La cieca di Sorrento/Parte seconda/I
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I.
albina di saintanges.
Egli è necessario, per seguitare gli avvenimenti che abbiam presi a narrare, volgere uno sguardo indietro; e toccar di certi fatti antecedenti al tempo da cui abbiam cominciato il nostro racconto.
Il marchese Paolo Alfonso Rionero, figliuolo unico discendente di antico e nobil casato napolitano, ereditato avea dalla morte di suo padre una fortuna ragguardevole. Nella giovanile età di 22 anni si vide padrone assoluto di sè medesimo; ma le doti eccellenti del suo cuore, i saldi principii di onore e di probità, infusigli da un’educazione compitissima e dall’esempio inalterato di tre generazioni di uomini delle virtù più austere, garentir doveano la sua giovinezza da ogni pericolo; tanto più che non era straniero alle lettere amene, alle arti, e a tutte quelle discipline cavalleresche, onde si onora e si abbella la vita d’un bennato gentiluomo. Di volto avvenente ed espressivo, di modi gentili ed aperti, di animo veramente nobile, ispirava la simpatia, la confidenza e il rispetto.
Per le attinenze e relazioni procurategli dalla sua nascita e dal suo ingegno si trovò ben presto a contatto con gli uomini della più alta estimazione del paese, ed ebbe però il campo di studiare la società nelle sue elevate regioni senza rimanere impaniato nel vischio de’ vizii brillanti e delle inorpellate corruzioni del gran mondo: e da questo fu salvato da quel senso morale che gli facea subitamente sceverare il leggiero dall’impertinente, il difetto dal vizio, la caricatura dall’imitazione, l’esagerato dal passionato. Bene accolto nelle riunioni, caro alle dame, accetto ad ogni ragione di età per la maniera onde sapeva attagliare la conversazione all’indole, ed al carattere delle persone con cui si trovava, il suo nome già percorrea brillante ne’ circoli privati e diplomatici, a segno che dal ministero degli affari esteri, per alta raccomandazione, fu prescelto nell’anno 1819 a recarsi a Parigi, in qualità di aggiunto alla Legazione napolitana in quella Capitale.
La Francia era in quel tempo sotto il governo di Luigi XVIII. Il trono di San Luigi era ristabilito. L’Europa, stanca di guerre e di calamità, riparavasi all’ombra della legittimità, aspettando giorni migliori e meno tempestosi. Cominciava pel mondo politico quell’era di pace, di serenità, di composizione che doveva in appresso far risplendere di vivissima luce le arti e la civiltà; ed in Francia massimamente, che da circa 30 anni era stato il più sbalestrato di tutt’i paesi europei, riprendea vigore quella vita del pensiero, sempre pronto a risorgere sulle ruine delle passioni e delle lotte politiche.
La nobiltà francese era tornata con la Restaurazione; i salotti si aprivano a’ lunghi balli, alle veglie galanti, ai concerti musicali. Parigi rifluiva di belle donne, di crocchi splendidissimi: i Campi-Elisi, Versailles, il bosco di Boulogue rianimavansi di brillanti passeggiate. Il marchese Rionero, giovine di ardente immaginazione, non potea mancare di trovare in quella vita di svariate sensazioni un fascino attraente, a segno che, usando in tutte le case del quartier S. Germano, slanciavasi a gonfie vele nell’atmosfera profumata della vita elegante.
Tra le altre case, rinomatissima per le feste che dava quella del conte Dubois raccoglieva ogni sabato tutti gli uomini più alla moda in quel tempo, e più notabili nella politica, nella milizia e nelle arti: i membri del ministero Dessolles allora al potere, gli agenti diplomatici stranieri, i più distinti letterati, e tutte le più belle dame della nobiltà parigina convenivano a casa Dubois, per coruscarvi di vezzi, di lusso e di eleganza. Il marchese Rionero vi fu presentato dall’ambasciatore napolitano.
Una giovinetta, di nobil famiglia, singolarmente bella, vedeasi in quelle feste rincantucciata nella parte più ascosa del salone da ballo, ovvero confusa tra le vecchie dame che giocavano in altri salotti. Sempre trista e malinconica, ella sembrava trarre al ballo per mera compiacenza verso la zia, la quale, avvezza al gran mondo e a’ piaceri, dismetter non sapea quelle consuetudini. Vedova di un ciamberlano di Luigi XVI, questa vecchia era una di quelle donne eccessivamente fanatiche e attaccate a’ vecchi pregiudizi di un tempo direm quasi feudale. Passata l’età giovanile, età di danze, d’amori appassionati, età di poesia e di sogni, ella erasi data alla vita galante, agl’intrighi misteriosi; e finalmente, la vecchiezza, costretta avendola a rinunziare alle follie d’amore, la vecchia donna si racconsolava gittandosi nelle sottigliezze di gabinetto, nelle ambagi politiche e dandosi una certa ventosa importanza diplomatica.
La baronessa di Saintanges usava frequentemente nei gabinetti de’ ministri, e non rare volte fu veduta ne’ salotti del principe di Talleyrand, gran ciamberlano del Re ed una delle più grandi celebrità politiche de’ nostri tempi. Ella era da per ogni dove accolta con segni di gradimento, perocchè quasi sempre al suo fianco vedeasi la giovinetta sua nipote, orfana vezzosa ed amabilissima, che avea lineamenti statuari e gote improntate di visibil sofferenza. Molte cose buccinavansi ne’ salotti e ne’ circoli di corte su i motivi della tristezza di Albina di Saintaoges, ma la vera cagione a pochissimi era nota.
Il giovin marchese di Rionero non avea potuto veder quella fanciulla, senza sentirsi preso per lei di una invincibil simpatia per essere egli in quella età in cui le passioni mandano l’anima sottosopra. Oltracciò, non dimentichiamo che alcun poco al romanzesco piegava l’indole di lui esaltata e poetica; epperò la pallidezza, l’aria di candore e di misterioso duolo onde circondavasi quella giovinetta, doveano per necessità far profonda impressione sull’animo di Rionero, tanto maggiormente quanto i vaghi racconti e le dicerie sul proposito di lei acceso aveano la sua fantasia e stimolata la sua indole cavalleresca e generosa. Non mai impertanto ardito si era ad esprimerle il benchè lontano sentimento di simpatia; imperocchè, se facile ad accendersi, restìo e cauto egli era a pronunziarsi, abito contratto necessariamente tra uomini che frequentano i circoli della diplomazia.
Siffatta riserbatezza per altro non impediva che il giovine diplomatico si trovasse costantemente in tutt’i luoghi ove sapeasi dovere intervenire la vaghissima Albina di Saintanges. Costei, tredda, silenziosa, e sempre d’accosto alla zia, ovvero solitariamente raccolta in un angolo dei salotti, parea gittata in mezzo alle feste come una bianca camelia dimenticata sovra un’elegante tavoletta di dama.
Il re Luigi XVIII infermò. Tutta la corte, il corpo diplomatico, gli agenti esteri ed il fiore dell’aristocrazia francese traeva però a Saint-Cloud, real residenza.
La baronessa di Saintanges vi si trasferiva con la nipote; e, poco stante ne’ circoli apparve il marchese Rionero.
Albina era più pallida, più sofferente del consueto, ma più bella si mostrava nella sua misteriosa tristezza. Vestita di nero, la sua carnagione di alabastro spiccava vie maggiormente ed abbagliava ogni sguardo.
La baronessa era entrata ne’ regi appartamenti, di unita alle altre dame ed ai gentiluomini recatisi ad informarsi dello stato di salute del monarca.
Volgeva a sera un giorno di giugno.
Albina era restata sola, appoggiata alla soglia d’una vasta finestra, dalla quale i suoi occhi erravano su i ricchi fogliami de’ viali che a perdita di vista spiegavansi dinanzi a lei, coverti dagli ultimi raggi d’oro purissimo che il sole, già presso al tramonto, diffondeva all’estrema parte del cielo. Un candido fazzoletto covrivale in parte le leggiadre sembianze e chi fatto le si fosse più dappresso avrebbe veduto due grosse lagrime venirle giù dagli occhi, ed esser tosto raccolte e rasciugate dal provvido fazzoletto.
Il marchese Rionero entrava in quel momento in compagnia del duca La Roehefoucauld e del conte Chaptal, entrambi pari del regno, il primo de’ quali famoso letterato e filosofo, il secondo chimico di fama europea.
Questi signori salutarono cortesemente la giovine nipote della baronessa, e, poi che alcuni minuti ebber tra loro conversato di politica, s’intromisero nell’interno dei reali appartamenti, non senza aver di bel nuovo fatto gentil riverenza alla solitaria e mesta fanciulla. Il saluto bensì del marchese Rionero andò congiunto ad uno sguardo di trista simpatia, cui la giovinetta rispose abbassando le ciglia lunghe e malinconiche.
Poco stante, Albina, che era novellamente rimasta al suo posto sola ed immersa ne’ suoi pensamenti, udì leggiero strascico di passi vicino a lei, e, voltatasi, mise un piccol grido di sorpresa.
Rionero le stava a fianco, e la guardava con muta passione.
— Madamigella, le disse dopo pochi secondi di eloquente silenzio, perdonate... sono indiscreto, lo so, anzi son pur troppo temerario nell’ardire di turbare il vostro raccoglimento: perdonate; non ho saputo resistere alla tentazione di procurarmi un supremo piacere, quello di scambiar con voi poche parole.
Gli occhi, di Rionero brillavano inusitatamente; il suo volto, animato da leggiadro colorito, preso aveva un carattere di avvenenza irresistibile.
Albina levò su lui due occhi grandi c neri, ed il guardò senza veruna espressione.
— Signor marchese, gli disse, le vostre parole mi onorano di troppo... vi ringrazio... ma sono per naturale silenziosa... D’altra parte, vi confesso che gli usi di corte mi annoiano... mia zia vuole per forza che io la segua... per distrarmi, com’ella dice.
— Per distrarvi!... Gli è vero, madamigella,... vostra zia vi ama, vorrebbe vedervi un poco più lieta;... attribuite al suo affetto la premura di bandire dal vostro animo quella tristezza che sembra essersi di voi cotanto insignorita!
— Oh! signor marchese, sono grata a mia zia del suo affetto, ma sento... che non potrò esser giammai lieta. Iddio ha stampato nel mio cuore a caratteri di ferro la parola dolore.
Gli occhi di Rionero s’iniettarono di lagrime... Albina sembrò commossa a quell’attestato di calda amicizia.
— Vi ringrazio, signore, di cuore vi ringrazio... della squisita tempra dell’animo vostro, che sembra commoversi di me... vi ringrazio... Accettate, signor marchese, la mia amicizia?
In così dire la giovinetta stendea la sua destra a Rionero, il quale, presala con avidità tra le sue mani, per un moto d’irresistibil tenerezza vi stampava un caldissimo bacio.
— Se l’accetto! madamigella, se accetto la vostre amicizia! ma questo è il più bel giorno della mia vita!.. Sì, madamigella, sarò vostro amico, andrò superbo di questo titolo, che mi mette nel cuore una gioia impossibile a reprimere!...
Albina il guardò fiso, e quindi, ritirando dolcemente la mano che tuttavia rimanea stretta tra quelle dell’ardente italiano, diceagli:
— Badate, signore... l’amicizia, la sola amicizia è quanto può offrirvi la sventurata Albina di Saintanges.
In questo, la baronessa tornava dalla sua visita al Re. I due giovani si divisero dopo aversi tra loro scambiato un amorevol saluto.