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la frusta teatrale | 83 |
Evidentemente questa signorina Dina Galli, anzi la «Dina» come la chiama il pubblico, è argomento perfettamente estraneo alla critica d’arte e rientra nella mera storia del costume e delle convenzionalità sceniche. Il problema che ci si può porre è un altro: Dina Galli è solo quello che pare al pubblico? L’attrice che riuscì a farsi applaudire nella antica Compagnia Talli è interamente morta nella capocomica idoleggiata?
Dina Galli aveva tutti i «numeri» per riuscire con Talli una degna attrice. Libera, diciamo così, senza malizia, dai pericoli della troppo fulgida bellezza ella non era destinata ad esercitare quel fascino che sta nel trucco della giovinezza. Il suo fascino femminile anzi si riduceva alle qualità più rudi ed elementari: diventando una vera attrice avrebbe dovuto tutto a se stessa. Dina Galli non è attrice d’istinto: la sua arte poteva essere frutto d’intelligenza e di lavoro instancabile. E se dobbiamo credere alle testimonianze,1 ella s’era messa su questa via venti anni or sono nei Fuochi di S. Giovanni, nel Lucifero, nella Via più lunga, ecc., non per la sola influenza di Talli, ma per un bisogno intimo che anche nella decadenza attuale gli intendenti potrebbero cogliere. Qui sta invero il problema interessante. Se Dina Galli fosse esclusivamente la motteggiatrice arguta, il prodigio di vivacità e di giovinezza eterna, la disinvoltura personificata, che il pubblico ammira, non si distinguerebbe da una soubrette, mettiamo, per esempio, da Nietta Zanoncelli. Invece le doti istintive di
- ↑ Valga per tutti Alessandro Varaldo, Fra viso e belletto - Profili d’attrici e d’attori. Milano, 1910 del quale parecchi profili si possono ancora adesso consultare con profitto.