La donna forte (Goldoni)/Atto IV

Atto IV

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Atto III Atto V

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ATTO QUARTO.

SCENA PRIMA.

Strada.

Il Marchese da una parte, e don Fernando dall’altra.

Marchese. Finalmente vi trovo.

Fernando.   Che avete a comandarmi?
(sostenuto)
Marchese. Bramo, se il permettete, con voi giustificarmi.
Scusatemi, vi prego, se dubitare ho ardito.
Se mal vi corrisposi, se fui male avvertito.
Ah pur troppo, pur troppo, de’ scorni miei son certo,
E della moglie infida l’indole ria ho scoperto.
Fernando. Come veniste in chiaro del meditato eccesso?
Marchese. Ah, la germana alfine giunsemi a dir lo stesso.

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Ella li sa i deliri della consorte mia.

Fernando. (Favorisce il disegno di lei la gelosia). (da sè)
Ora che siete certo del suo perverso errore,
Cosa di far pensate? cosa vi dice il cuore?
Marchese. Dicemi il cuore, acceso di un onorato sdegno,
Che riparar col sangue deesi l’affronto indegno.
Che cavaliere io sono, che all’onor mio si aspetta
Contro di chi m’insulta di procurar vendetta.
Muoiano i tristi amanti. Pera la donna infida;
Al seduttore indegno si mandi una disfida.
Paghino la lor pena quell’alme scellerate.
A ciò il cuor mi consiglia. Voi, che mi consigliate?
Fernando. Sì, l’unico rimedio, non ve lo niego, è morte;
Deve perir il Conte, perir dee la consorte.
Ma deesi al tempo istesso salvare in apparenza
Il decoro, la stima, l’onor, la convenienza.
Sfidar il cavaliere non vi consiglio, amico;
Pubblico allor si rende il periglioso intrico.
Della disfida il mondo saprà la ria cagione;
Perde l’uom facilmente la sua riputazione.
E per seguir talvolta l’accostumato inganno,
Si pubblica l’affronto, si fa maggiore il danno.
Lasciate a me la cura di far perir l’indegno;
Prendo dell’onor vostro sopra di me l’impegno.
La colpa è a pochi nota; tutto sperar vi lice,
Se cautamente e in tempo troncata è la radice.
Marchese. Bene, a voi mi rimetto circa punire1 il Conte;
Ma riparar pensiamo di quell’indegna all’onte.
Non mi parlate, amico, di separare il nodo.
Ha da perir l’ingrata. Voi suggerite il nodo.
Fernando. Vi fidate di me?
Marchese.   Solo da voi dipendo.
Fernando. Della sposa infedele a vendicarvi io prendo.

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Posso segretamente entrar nel vostro tetto.

Senza che a voi tal passo vaglia a recar sospetto?
Marchese. Fate torto a voi stesso parlando in guisa tale.
L’amicizia, l’onore nel vostro cuor prevale.
Ite liberamente, la facoltà vi dono.
Rammentate l’offesa, e che l’offeso io sono.
Fernando. Basta così, vedrete dell’onor mio l’impegno.
Giungere mi prometto al fin del mio disegno.
Non vo’ svelarvi il modo; saper non lo dovete.
Quando sarà adempito, allor voi lo saprete.
Marchese. Se fidar vi dovete d’alcun de’ servi miei,
È Fabrizio quel solo, di cui mi fiderei.
Spiacemi che finora in van l’ho ricercato;
So che parlarmi ei brama.
Fernando.   Fabrizio è un scellerato.
Marchese. Come! che mai mi dite?
Fernando.   Egli è con lei d’accordo.
Ei favorisce il Conte, di un vil guadagno ingordo.
Marchese. Ah, ciascun mi tradisce. Lo troverò l’ardito.
Fernando. Dar si può che a quest’ora sia il fellone punito.
Marchese. Da chi?
Fernando.   Nell’avanzarmi ch’io feci arditamente
Presso della Marchesa, spinto da zelo ardente.
Egli parlommi in guisa, mi provocò a tal segno.
Che l’ardir fui costretto punir di quell’indegno.
Marchese. Un mio servo puniste?
Fernando.   Perdere dee la vita
Un testimon ribaldo di quella trama ordita.
Quando si tratta, amico, di vergognosi eccessi,
Si hanno a punir coi rei anche i complici istessi.
Marchese. Non so che dir, mi veggo cinto per ogn’intorno
Da perfidi nemici, che fan maggior lo scorno.
Non ho più forza, amico, per regolar me stesso;
Son dalle mie sventure, son dal dolore oppresso.
Pietà di un infelice, pietà del mio destino;

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Alla quiete, al riposo apritemi il cammino.

Ma no, fino ch’io viva, pianger dovrò il mio fato.
Pace trovar non spero, morirò disperato. (parte)

SCENA II.

Don Fernando, poi Prosdocimo.

Fernando. Favorisce il disegno la mia fortuna, il veggio;

Ma la prospera sorte forse sarà il mio peggio.
Non mi cal d’incontrare i precipizi un dì.
Bastami rivedere quel bel che mi ferì.
Prosdocimo. (Eccolo qui davvero. Troverò un’invenzione
Per conseguir l’effetto della sua promissione).
Fernando. Prosdocimo, che rechi? Fabrizio hai ritrovato?
Prosdocimo. Zitto, nessun ci senta.
Fernando.   Cosa fu?
Prosdocimo.   L’ho ammazzato.
Fernando. Bravo; ad un’altra impresa destino il tuo valore.
Hai da uccidere un altro.
Prosdocimo.   Un altro? Sì signore.
Come ho ammazzato quello, ne ammazzerò anche cento.
Datemi i sei zecchini. (Di perderli pavento).
Fernando. Dimmi, come facesti ad eseguir l’impresa?
Prosdocimo. Lo trovai ch’era solo; promossi una contesa.
Col mio solito caldo la rissa ho provocata.
Egli rispose ardito, gli diedi una guanciata.
Tosto si venne all’armi; lo stesi in sulla strada;
L’ammazzai sul momento.
Fernando.   Ma dov’è la tua spada?
Prosdocimo. La spada mia... gli diedi colpo sì maladetto,2
Che restò fino al manico di quel meschino in petto.

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Fernando. Perchè lasciarla? Avranno contro te il testimonio.

Prosdocimo. Eh che non ho paura, se venisse il demonio.
Datemi i sei zecchini.
Fernando.   Prima di darli, io voglio
Esser certo del fatto.
Prosdocimo.   (Codesto è un altro imbroglio).
Signor, mi maraviglio. Voi non mi conoscete.
Servitevi d’un altro, se a me voi non credete.
Ma voglio i miei denari. (gridando)
Fernando.   Taci. (Acchetarlo è bene.
A costo anche di perderlo, dargli il denar conviene).
Eccoti i sei zecchini. (thando fuori la borsa)
Prosdocimo.   (Vengono per mia fè). (da sè)
Fernando. Prendili, e se hai coraggio....

SCENA III.

Fabrizio e detti.

Fabrizio.   Signor. (a don Fernando)

Prosdocimo.   (Povero me!)
Fernando. (Come! il morto cammina?) (a Prosdodmo)
Prosdocimo.   (Sarà risuscitato).
Fernando. (Va, che un vile tu sei). (mette via la borsa)
Prosdocimo.   (Il diavol l’ha portato). (da sè)
Fabrizio. Signor, si può sapere dove sia il mio padrone?
Fernando. (Ah, costui può tradire la mia riputazione).
Odimi, se tu parli, il tuo castigo aspetta.
Mira, se da quest’arma posso sperar vendetta.
(gli mostra una pistola, e Prosdocimo trema)
Ma se parlar volessi, a te non darà fede
Il tuo padrone istesso, che un traditor ti crede.
Per avvilirti il dico; sappi che usai tal arte,
Che il cavalier ti crede d’ogni suo scorno a parte.
Fiati miglior consiglio sfuggire il di lui sdegno;
Salvati in altra parte, e in tuo favor m’impegno.

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Fabrizio. (Si deluda quest’empio). Signor, non so che dire;

In un tale periglio meglio è per me fuggire.
A voi mi raccomando.
Fernando.   Soccorrerti prometto.
Eccoti sei zecchini. (tornando a cacciar la borsa)
Prosdocimo.   (Oh destin maladetto!)
Fabrizio. (Prenderli è necessario per mascherar la cosa).
Accetterò, signore, la grazia generosa. (li prende)
Vado a salvarmi subito, pria che di peggio accada.
Vado di qua lontano. (in atto di partire)
Prosdocimo.   Rendimi la mia spada.
Fabrizio. Prendila, uom valoroso, prendila, uom forte e bravo.
Stimo la tua fortezza, e al tuo valor son schiavo.
(dà la spada a Prosdocimo, e parte)

SCENA IV.

Don Fernando e Prosdocimo.

Prosdocimo. Ehi! Avete sentito?

(gloriandosi per quel che ha detto Fabrizio)
Fernando.   L’elogio assai ti onora (ironico)
Prosdocimo. Vado a ammazzar quell’altro?
Fernando. No, non è tempo ancora.
(Costui lasciar non deggio lungi dal fianco mio.
Ei sa tutto l’arcano, e dubitar degg’io.
Posso di lui servirmi in quel che ho meditato).
Vieni meco.
Prosdocimo.   I zecchini...
Fernando.   Vieni, non sarò ingrato.
Ora mi dei servire più risoluto e franco.
Prosdocimo. Farò tremare il mondo colla mia spada al fianco.
(partono)

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SCENA V.

Camera della Marchesa.

La Marchesa e Regina.

Marchesa. Parti dagli occhi miei...

Regina.   L’avete anche con me?
Marchesa. Ebber le mie sciagure l’origine da te.
Se tu non favorivi il perfido disegno,
No, non sarei caduta in sì funesto impegno.
Tu accordasti l’ingresso, ed il tuo cuore avvezzo
All’avarizia indegna, ne ha conseguito il prezzo.
Regina. Oh cospetto di bacco! Di voi mi maraviglio.
Son fanciulla onorata.
Marchesa.   Tacere io ti consiglio.
Lasciami nello stato, in cui mi vuol la sorte.
Non temer che gl’inganni discopra al mio consorte.
Egli più non mi crede, sono al suo cuor sospetta,
E di voler si vanta contro di me vendetta.
Regina. Ma procurar io posso, salvo il decoro mio,
Ch’egli con voi si plachi.
Marchesa.   Nulla da te vogl’io.
I testimon tuoi pari recano disonore.
Bastami l’innocenza, che ho radicata in cuore.
Vattene da me lungi, e i tuoi rimorsi, ingrata,
Siano la ricompensa di un’alma scellerata.
Regina. Mai più m’è stato detto quello che voi mi dite.
La finirò ben io, se voi non la finite.
Anderò via, signora, e si saprà il perchè.
(Ch’io di qua me ne vada, meglio sarà per me).
(da sè, e parte)

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SCENA VI.

La Marchesa sola.

Riparo all’onor mio da’ miei congiunti aspetto.

Chiamerò mio cugino; gli scriverò un viglietto.
(siede per scrivere)
Ah, nel vergare il foglio mi assale un fier spavento:
La vita del mio sposo dovrò porre in cimento?
Ah no, morir piuttosto... Ma dell’onor mi priva;
Ma la mia fama oscura... Che si ha da far? Si scriva.
(scrive)
Cugin. Sono insultata dal mio consorte ingrato...
Ma la cagion proviene da un traditor spietato.
Contro di lui si scriva; svelisi don Fernando,
E de’ suoi tradimenti dicasi il come e il quando.
(straccia il foglio, e ne prende un altro)
Cugino. Un traditore insidia l’onor mio...
Ma con ciò di ruine sola cagion son io.
Espongo i miei congiunti, perdo il marito istesso,
E l’onor mio rimane miseramente oppresso.
Porga rimedio il tempo. Soffra un animo forte
I colpi del destino, le ingiurie della sorte.
La calunnia non dura, la verità è una sola.
La virtù, l’innocenza, l’anima mia consola.
Soffrirò i crudi sdegni del mio consorte altero,
Fin che arrivar lo faccia a discoprire il vero.
Se di vedermi ei sdegna, soffrasi il rio martoro,
Soffransi ancor gl’insulti, ma salvo il mio decoro.
S’egli da solo a sola usa termini indegni,
Farò che il mio coraggio il suo dover gl’insegni.
Se in pubblico non teme esporre l’onor mio,
In pubblico ragione mi saprò fare anch’io.
Lo sposo mio rispetto, calmi della sua fama.

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L’onor della famiglia dee premere a una dama.

La domestica pace spero dal cielo in dono;
Ma se minacce ascolto, femmina vil non sono.

SCENA VII.

Don Fernando e detta.

Marchesa. Perfido! Ancor ritorni?

Fernando.   Tacete; a voi dinante
Non vedete, Marchesa, un lusinghiero amante.
Un uom vi si presenta, che coraggioso e ardito
Vi minaccia la morte in nome del marito.
Egli di voi, del Conte seppe la trama audace.
Sa che voi l’adorate...
Marchesa.   Oh traditor mendace.
È cavaliere il Conte; per l’onor suo m’impegno;
Tu sei l’empio profano, tu il seduttore indegno.
Fernando. Meno orgoglio, signora. Tosto morir dovete.
Ecco un ferro e un veleno. L’uno dei due scegliete.
(pone sopra un tavolino uno stile ed una boccetta con del veleno.)
Marchesa. Con questo ferro istesso darti saprò la morte.
(prende lo stile, e s’avventa per ferirlo)
Fernando. Viva non isperate uscir da queste porte.
(mette mano ad una pistola)
Marchesa. Servi, servi, accorrete.
Fernando.   No, non vi ascolta alcuno;
Quivi, fin ch’io ci sono, non penetra nessuno.
Sola morir dovete.
Marchesa.   Barbara tigre ircana,
I rimorsi non senti della ragione umana?
Fernando. Ah sì, ve lo confesso, premer mi sento il cuore
Per il vostro destino asprissimo dolore.
Bramo serbarvi in vita. Posso, se lo bramate,
Salvar la vostra fama che più di tutto amate.

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Di rendervi felice la potestà mi è data;

Ma non vo’ la pietade usar per un’ingrata.
Marchesa. Nè io per un indegno posso cangiar costume.
Se mi tradisce il mondo, non mi abbandona il nume.
Questi fieri strumenti ch’esponi in mia presenza,
Potran, quando ch’io muoia, provar la mia innocenza.
Vattene, traditore.
Fernando.   Un’altra volta il dico.
Sarò, qual mi volete, amico od inimico.
Ecco la morte vostra, quando morir vogliate;
Eccovi un difensore, se la pietade usate.
Marchesa. Odio più del carnefice il difensor crudele,
Coll’innocenza in petto voglio morir fedele.
Vanne, ministro indegno, reca tu al mio consorte,
Che mi vedesti intrepida ad incontrar la morte.
(alza il ferro per ferirsi)
Fernando. Fermatevi un momento. Ah non ho cuore, ingrata,
Vedervi in faccia mia morir da disperata.
Pensateci anche un poco. Sola lasciarvi io voglio.
La natura contrasti col forsennato orgoglio.
Ma fuor di queste soglie vano è sperar l’uscita.
O arrendervi dovete, o terminar la vita.
(parte, e chiude l’uscio)

SCENA VIII.

La Marchesa sola.

Aiutatemi, o numi, voi datemi il consiglio.

Voi porgetemi aita nel fatal mio periglio.
Cedere a un scellerato? No, non sarà mai vero.
Morir senza delitto? oh mio destin severo!
Chiuse la porta il perfido; niun mi porge aiuto.
Ah sì, de’ giorni miei l’ultimo dì è venuto.
Ingratissimo sposo, morta mi vuoi? perchè?
Dato mi fosse almeno morir dinanzi a te!

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Ma no, creder non posso ch’ei sia così spietato;

Chi m’insidia la vita, non è che un scellerato.
Fernando è il traditore senza l’altrui consiglio,
E non saprà nemmeno lo sposo mio il periglio.
Dunque morir io deggio per un fellone irato?
Che risolver mai deggio in sì misero stato?
Sei torna ad insultarmi, di lui più non mi fido;
Se violentarmi ardisce, senza esitar mi uccido.
Ah, nel mio male estremo voglio tentar la sorte:
Vo’ col periglio incerto sfuggir sicura morte.
Cielo, mi raccomando al tuo pietoso auspizio.
Voglio la mia salvezza cercar nel precipizio.
(salta dalla finestra)

SCENA IX.

Strada.

Il Conte e Fabrizio.

Fabrizio. Signor, voi sol potete, voi cavalier possente,

Salvar me sventurato, salvar quell’innocente.
Conte. Come render poss’io la misera sicura
Dal furor di un consorte che contro lei congiura?
S’egli ha di me sospetto, degg’io per la mia stima,
Con lui che reo mi crede, giustificarmi in prima.
Fabrizio. Sollecitar potete...

SCENA X.

La Marchesa e detti.

Marchesa.   Misera me!

Conte.   Che vedo?
Marchesa. Aiutatemi, amici.
Fabrizio.   Ah il suo destin prevedo.
Conte. Cosa avvenne, Marchesa?

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Marchesa.   Oh ciel, mi trema il core.

Conte. Ecco in vostra difesa un cavalier d’onore.
Marchesa. Conte, con voi non posso venir senza periglio.
Vieni meco, Fabrizio; il ciel darà il consiglio.
(parte correndo con Fabrizio)

SCENA XI.

Il Conte solo.

Misera sventurata! Sapere almen vorrei...

Ma la ragion non vuole che vegganmi con lei.
La seguirò da lungi pel pubblico cammino.
Cercherò da Fabrizio sapere il suo destino.
Parlerò col Marchese. S’ei sarà meco umano,
Del perfido Fernando gli svelerò l’arcano.
Ma se a torto la sposa brama veder punita,
Difenderò la dama a costo della vita. (parte)

SCENA XII.

Don Fernando, poi Prosdocimo.

Fernando. Ah fuggì la spietata. Son di furor ripieno.

In qualche via nascosta la ritrovassi almeno.
Ah se la trovo, il giuro, non valerà l’orgoglio.
Se anche morir dovessi, in mio poter la voglio.
Prosdocimo. È trovata?
Fernando.   É trovata?
Prosdocimo.   Ne ho piacer.
Fernando.   La vedrò, (minaccioso)
Prosdocimo. Dove la ritrovaste?
Fernando.   Tu la trovasti?
Prosdocimo.   Io no.
Fernando. Stolido, vanne tosto, cercala in ogni parte.
Usa per rinvenirla, usa l’ingegno e l’arte.

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Se a me tu non la guidi, la testa io ti fracasso.

Prosdocimo. La condurrò, se fosse in braccio a Satanasso.
(parte correndo)

SCENA XIII.

Don Fernando, poi Fabrizio.

Fernando. Dove sarà fuggita, senza consiglio e sola?

Non sarà lungi, io spero.
Fabrizio.   Signore, una parola.
Fernando. Come! non sei partito?
Fabrizio.   Partirò immantinente;
Ma pria vo’ raccontarvi stranissimo accidente.
Mentre che d’uscir fuori la strada avevo presa,
Incontro per la via la povera Marchesa.
Mi ha domandato aiuto. Aiuto io le ho prestato.
Il salto dal balcone piangendo mi ha narrato...
Fernando. Dove si trova?
Fabrizio.   Adagio, che sentirete il resto.
A lei posto ho in veduta il suo destin funesto.
Le dissi che voi solo darle potete aiuto;
Che se in voi non confida, tutto è per lei perduto;
Ch’io le farò la scorta; e alfin l’ho persuasa
Di ragionar con voi pria di tornare in casa.
Vederla se vi preme, di me se vi fidate.
Dentro al caffè vicino ad aspettarmi andate.
Fernando. Pensi tu d’ingannarmi i?
Fabrizio.   Giuro sull’onor mio.
Dite, se non vi guido, che un traditor son io.
La condurrò in mia casa; le parlerete in pace.
Fernando. Non crederei che fossi nell’ingannarmi audace.
Fabrizio. Se pensier non avessi di far quello ch’io dico,
Chi mi obbliga a venire a pormi in un intrico?
La padrona mi preme; difenderla vorrei;
Parlar con voi si fida, s’io son presso di lei.

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Siete un uomo d’onore, e sono assicurato

Che l’onor della dama sia da voi rispettato.
Fernando. Bene; colà ti aspetto.
Fabrizio.   Molto non tarderò.
Fernando. Guarda, se tu m’inganni, che giungerti saprò.
(Nel caso in cui mi trovo, mi giova ogni speranza.
Goderò, se mi riesce, frenar la sua baldanza).
(da sè, e parte)
Fabrizio. Fidati pur di me, vedrai quel che ho pensato.
Il ciel mi diè il consiglio, il ciel mi ha illuminato.
Vo’ salvar l’innocenza, svelando il traditore.
Benchè povero nato, l’idolo mio è l’onore. (parte)

Fine dell’Atto Quarto.


Note

  1. Ed. Zatta: circa il punire ecc.
  2. Così l’ed. Pitteri. Nelle edd. Guibert-Orgeas, Zatta e altre leggesi: gli diedi un colpo maledetto.