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ni dell’amore felice. Come si stava bene, adesso! Chiuse l’ombrello e, dopo averne infilato l’anello al polso, tese le braccia, coi lembi della sciarpa fra le dita, quasi volesse assicurarsi che lo spazio finalmente era tutto suo; che, dovunque andasse, la padrona del mondo era lei sola.

E tutti i ricordi della sua passione le ritornarono chiari e schietti, svincolati dal laccio che prima li teneva prigionieri negli angoli più scuri del suo cuore. Come la serva alla quale è morto d’improvviso il padrone e, trovandosi sola in casa, fruga nei ripostigli dove prima, pur sapendo quello che contenevano, non osava guardare, ella li rimuginava tutti, i ricordi più lontani, più chiusi e nascosti. Adesso erano suoi; poteva prenderli in mano come oggetti vivi, guardarli attraverso la luce, riporli o buttarli a piacer suo; non aver più paura di loro, e tanto meno rabbia o vergogna.

Lo sboccare di un fiume, o meglio di due rigagnoli, su un greto larghissimo e bianco, simile ad una grande strada selciata, fermò i suoi passi e il corso dei suoi pensieri. Anzi fu lì il primo incrinarsi del suo cuore cattivo. Quelle due braccia d’acqua, liquide eppure quasi carnose per lo sfondo della sabbia, azzurre e palpitanti, ma di un azzurro e di un palpito diversi da quelli delle onde con le quali si congiungevano e che le portavano via, le parvero veramente animate e sensibili, come due braccia umane tese verso

DELEDDA, La casa del poeta 11