La cieca di Sorrento/Parte seconda/II
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II.
il 18 giugno.
Il palazzo Saintanges era sito nella Chaussèe d’Antin, uno de’ più aristocratici quartieri di Parigi.
Il domani di questa breve conversazione tenuta a Saint-Cloud, il marchese Rionero, verso l’una pomeridiana, si faceva annunziare alla baronessa di Saintanges.
— La signora baronessa è uscita in questo momento, gli fu risposto; se il signor marchese vuol parlare a madamigella, sarà immantinente informata.
Questo appunto talentava all’impaziente Rionero, il quale, fin dalle 11 del mattino, erasi tenuto fermato in carrozza, poco discosto dall’abitazione della baronessa, per ispiare il momento in cui costei usciva.
— Ebbene, dite a madamigella di Saintanges che avrei qualche cosa di sommamente urgente a manifestarle.
Dopo un tre minuti, il marchese Rionero veniva introdotto nello stanzino della fanciulla.
Albina era seduta sopra una bassa seggiola alla Voltaire. La stanza, a carte bianche strisciate di azzurro, riccamente e con isquisito gusto fornita di mobili, ricreava dolcemente i sensi co’ suoi colori e co’ suoi profumi, sì che detta l’avresti un tempietto consacrato a qualche deità. La tavoletta di diaspro orientale, con specchio ovale movibile, sorretto da due genietti di argento, era situata nel mezzo, quasi altare di quel tempio. Quattro enormi vasi del Giappone, pieni di camelie e di altri fiori, eran posti a’ quattro angoli di quello spogliatoio. Un sola di raso rosso a molle elastiche, alquante poltroncine dello stesso colore, ed un deschetto di legno dorato, su cui splendeva una coppa d’oro di abilissimo artista, compivano l’addobbo di quella gentil cameretta.
La fanciulla era avvolta in larga veste bianca; le braccia e l’altezza del petto interamente nudi pareano lavoro finissimo di alabastro.
Rionero si sentiva sotto la potenza di un fascino; rimase qualche momento in silenzio, all’impiedi; con lunghissimo sguardo la contemplava. Mai in sua vita ammirato non avea cotanta bellezza che avea pressochè dell’ideale; ond’ei beveva a grandi sorsi il dolce veleno che attossicando già gli andava l’esistenza.
Albina fu la prima a cominciar la conversazione.
— Signor marchese, vi confesso che non mi aspettava affatto di avere il piacere di rivedervi così presto... Vogliate sedervi... Sono dolente che mia zia sia ita fuori in questo momento, perocchè molto a cuore avrebbe avuto la garbatezza d’una vostra visita.
— Grazie, madamigella, rispose Rionero inchinandosi e sedendosi dirimpetto a lei sovra una delle eleganti poltrone... Mi permetterete di non partecipare interamente al vostro rammarico per l’assenza della baronessa... Con tutta l’altissima stima che io le professo, non posso che esserle gratissimo di avermi procurato, senza dividerlo con altri, il piacere della vostra presenza.
Ciò detto, temendo di essersi troppo presto avanzato in discorso, soggiunse, quasi per mitigare la troppa arditezza del suo pensiero:
— Credete voi, madamigella, che il solo amore sia geloso, e che l’amicizia non sia parimente?
Questa nobile ammenda della sua avventatezza ricompose la fisonomia di Albina, che alcun poco rabbuiata si era a quelle prime significative parole.
— Il vostro cuore è caldo e nobile, signor marchese... e la vostra fantasia accesa dal bel cielo d’Italia si lascia scorgere ne’ vostri appassionati discorsi... Di qual parte d’Italia siete?
— Sono di Napoli, madamigella, di quella terra prediletta da Dio... Noi altri napolitani siamo figli del sole... abbiamo l’anima espansiva com’esso, e la nostra vita però non è che amore... Se noi non amassimo, moriremmo.
— Se la vostr’anima è somiglievole al sole, il vostro amore esser debbe in conseguenza passaggiero come i suoi raggi: il sole, voi lo sapete, tutto riscalda, ma a niente si attacca, e dietro alla sua luce vi è l’ombra!
— Ammiro il vostro spirito, madamigella, ma mi permetterete di non entrar con voi in isterili discussioni sovra un subbietto troppo dilicato, nel quale io sento che sareste in questo momento troppo debole avversaria per competer meco.
Albina impallidì, e con voce renduta fioca e tremante per commozione.
— Debole avversaria! voi dite...
— Sì, madamigella, debole avversaria in paragon di me, perchè... io amo, ardentemente amo!..
Albina scosse il capo, e, senza badare al sentimento ed all’indirizzo di quelle infuocale parole, disse quasi parlando a sè medesima:
— Egli dice di amare!... ed io! io!!
— Che dite mai, Albina, voi!... voi pure amate!
— Oh, signor marchese, cangiamo ... cangiamo il subbietto della nostra Conversazione; ve ne prego... I medici mi hanno proibito di parlare o di sentir parlare di certe cose.
— Ebbene., madamigella, io mi tacerò.... giacchè così volete, rispetterò i vostri segreti affanni; ma, se è vero che mi estimate vostro amico, se tal davvero mi credete, io non vi domando che una sola parola, e ve la domando in nome di quanto avete di più sacro al mondo... Ditemi, Albina, amate voi qualcuno?
Albina ruppe improvvisamente in pianto.
Rionero restò atterrato!.. Non vi era dubbio!.. Albina amava!.. Oh... amarissimo disinganno! Egli sentì, torcersi il cuore da una mano di acciaio...
Non mai quanto allora il giovine sentiva di amare quella donna con tutto il delirio della passione!...
Un dieci minuti trascorsero nel silenzio e nel pianto. Rionero, pallido e abbattuto, si trasse colla sedia accanto a lei, tolse nelle sue una mano di lei, e, guardandola con occhio secco e disperato:
— Albina, ascoltatemi, le disse... sarò breve e conciso ne’ miei detti... Io vi amo, Albina, vi amo da uomo onesto e leale... li vostro pianto mi ha rivelato in voi profonda e forse disperata passione al pari della mia. Non vi chieggo il segreto del vostro cuore; non pretendo conoscere l’oggetto dell’amor vostro; ma siamo fratelli della stessa sventura... Guardami in viso Albina, e dimmi: poss’io far, niente per te, pel tuo amore? Se l’uomo da te amato è degno di te, dimmi quali ostacoli si frappongono alla vostra unione, palesameli, ed io ti giuro di abbatterli... e, quando avrò posto nelle tue braccia l’oggetto del tuo amore, quando avrò appagato i tuoi voti, allora darò un addio alla Francia e forse al mondo... portando meco la consolazione di averti renduta felice.
Albina gli strinse la mano, e, indicandogli un quadro sospeso alle mura di contro all’uscio del salotto.
— Guarda, amico mio, gli disse, guarda...
— Che cosa è mai quel quadro?
— È un episodio della battaglia di Waterloo.
— Ebbene?
— Non vedi là, in mezzo a quel gruppo di ulani polacchi, quel giovine uffiziale francese stramazzato e ferito?
— Ebbene?
— Quel giovine era l’uomo ch’io amava e che amerò per tutta l’eternità.
— Morto forse! esclamò Rionero, cui un lampo di speranza brillò negli occhi deliranti.
— Morto! ripeteva la giovinetta, è i suoi occhi scioglievansi nuovamente in amarissime lagrime.
Rionero rispettò quel giusto dolore, e rimase profondamente commosso, affisando sul quadro uno sguardo in cui eran ritratte la gelosia e la pietà.
Al pianto dirotto di Albina era succeduto un cupo abbattimento, sì che parea la sventurata fanciulla non aver altro sentimento che la disperazione del suo dolore.
Rionero avea pur esso gli occhi bagnati di lagrime.
— Perdono... mille volte perdono, madamigella, disse indi a poco in modo grave e solenne, di aver riaperta involontariamente la ferita del vostro cuore. Il vostro duolo è più che giusto, nè umano conforto tentar potrebbe giammai di scemarne l’intensità... Ora comprendo perchè ieri la vostra fronte era più buia del solito, perchè una veste di bruno traducea così fedelmente il lutto dell’anima vostra... Ieri, eravamo al 18 giugno!1
Rionero si tacque, temendo configger vieppiù lo strale nel cuore della giovinetta...
Il silenzio, pregno di forti e diverse commozioni, si stabilì novellamente tra i due giovani, la cui vicendevole posizione si era sì di repente cangiata, per l’inattesa rivelazione fatta da Albina.
Profonda mestizia sedea, sul volto di Rionero... Il poveretto avea preveduto primamente opporsi al suo amore un argine insuperabile e crudele, e quindi, balenata lontana speranza, la vedea tosto annebbiata da quella invincibile passione onde il cuore di Albina era avvinto ad una tomba!
— Signor marchese, soggiugnea la giovinetta poi che alcun poco ricomposta si ebbe dal suo dolore, ora che il segreto della mia tristezza vi è noto, voi medesimo non potete condannarmi di non rispondere al sentimento che per novella mia sciagura vi ho ispirato. Errico Monfort, lo sventurato Errico era il mio promesso sposo; noi ci avevamo giurato un eterno amore; e ci amavamo con quella religione del cuore, che mette un suggello divino agli affetti delle mortali creature... Oh! com’era nobile e generoso quel cuore!.. E come vago era il suo volto giovanissimo di 18 anni appena! Ed io, signor marchese, io non aveva che tre lustri allorchè fui presa d’amore per lui; la mia anima era vergine di affetti, perocchè ne’ primi anni della mia infanzia furata fui degli amplessi de’ miei genitori, morti entrambi nella terra di esilio per condanna di Bonaparte. E quest’uomo strascinava nella sua caduta l’amor mio, il mio sposo. Una palla prussiana traforava il petto di Errico nel momento in cui questi raccoglieva brillanti allori, facendo cadere ai suoi piedi un colonnello nimico, che inoltrato si era fino a lui. Era destino che io perdessi tutti quelli che io amava sulla terra! Dopo ciò, comprenderete, signor marchese, che non mi è dato poter rispondere all’affettuosa premura che dimostra mi avete; comprenderete che mi è impossibile di nutrire altro amore. Se qualche cosa per altro potesse mitigare l’asprezza del mio linguaggio e racconsolarvi, si è che non mai altro uomo al mondo sarà da me amato. No, vi giuro che io non sarò di nessuno, poichè il destino divisa mi volle dal solo cui consacrato si era il mio cuore. Vi dirò anche, sig. marchese, che la nobiltà de’ vostri sentimenti, e l’impressione dolorosa che lasciate in me non saranno giammai cancellate dall’animo mio; e, se mi avverrà che per forza di tempo o di emergenze io m’induca ad abbracciare uno stato dal quale rifugge al presente, il mio cuore, vi prometto, qualora persistiate ad onorarmi del generoso vostro amore, vi prometto che io sarò vostra.
A questi detti avresti veduto le abbattute sembianze di Rionero sfolgorare di gioia raggiante, e i suoi occhi riempirsi tosto di lagrime dolcissime e gioconde. Non potendo rattenere la pienezza del suo contento, si precipitò a’ piedi della fanciulla, e covrendo di baci la desira di lei, con solfocata voce esclamava:
— Grazie, grazie ti rendo, o Albina; tu mi salvi dalla disperazione e dalla morte... Sì, due... tre... quattro anni, aspetterò quanto vuoi, aspetterò anche per tutta la mia vita... già la mia vita ti appartiene... Grazie, grazie... Sono felice! pienamente felice!
Una lagrima di tenerezza spuntava negli occhi di Albina, cui tenne dietro subitamente la consueta malinconia.
- ↑ Anniversario della battaglia di Waterloo, la quale ebbe luogo il dì 18 giugno 1815.