La chioma di Berenice (1803)/Coma Berenices/Versi 63-64
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Uvidulam a fluctu, cedentem ad tempia Deùm, me
Sidus in antiquis Diva novum posuit. 64
varianti.
Verso 63. Qualche antiche, Aldine, Stazio, Guarino, Mureto, variormn, Doering a fletu. Scaligero, Corradino uvidulo a flatu, Scaligero anche vividulo a flatu vel afflatu. Heinsio uvidulam ac fletus edentem, vel a fletu, escendentem ad. Dubita il Valcken. La nostra restituita dal Vossio e difesa dalla principe, dalle antiche, e da’ mss. Ainhrosiani. Partenio e Palladio Fosco Dione per Deûm me. Principe Dianae. Santero Dionae. Mss. Ambrosiano Y lacuna. Molti Uvidulum.
note. Versi 63 — 64.
Uvidulam a fluctu. Chi legge a fletu interpreta dal pianto della chioma partendosi dal capo della regina; e lo Scaligero espone a flatu, dal fiato soave e rugiadoso di Zefiro. Il Vossio abbellisce la nostra lezione con molla dottrina. Ecco le sue parole = «Ut animae defunctorum antequam ad campos elysios, aut sedes superas penetrarent, oceanum transire credebantur, ita quoque Callimachus fingit comam roscido oceani aëre madentem in coelum esse delatam. Animas vero defunctorum oceanum transire passim apud veteres scriptores legitur, quamvis non eadem id accipiatur ratione . . . . Platonici in eo conveniunt animas humanas per oceanum tendere ad insulas beatorum ubi postquam purgatae sinut, per tropicum cancri ad superos evolare, unde demum aut in eadem, aut in alla descendant corpera. Vides non poëtas tantum et grammaticos, sed et philosophos nonnunquam nugari. Et tamen, quod magis mirere, etiam Essenorum fuisse sententiam animas morientium ad elysios ultra oceanum sitos evolare campos testatur Josephus. Ex Callimachi vero mente comam Berenices per oceanum in coelo tranasse, ex eo quoque patet, quod Zephyrum accersitum comam Venus mittat Hesperia.» = Chi non fosse pago di questa bizzarra e dotta esposizione, può appigliarsi alla volgata a fletu che porge un’idea più affettuosa sebbene men grande, o alla Scaligeriana vividulo a flatu.
Cedentem invece di incedentem, o accedentem. Volpi.
Ad templa deûm. I cieli. = Il cielo si chiama tempio perchè secondo gli antichi le stelle erano Dei, anzi queste al dir di Platone furono i primi Dei che si adoravano da’ primi popoli. Conti. — Modo frequente in Lucrezio: il Volpi reca esempj di Ennio; Ecuba.
O magna templa caelitum
Commixta stellis splendidis.
Arte del poeta. Dal verso 51 sino al 64. L’autorità d’un astronomo, i meriti e la passione di Berenice, le vittorie di Tolomeo fauno credibile la apoteosi della chioma sacrificata. Dopo le ragioni il poeta dipinge i mezzi. Si giova quindi come tutti i poeti della possanza de’ Numi che accrescono il meraviglioso e lo fanno più verisimile. Ma fra gli Dei egli sceglie quello che esce per così dire dalle viscere dell’argomento. Arsinoe che precedè Berenice sul trono è la Venere che fa trasportare la chioma in cielo. S’apre quindi una strada per condurre la fantasia del lettore fra gli idoli cou cui si rappresentano i venti e Zefiro principalmente, richiama alla mente il tempio del promontorio Zefirio, la ricordanza d’Arsinoe per le delizie d’Alessandria, e la riconoscenza del culto degli Egizj, i quali potessero quindi desumere che se una delle regine era Dea, potea la chioma dell’altra, pietosamente sacrificata, essere annoverata fra gli astri. La corona d’Arianna tende con l’antico esempio a fare più credibile la nuova metamorfosi.