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note. Versi 63 — 64. 121


comam Berenices per oceanum in coelo tranasse, ex eo quoque patet, quod Zephyrum accersitum comam Venus mittat Hesperia.» = Chi non fosse pago di questa bizzarra e dotta esposizione, può appigliarsi alla volgata a fletu che porge un’idea più affettuosa sebbene men grande, o alla Scaligeriana vividulo a flatu.

Cedentem invece di incedentem, o accedentem. Volpi.

Ad templa deûm. I cieli. = Il cielo si chiama tempio perchè secondo gli antichi le stelle erano Dei, anzi queste al dir di Platone furono i primi Dei che si adoravano da’ primi popoli. Conti. — Modo frequente in Lucrezio: il Volpi reca esempj di Ennio; Ecuba.

               O magna templa caelitum
               Commixta stellis splendidis.

Arte del poeta. Dal verso 51 sino al 64. L’autorità d’un astronomo, i meriti e la passione di Berenice, le vittorie di Tolomeo fauno credibile la apoteosi della chioma sacrificata. Dopo le ragioni il poeta dipinge i mezzi. Si giova quindi come tutti i poeti della possanza de’ Numi che accrescono il meraviglioso e lo fanno più verisimile. Ma fra gli Dei egli sceglie quello che esce per così dire dalle viscere dell’argomento. Arsinoe che precedè Berenice sul trono è la Venere che fa trasportare la chioma in cielo. S’apre quindi una strada per condurre la fantasia del lettore fra gli idoli cou cui si rappresentano i venti e Zefiro principalmente, richiama alla mente il tempio del promontorio Zefirio, la ricordanza d’Arsinoe per le delizie d’Alessandria, e la riconoscenza del culto degli Egizj, i quali potessero quindi desumere che se una delle regine era Dea, potea la chioma dell’altra, pietosamente sacrificata, essere annoverata fra gli astri. La corona