La casa del poeta/Pace
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PACE
Sulla spiaggia accecante di sole, fra i bagnanti, specialmente quelli che, dopo l’ultima stagione, si rivedevano per la prima volta, non si parlava d’altro che del freddo dell’inverno passato.
— Ebbene, com’è stato per voi quest’inverno?
— Non me ne parli: roba da cani. Nevicato molto non ha, ma un freddo, un gelo mai conosciuti. Si figuri che un bambino, andato a leccare la neve sulla sbarra di un cancello, vi rimase con la lingua attaccata e congelata.
— Madonnina!
— Accidenti!
Quest’esclamazione era di un terzo bagnante, che arrivava imprudentemente scalzo, sollevando i bianchi piedi scarni, quasi volesse volare.
— Scotta, eh?
Scottava sì, di un ardore infernale, la sabbia molle e profonda.
— E lei, l’inverno come l’ha passato?
— Come vuole che lo abbia passato? A letto, con una bronchite che mi ha succhiato il corpo e l’anima.
— Meno male, però, ch’è stato al caldo, col termoforo. Da noi, invece, si moriva sul serio. Siamo stati bloccati in casa quindici giorni, con la neve che arrivava sopra le finestre del pian terreno. E malattie, e disastri di ogni genere. Oh, ma chi si vede?
Tutti si alzarono in piedi, compreso lo scalzo, che s’era messo un giornale sotto i piedi. Arrivava una signora anziana, dritta ed agile ancora nonostante l’incipiente pinguedine; incoronata di capelli d’oro e d’argento fatti più fulgidi dall’aureola luminosa di un ombrello che pareva un grande girasole. Il vestito, la sciarpa, la calzatura, la fibbia, la borsa, i gioielli, e persino i denti, rispondevano al colore dei capelli; ma fra tanto svaporare e scintillare di tinte nel chiarore della spiaggia, gli occhi di lei, cupi sotto le grandi sopracciglia nere, in un viso fino e fermo di cera rosea, davano l’impressione ch’ella fosse in maschera: una donna giovane, appassionata e cattiva, si nascondeva in quell’involucro di veli e sotto la parrucca impressionante.
Appena ella fu nel gruppo, lo scalzo le afferrò la mano e, inchinandosi, gliela baciò: le signore le offrirono le loro sedie a sdraio e il loro posto all’ombra: ella rimase in piedi, con gli occhi assenti, senza neppure accorgersi del bacio quasi galante del giovine; e quando questi le domandò con la sua voce gutturale e ironica:
— Come mai si è decisa a scendere dalle sue alte vette? — sorrise, finalmente, ma con un sorriso spettrale, che lasciò vedere tutti i suoi denti fino ai molari cerchiati d’oro.
— Che vuole? L’acido urico è come il bisogno: costringe il vecchio a camminare. Si va a far due passi sulla rena calda.
Segni e gridi di protesta.
— Ma che dice? Lei è giovane e bella e fresca come una rosa.
Ella scosse l’ombrello, per scacciare i complimenti e le mosche marine, mentre una signora si faceva il dovere di domandarle:
— E l’inverno, com’è stato, qui?
— Bellissimo. Si figuri che nonostante l’impianto del termosifone, nella villa, l’acqua si gelava nei bicchieri. Le palme e i fichi sono morti: morti gli uccelli. E da loro?
Intervenne pronto lo scalzo:
— Morti, di polmonite, moltissimi imbecilli. Ma anche padri di famiglia e bravi galantuomini. Fra gli altri, forse lei lo saprà, è morto Mario Filippi.
— Oh, poveraccio. No, non lo sapevo. Mi dispiace. Era giovane ancora.
La voce di lei era la stessa: calma, calda e distratta: negli occhi, però, fissi adesso in quelli curiosi e scrutatori dell’uomo scalzo, s’era accesa una luce indefinibile di gioia e dolore assieme.
*
Andata via lei, mentre la sua figura si allontanava lungo l’azzurro del mare, e il riverbero del sole sulla riva pareva quello del suo ombrello, lo scalzo disse:
— Quel Filippi è stato il suo amante, venti anni fa: poi l’ha piantata. Dalla passione ella ne ha fatto una malattia: in seguito, l’amore mutatosi in odio, dicono ch’ella abbia tentato anche di uccidere l’amante. Adesso sarà contenta.
Ella era contenta davvero: anzi le pareva che una forza istintiva l’avesse quella mattina spinta a scendere dal suo eremo solitario per farle conoscere la notizia della sua liberazione. Poichè erano vere, una per una, della più lucida verità, le parole dello scalzo maligno. Ed ella le sentiva alle sue spalle, ma carezzevoli e consolanti come il vento lieve che mutava in ali le falde della sua sciarpa di velo.
Morto. E con lui l’odio, il rancore, l’umiliazione, lo sdegno: tutte le male passioni cresciute intorno all’amore tradito come crittogame sulla vite abbandonata.
Più andava avanti, sulla spiaggia oramai deserta, più si sentiva lieve, quasi quanto ai giorni dell’amore felice. Come si stava bene, adesso! Chiuse l’ombrello e, dopo averne infilato l’anello al polso, tese le braccia, coi lembi della sciarpa fra le dita, quasi volesse assicurarsi che lo spazio finalmente era tutto suo; che, dovunque andasse, la padrona del mondo era lei sola.
E tutti i ricordi della sua passione le ritornarono chiari e schietti, svincolati dal laccio che prima li teneva prigionieri negli angoli più scuri del suo cuore. Come la serva alla quale è morto d’improvviso il padrone e, trovandosi sola in casa, fruga nei ripostigli dove prima, pur sapendo quello che contenevano, non osava guardare, ella li rimuginava tutti, i ricordi più lontani, più chiusi e nascosti. Adesso erano suoi; poteva prenderli in mano come oggetti vivi, guardarli attraverso la luce, riporli o buttarli a piacer suo; non aver più paura di loro, e tanto meno rabbia o vergogna.
Lo sboccare di un fiume, o meglio di due rigagnoli, su un greto larghissimo e bianco, simile ad una grande strada selciata, fermò i suoi passi e il corso dei suoi pensieri. Anzi fu lì il primo incrinarsi del suo cuore cattivo. Quelle due braccia d’acqua, liquide eppure quasi carnose per lo sfondo della sabbia, azzurre e palpitanti, ma di un azzurro e di un palpito diversi da quelli delle onde con le quali si congiungevano e che le portavano via, le parvero veramente animate e sensibili, come due braccia umane tese verso un amore che credono raggiunto, ed è invece sfuggente e irraggiungibile.
Non era stato così il suo? E adesso, libero di ogni scoria e di ogni tumulto, risucchiato dal tempo, non rientrava come quel fiume nel mare, nell’infinito dell’eternità?
Allargò e sollevò di nuovo le braccia, e le parvero anch’esse liquide e tremule, tese verso il cielo: e i cattivi ricordi le caddero dal cuore. Poichè pensava finalmente che, se il corpo dell’uomo era morto, lo spirito di lui viveva ancora, con lei, con la terra, le acque, lo spazio, la pace e la bellezza di quel giorno d’estate.
Allora sentì davvero la sua liberazione: nel perdono. E avrebbe voluto togliersi i calzari barbari, le vesti da marionetta, i gingilli e le cose tutte con le quali si camuffava per parere quella che non era; e procedere avanti per non tornare indietro verso la gente maligna.
Anzi, a proposito dell’uomo scalzo le venne in mente un pensiero:
— Forse la notizia non è vera; me l’ha data per burlarsi di me — e in un primo impeto si volse, per tornare sui suoi passi, affrontare l’uomo, sapere la verità; ma nel voltarsi ch’ella fece, il vento, che prima le batteva alle spalle, la investì di fronte, la prese per ogni piega della veste, per ogni capello, le penetrò fino all’anima.
Un senso di gioia schietta le corse allora nel sangue, come se lo spirito del vento fosse davvero quello dell’amante morto, e le venisse incontro per chiederle pace.
*
— Pace — ella ripeté, risalendo il corso del fiume, per ritornare a casa sua ed evitare ogni altro incontro: poiché non le importava più di sapere se l’amante fosse vivo o morto; per lei, oramai, era morto, e questo le bastava.