La frusta teatrale/VIII. Parigi in provincia

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VIII


Parigi in Provincia


1. - Il Parvenu


Sarebbe difiìcile scoprire in Guasti le qualità del «brillante» se non soccorresse l’ironica antitesi dell’incredibile monotonia e pesantezza con cui egli esercita il suo «ruolo». Per il collezionista di esempi illustri egli potrebbe figurare come un modello della più penosa assenza di versatilità e delle più rigida coerenza a un sempre identico artificio.

Come virtuoso (pensate alle sue caricature dialettali) non sarebbe neanche riuscito a conservare con decoro il proprio ufficio. D’altra parte, le sue commedie e i suoi monologhi non rivelavano vivacità, ma esuberanza di pose sceme, di vuotezza verbosa, di vanità inintelligente.

S’improvvisò pertanto avventuriero e volle un ruolo non nel teatro, ma nella vita. Amerigo Guasti è diventato da allora un’istituzione della società moderna. Non lo possono amare, lo sopportano... con venerazione.

Saccente e senza scrupoli ha storpiato e adattato alla sua meschinità di «parvenu» tutto un repertorio. Le [p. 82 modifica] «pochades» non gli sono piaciute per certe vivacità e finezze, ma perchè gli rappresentavano la divulgazione di un mondo internazionale, spiritoso e volgare, parigino e vuoto, ove si possono muovere e pavoneggiare i più insulsi bellimbusti del parassitismo convenzionale. In questa imitazione e volgarizzazione Amerigo Guasti rappresentava i sentimenti e le aspirazioni caratteristiche di una categoria borghese che venti anni fa in Italia era bambina ma ora si è diffusa e affermata. E’ l’aspirazione a Parigi del «parvenu», il sospiro e il godimento dell’infrollito che cerca svago per dimenticare gli oscuri natali: Guasti si adatta e vive per questo pubblico che non vuole buon gusto e non capisce finezze perchè imitando guarda da lontano e si appaga di approssimazioni. E Guasti è fotografo per platea; come il suo autore, Arnaldo Fraccaroli.

Persino i conti di cassa ci devono dar ragione se è vero quel che si dice: che A. Guasti e la sua compagnia trovino i più intensi entusiasmi per l’appunto a Torino. Infatti Torino elegante è la città psicologicamente più internazionale d’Italia; e le aspirazioni mondane nei ceti medi o quasi aristocratici, hanno un nome solo: Parigi.


2. - Il ninnolo


Dina Galli poi è quello che è: quale il pubblico l’ha voluta, quale l’hanno determinata vicinanze e influenze che potrebbero sembrare estranee (Sichel, Guasti, ecc.); quale l’hanno foggiata le abitudini e l’educazione che son consentite a chi debba ogni sera apprestare un Grido del cuore o Un paradiso sotto chiave ai cercatori di svago. [p. 83 modifica]Evidentemente questa signorina Dina Galli, anzi la «Dina» come la chiama il pubblico, è argomento perfettamente estraneo alla critica d’arte e rientra nella mera storia del costume e delle convenzionalità sceniche. Il problema che ci si può porre è un altro: Dina Galli è solo quello che pare al pubblico? L’attrice che riuscì a farsi applaudire nella antica Compagnia Talli è interamente morta nella capocomica idoleggiata?

Dina Galli aveva tutti i «numeri» per riuscire con Talli una degna attrice. Libera, diciamo così, senza malizia, dai pericoli della troppo fulgida bellezza ella non era destinata ad esercitare quel fascino che sta nel trucco della giovinezza. Il suo fascino femminile anzi si riduceva alle qualità più rudi ed elementari: diventando una vera attrice avrebbe dovuto tutto a se stessa. Dina Galli non è attrice d’istinto: la sua arte poteva essere frutto d’intelligenza e di lavoro instancabile. E se dobbiamo credere alle testimonianze,1 ella s’era messa su questa via venti anni or sono nei Fuochi di S. Giovanni, nel Lucifero, nella Via più lunga, ecc., non per la sola influenza di Talli, ma per un bisogno intimo che anche nella decadenza attuale gli intendenti potrebbero cogliere. Qui sta invero il problema interessante. Se Dina Galli fosse esclusivamente la motteggiatrice arguta, il prodigio di vivacità e di giovinezza eterna, la disinvoltura personificata, che il pubblico ammira, non si distinguerebbe da una soubrette, mettiamo, per esempio, da Nietta Zanoncelli. Invece le doti istintive di [p. 84 modifica]Dina Calli sono o sarebbero piuttosto l’inappagata irrequietudine, la vivacità ironica, l’incertezza meditatrice: i momenti più felici anche nella sua decadenza di capocomica, consistono in quelle battute di spontaneità e di ingenuità nate dopo un attimo di sospensione riflessiva.

Dina Galli è riuscita a soffocare queste doti in una statica maniera. Era una delicata curiosità questo suo recitare con ansia le commedie allegre come cose difficili e serie, o addirittura come crisi poetiche: si potevano ottenere effetti completi e figure intere dall’arguzia iniziale dello spunto alla severa compitezza del soggetto fisico. Anche adesso la sua finzione dell’ingenua non è senza efficacia d’arte (Chopin).

Ma irrigidite queste qualità, costruite la maniera dello «spontaneo» e dell’«ingenuo» e avrete la Galli in Scampolo.

Nulla più che la bambina come la possono guardare e vedere gli occhi maliziosi dei grandi. Lo scherzo più sguaiato si alterna col sentimentalismo più floscio di un’opera pedestremente parigina. La Galli, come bimba selvaggia (Demonietto, Scampolo. La Monella) pare l’ultimo ninnolo creato per il divertimento degli uomini.

Questa birichineria di maniera le si è così connaturata che ella la viene servendo in tutti i modi anche dove è più inopportuna, complice il mal gusto di Guasti e l’incoraggiamento dei più sempliciotti.

Eppure quando ella si sforza ancora di essere qualcosa e non il gioco del pubblico, l’antica efficacia ritorna: pensate com’è gustosa e misurata e armonica la satira del teatro di Varietà che ella offre con superiore spensieratezza nei Teodoro e Soci, pensate come sono vive (anche [p. 85 modifica]se troppo statiche e unilaterali) certe sue macchiette (es. La Sfumatura).

Ma con Sichel e Guasti si direbbe che abbia imparato definitivamente a preferire alla freschezza signorile dell’ironia o dell’umorismo il motteggio e la burla della sartina.


Note

  1. Valga per tutti Alessandro Varaldo, Fra viso e belletto - Profili d’attrici e d’attori. Milano, 1910 del quale parecchi profili si possono ancora adesso consultare con profitto.