo il bene,
rattempra opposti, ravvicina estremi,
e lega in armonia l’atomo e ’l sole.
Ei gli sdegnò, ed ahi, con qual suo scorno
95travalicolli! Ne la sacra notte,
che invola e copre da profano sguardo
le inaccesse a’ mortali arcane cose,
avviluppato, immerso, ad ombre vane,
come quei cui le larve il sogno avvera,
100s’apprese, ahi lasso! e s’abbracciò con l’ombre,