La Veste d'Amianto/Parte seconda/V
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V.
— Se vi fidate, vi porto con me, — disse Minerva Fabbri rivolta a Ettore Noris che si difendeva dalle sollecitazioni degli amici che volevano trattenerlo ancora a Genova per completare con una serata lieta i festeggiamenti solenni di quella giornata.
La voce chiara e limpida di quella fanciulla si levò alta sulla voce di Folco Ardenza che proponeva:
— Si va a pranzare al Lido? — su quella di Paolo Adelio che diceva all’amico:
— Fermati qui stanotte. Si va su insieme domattina — su quella, ancora, di un neofita dell’aviazione — un giovanetto sottile e pallido con due occhi di malinconia in un visetto macerato d’ardore — che supplicava:
— Rimanete, Noris, accontentateci!
Ma la voce del giovinetto fu la prima a tacere quando Minerva Fabbri ebbe fatto la sua proposta e i grandi occhi — cupi di fiamma contenuta e di dolore — si fissarono nel volto altero e bello della fanciulla che adesso aspettava, già pronta al suo posto, colle mani inguantate appoggiate sul volante della macchina, la risposta di Noris.
— Vengo con voi, — fu la risposta accolta con un palpito dal piccolo cuore ansioso, senza un battere di ciglio, dal bianco viso marmoreo improntato di energia e di fierezza.
Il giovinetto che aveva udito la proposta e la risposta, approvò in cuor suo Ettore Noris. Sì, ora più lusinghiero andarsene attraverso la campagna colla bellissima amica, nella doppia ebbrezza di quella vicinanza e della fuga vertiginosa, che non fermarsi a Genova, fra, gli amici, col pranzo al Lido e la serata in qualche ridotto per unica prospettiva.
Egli approvò Ettore Noris e lo invidiò. Come avrebbe voluto trovarsi al suo posto!
— Venite su! — diceva Minerva Fabbri a Noris. E costui scambiava le ultime strette di mano cogli amici, coi colleghi, colle conoscenze nuove fatto in quel giorno solenne e si congedava da tutti con un sorriso di soddisfazione sincera.
Era contento.
Lo disse a Minerva Fabbri mentre prendeva posto accanto a lei, alla sua sinistra e la macchina cominciava a rombare con un sussulto di tutte le sue viscere.
— Su dunque, una bella corsa per chiudere degnamente la giornata bella.
— Votre service! — disse con un sorriso arguto la fanciulla, — se non volete altro, sono disposta anche a fracassare la macchina per aggiungere una emozione alle vostre emozioni.
— Fin lì, no.
Paolo Adelio che aveva udito le parole della fanciulla intervenne.
— Per carità, un po’ di saggezza, piccola Minerva audace!
Noris lo rassicurò.
— Non aver paura. Si scherza.
— Tu sì, ma quella è una bizzarra personcina capace di qualsiasi follia.
— E dire che proprio voi mi avete denominata la saggia!
— Altri tempi!
Lo sguardo di Minerva Fabbri s’incrociò con quello del giovane con un’espressione rapida e tagliente di ostilità. Come disdegnasse di rispondergli, ella diede un mezzo giro al volante e mosse la macchina.
Cento voci si alzarono ancora a salutare, a ricordare, ad augurare, e la automobile fuggì rapida accompagnata dagli improvvisati commenti degli ammiratori e degli amici dell’aviatore.
— Siete inquieta con Adelio? — fu la prima domanda che Noris rivolse alla fanciulla non appena l’automobile ebbe attraversati la città e sorpassata la punta della Lanterna.
Minerva rispose senza volgersi, perchè tutta la sua attenzione non era superflua per guidare la macchina in quel punto della strada ingombra in modo insolito di carri e di viandanti:
— Io no: perchè?
— L’ho trovato mutato a vostro riguardo.
— E cioè?
— Non so: aggressivo, amaro, ostile.
— Non me ne sono accorta.
— Davvero?
— Perchè dovrei mentirvi?
— Sì, non ci sarebbe ragione. Bisogna dire — soggiunse il giovane dopo un istante di riflessione — che lui pure si sia innamorato seriamente di voi.
Minerva trasalì.
— Perchè, lui pure? Credete dunque ch’io abbia fatto tante vittime?
— Involontariamente, sì.
— Che ne sapete voi?
— O Dio, sono cose che tutti sanno. Voi dimenticate che fin da prima di partire io ho dovuto subire per mesi e mesi gli sfoghi di Cino Coralli, per esempio. E ne ho subìto degli altri dacchè son tornato.
— Davvero? siete qui da quattro giorni e hanno già trovato il modo di annoiarvi con dei pettegolezzi?
— Non pettegolezzi, cara amica: ho detto sfoghi. E non siate così aspra. Sono convintissimo che voi non avete nessuna colpa nella passione infelice di Cino Coralli e nella gelosia improvvisa e furibonda della moglie di Lorenzo Rolla, per esempio.
Stavolta, la fanciulla si volse a fissare Noris col suo sguardo più corrusco.
— La moglie di Lorenzo Rolla può fare a suo marito l’onore di essere gelosa di lui, ma non dovrebbe fare a me l’insulto di suppormi tanto buona da giustificare le sue gelosie, — disse con una voce sibilante d’orgoglio.
Noris sorrise.
— È quello che le ho detto, — dichiarò calmo.
— Voi? era venuta da voi quella disgraziata?
— Sì.
— Ma perchè? che centrate voi colla mia condotto e colla mia vita? che cosa potreste fare, voi, se a me saltasse l’idea di lasciarmi amare da un Lorenzo Rolla qualsiasi? che cosa suppone la gente? che cosa?
— Calmatevi, amica mia, e badate alla macchina prima di tutto, — disse tranquillo Ettore Noris. — Non vedo proprio perchè dobbiate esasperarvi così. Forse — soggiunse — sarebbe meglio che mi lasciaste prendere il vostro posto. Siete troppo nervosa, oggi, per condurre un’automobile.
— Avete paura?
— Paura no. Ma non vedo quale gusto prendereste a provocare un incidente qualsiasi. Volete passare di qua?
— No.
— Come volete.
Noris tacque: si appoggiò allo schienale del sedile e rimase immobile studiando con curiosità, attraverso le palpebre socchiuse, il profilo di Minerva Fabbri come se lo vedesse per la prima volta.
Aveva ragione Giorgio Dauro che a New-York non aveva fatto altro che decantare la bellezza altera della fanciulla: era bella davvero Minerva Fabbri, ed era un tipo. Il velo bianco che le avvolgeva il capo portato alto con un’aria di sfida, lasciava trasparire netta la linea del suo profilo da medaglia romana alterato appena dalla sinuosità della bocca tumida che l’irrequietudine interna ora tormentava con un lievissimo moto convulso percettibile appena. Era bella, Minerva Fabbri, e non era la statua che tutti avevano sempre creduta.
Forse, Ettore Noris si accorgeva per la prima volta della sua bellezza appunto perchè per la prima volta quella bellezza gli appariva materiata d’anima e plasmata di femminilità. O forse erano soltanto le confidenze e i progetti dell’amico e collaboratore che avevano rivolto la sua attenzione all’osservazione e allo studio della fanciulla. Certo, per la prima volta egli la vedeva sotto un aspetto diverso da quello attraverso il quale l’aveva sempre considerata: un collega in sottana. E ricercava la ragione della sua diversa impressione guardandola silenziosa e accigliata, intenta a guidare la macchina con una manovra a scatti che rifletteva la sua nervosità e che aveva per effetto di far procedere la vettura a sbalzi e sussulti.
— Siete ancora inquieta? — si arrischiò a chiederle Ettore Noris con la sua voce più dolce.
— Non sono inquieta: sono esasperata.
— Ma perchè?
— Vorrei sapere che cosa vi ha detto la moglie di Lorenzo Rolla.
— Non una parola che possa menomamente toccarvi. Dovete crederlo anche perchè sapete che non glielo avrei permesso.
— E allora? che cosa è venuta a fare da voi?
— A pregarmi di far ottenere a suo marito qualche incarico che lo allontani da Genova. Le ho chiesto, naturalmente, il perchè di questo suo desiderio ed ella m’ha detto che teme che Rolla sia innamorato di voi.
— Questo solo?
— Questo solo.
— Perchè non mi avete detto subito tutto?
— Perchè mi avete investito così che non me ne avete lasciato il tempo. Non mi ero mai accorto che voi foste così suscettibile, cara amica mia. Eravate, o m’inganno, la stessa serenità. Chi o che cosa vi han mutata così?
Eludendo la domanda diretta, Minerva interrogò a sua volta:
— Mi trovate molto peggiorata?
— Non ho mai pensato di dirvi questo. Vi trovo diversa, ho detto. E diversa non significa già peggiorata.
— Dovete pur decidervi, povero Noris: o mi trovate mutata in meglio, o in peggio: di qui non si esce.
— È una domanda che non ho ancora posta a me stesso; ecco perchè non posso rispondervi.
— L’impressione, Noris, l’impressione! non voglio che vi lambicchiate a meditare: voglio sapere l’effetto schietto e magari rude che il mio preteso mutamento vi fa. Se pur volete dirmelo, — soggiunse subito con voce mutata a un tratto, diventata fredda e tagliente quanto prima era concitato, e quasi febbrile.
— Eccoci ritornati all’amaro, — esclamò Noris sorridendo, — miglior dimostrazione della verità del mio asserto non potevate fornirmi. Sono questi bruschi mutamenti improvvisi che vi staccano assai dalla olimpica Minerva di un tempo.
— E vi dispiacciono.
— Sarò più esatto: mi sconcertano.
— Ah!
— Conosco qualcuno — continuò Noris — cui questo atteggiamento assai meno raro ma nuovissimo per la vostra psiche, potrebbe magari far molto piacere.
— Chi? — si rivolse a chiedere Minerva con un’espressione selvaggia nelle pupille torbide.
— Giorgio Dauro.
— Che cosa c'entra Dauro?
— Non lo sapete che è anch’esso una vostra vittima?
— Ah! ah! ah!
La risata stridula e nervosa della fanciulla fu accompagnata da un colpo di volante così violento che la vettura sterzò con un sussulto profondo e per poco non sbalzò giù dalla scalpata ripida della strada che saliva verso il colle dei Giovi.
— Attenta! — gridò Noris sovrapponendo per un attimo le sue salde mani vigorose a quelle della fanciulla per forzarle a eseguire la manovra riparatrice.
Un brivido colse Minerva a quell’improvviso inaspettato contatto: un brivido di tutto il sangue che si dissolvette in un languore profondo, che le diede acuto il desiderio di chiudere gli occhi e di abbandonarsi tutta fra le care braccia salde e forti che la circondavano, e l’avvincevano nel gesto che prolungava, senza alcuna intenzione e senza turbamento, la manovra esatta del volante.
— Così, vedete? — disse la voce tranquilla di Noris che nessuna vertigine alterava.
Fu il suono di quella voce che sforzò Minerva e l’aiutò a fugare la vertigine.
— So, — ella disse breve, — grazie.
— Sapete avere il controllo della macchina ma non quello dei vostri nervi, quest’oggi. È bastato il nome di Dauro per metterli in orgasmo. Sapete che ciò è poco lusinghiero per il mio povero amico?
— Non so in che cosa mi riguardi il vostro amico, — disse Minerva. — Non avevate detto che è fidanzato con Paolina Vestri?
— Ve l’ho detto infatti e rammento l’osservazione che mi faceste, allora, a proposito di Paolina.
Voi diceste che Paolina non è innamorata di Giorgio Dauro. Debbo convenire che siete migliore osservatrice di me. Paolina, infatti, non ama Giorgio Dauro.
— Ve lo ha detto lei?
— Ha pregato miss Anna Walker di dirmelo.
— Osserva tutte le forme quella brava figliola.
— Sì, — confermò Noris con convinzione, — è una buona bambina.
— Bambina! «Pas tant que ça!» Fra poco avrà ventiquattro anni quella bambina: vale a dire, uno più di quanti ne ho io.
— È vero, — osservò Noris sorpreso, — voi siete più giovane di Paolina e sembrate tanto più donna? La vostra figura è così definita e plasticamente e moralmente, che pare voi abbiate già raggiunto la pienezza della vita.
— Sembro vecchia, insomma, — fece Minerva con amarezza.
— Non dite eresie. Siete una creatura, a parte, voi. Non è possibile giudicarvi coi criteri comuni. Siete fuori di qualsiasi termine di confronto. Io vi confesso che non ho mai pensato ai vostri anni, come raramente mi avviene di ricordarmi del vostro sesso.
— Grazie. Non è un complimento che mi fate.
— Perchè? una donna come voi dovrebbe, invece, esserne lusingata.
Minerva tacque. Per un momento il dialogo fu sospeso e solo il rombo del motore accompagnò il fragore della macchina lanciata a tutto velocità sull’erta del colle. Ettore Noris pensava adesso alla strana vita, che quella giovanissima creatura così pericolosa e così sola conduceva, chiedendosi se esistesse una parola che spiegasse il segreto di quella esistenza e quale fosse quella parola.
La vita apparentemente spregiudicato di Minerva Fabbri gli ora noto come gli erano note la sua saggezza e la sua invulnerabilità ed egli pensava da che cosa provenissero entrambe, se da una frigidità che non costituiva una virtù del suo disdegno altero o forse, invece, da una precocissima e altrettanto amara esperienza della vita.
Comunque fosse, era cosa singolarissima che quella esistenza apparentemente intensa e vuoto intimamente potesse bastare a una fanciulla. Non aveva ella adunque nessuno da amare, non un parente non un amico non un amante, oppure era refrattaria all’amore?
Risolvette d’indagare il mistero di quell’anima d’eccezione. Non gli mancava il pretesto: Dauro.
— Dunque, — interrogò dopo un silenzio lungo durante il quale gli occhi e lo spirito di Minerva erano parsi completamente intenti alla macchina che adesso scivolava con fragore molto attenuato sulla via piana lungo la Scrivia, — dunque non vi commuove l’amore di Giorgio Dauro?
— No.
— Per debito di lealtà debbo avvertirvi che si tratta di un sentimento profondo e sincero che nulla ha di comune coll’amore di Coralli e colla galanteria di Paolo Adelio.
— Paolo Adelio è un buon amico e null’altro.
Cino Coralli è un povero buon ragazzo che mi è devoto come un cane. Preferisco queste due devozioni all’amore dell’ex fidanzato di Paolina Vestri.
— Non discuto. Ma sempre per assolvere con lealtà il mio dovere d’amico, debbo dirvi, o orgogliosissima Minerva, che Dauro non ha mai amato Paolina di amore e che non conosce ancora l’intenzione della fanciulla di respingerlo.
Egli è giunto a New-York raggiante del risultato della nostra prova sopratutto perchè quel risultato gli permetteva di sognare con maggior probabilità di riuscita il suo sogno: quello di offrirvi il suo nome, il suo avvenire.
Minerva sussultò.
— E voi — disse — siete stato incaricato di farmi l’ambasciata?
— Non incaricato, pregato.
— Dovevate ricusare, — disse la voce della fanciulla, ritornata amara.
— Perchè? non era una proposta che potesse offendervi quella di diventare la moglie di Giorgio Dauro che oggi è celebre e che fra qualche mese avrà guadagnato un paio di milioni.
— Se credete che questi siano argomenti per me!
Noris scrollò il capo.
— Siete davvero una bizzarra creatura! E, sopratutto, siete davvero molto giovane!
Per risposta, Minerva Fabbri disse con voce sferzante:
— Direte al vostro celebro amico che mia madre mi ha lasciato una fortuna assai superiore ai miei bisogni e che io adoro la mia libertà al disopra di qualsiasi cosa.
— Nemica del matrimonio per principio, adunque?
— Non so, non ci ho pensato mai. Mai, vi giuro.
— Ma non vi pesa la vostra solitudine? — domandò Noris con altra voce, dimentico ora di Dauro, attratto di nuovo e soltanto dal mistero di quella strana anima.
Minerva si rivolse a guardarlo:
— A voi, la vostra, pesa?
— È un’altra cosa. Io sono un uomo. Ho il mio lavoro. E i miei ricordi, — soggiunse piano.
— E io ho il mio sogno.
- Ah! — fece Noris con voce lieta come se la scoperta lo rallegrasse assai, — voi avete un sogno, piccola saggia Minerva?
— Sì.
— Un grande sogno?
— Grande! — disse la voce con un’intensità di passione dentro che giunse fino all’anima del giovane.
— E ha un nome il vostro sogno?
— Ha un nome, sì.
— Oh! chi lo avrebbe mai sospettato! È triste o lieto il vostro sogno, o piccola Minerva?
— È grande come la vita e amaro come la morte!
— Si chiama passato o avvenire?
— Potrebbe chiamarsi avvenire se il passato non lo tenesse così inesorabilmente come i tentacoli di una piovra mostruosa.
Non l’ombra di un sospetto passò nel pensiero del giovane.
— Voi vincerete la piovra, — egli disse con una voce commossa che era ispirata soltanto da una grande bontà.
Senza nessun orgoglio più, Minerva esclamò:
— Dio vi ascolti!
E di nuovo fu il silenzio della confidenza triste e dolcissima.
Minerva non chiese all’amico che tenesse fede al suo segreto.
Ettore Noris non sentì il dovere di promettere quella fede. Entrambi sapevano che il segreto amaro e grande sarebbe stato sepolto per sempre nei loro cuori come un nuovo vincolo tacito che rinsaldasse la loro amicizia. Ma Noris pensava adesso alla singolare confidenza ricevuta con tutto lo stupore del suo essere; senza chiederlo, comprendeva che egli era solo a conoscere quell’aspetto insospettato del cuore di Minerva Fabbri e sentiva una specie di gratitudine per la fanciulla che lo aveva prescelto così, fra tutti, a depositario del segreto della sua vita.
Non una volta gli venne la curiosità di conoscere chi potesse essere l’uomo che aveva preso nella vita di Minerva un posto così essenziale; tanto meno gli balenò il sospetto che quel conteso a un destino avverso potesse esser proprio lui.
Era senza dubbio bizzarro e strano che la saggia amica fosse così diversa nella realtà da quanto la sua volontaria maschera lasciasse trasparire: strano e simpatico. In fondo, una donna invulnerabile sarebbe stata un’anomalia; così, la piccola amica e collega scendeva forse dal suo piedestallo d’intangibilità ma s’accostava dippiù alla vita.
Le disse la sua impressione simpatica, così:
— Anche voi, dunque, sapete che sia soffrire?
— Sì. E non darci la mia sofferenza per nessuna gioia.
— Giusto. Questo significa che amate davvero.
— Come avete amato voi! — disse Minerva scandendo le sillabe.
— Perchè non mi dite: come amo io?
Minerva trasalì.
— Perchè credo ai crisantemi sulle tombe: non alle rose.
— Volete dire che non credete alla fedeltà del mio ricordo?
— Del vostro ricordo, sì; non del vostro amore.
— Perchè sarei come sono, allora? perchè non ascolterei anch’io, come tutti ascoltano, la voce della resurrezione e della vita?
— È quello che mi chiedo anch’io.
— E non trovate una risposta?
— E non la trovo. O meglio, la trovo in questa sola ipotesi: che ancora voi non abbiate incontrato la donna capace di riprendervi e di farvi rivivere.
Noris scrollò il capo e tacque.
L’automobile attraversava il paese movendo lentissima fra due ali di curiosi ch’erano usciti a osservare.
Anche quando ebbero oltrepassato il paese, Minerva mantenne alla vettura quella ridottissima velocità che le permetteva di terminare il suo discorso con Noris prima di giungere al villino.
— Forse, — riprese a dire la fanciulla, — se voi incontraste la donna degna di voi, più bella, più ardente, più audace, più forte, più appassionata di tutte quelle che hanno regnato nella vostra vita o nel vostro cuore o anche soltanto nella vostra pietà, voi vi lascereste vincere e riprendere.
— Non credo, — disse tranquillo Ettore Noris.
— Perchè?
— Perchè ormai mi pare proprio d’avere un’anima assolutamente refrattaria.
— Ma lasciate che ritorca a voi la domanda che voi mi avete fatto poco fa: non sentite mai, voi, la tristezza della vostra solitudine interiore? non sognate mai una donna bella e intelligente, nobile e appassionata; degna in tutto di voi, che vi aspettasse la sera quando rientrate e soffrisse per voi quando siete in pericolo, e fosse il premio della vostra audacia, della vostra fatica, del vostro eroismo?
— No, — disse senza esitare Ettore Noris.
Minerva Fabbri sentì quel «no» battere sul suo cuore come un coperchio sopra una tomba.
— E — disse ancora — credete che non muterete mai?
— Non credo.
La fanciulla tacque.
L’automobile passava in questo momento dinanzi al villino abitato da Minerva e non accennava a fermarsi.
Noris osservò:
— Siamo arrivati.
— Io, non voi. Vi accompagno fino a casa vostra.
— Perchè? non occorre. Faccio volentieri due passi a piedi. A meno, — soggiunse mentre la fanciulla fermava la macchina, — a meno che non vogliate offrirmi una tazza di the. Sono le sette soltanto: potete prolungare la vostra ospitalità a favore della mia persona?
— Entrate, — fece semplicemente Minerva che era discesa dalla vettura e ritta sulla soglia della sua casetta si disponeva a ricevere l’amico con un tumulto di impressioni contradditorie dentro.
Ma sul tumulto si levava ancora alta e forte la voce dell’amore che superando anche lo strazio le diceva:
— Lo hai ancora per te, tutto soltanto per te per qualche ora.
Sì, una grande dolcezza, ma attraversata dalla constatazione d’una realtà che non le permetteva più di illudersi. A meno che anche Noris si ingannasse su sè stesso come per tanto tempo ella si era ingannata.
Lei pure avrebbe giurato — come adesso egli giurava — sulla propria invulnerabilità. Della volontà era possibile rispondere, non del sentimento. E che vale la volontà di fronte al cuore che offre mille porte invisibili all’assalto del nemico?
Forse, come era accaduto a lei, un giorno, fra poco, Noris si sarebbe accorto di avere nel cuore, nelle pupille, nel sangue ancora un volto di donna che non era più quello dell’amante morta. E tutto il suo proposito di sovrumana e disumana fedeltà, di voluta refrattarietà, di invulnerabilità proclamata sarebbe caduto infranto per il potere magico irradiante da quel volto.
Perchè non avrebbe potuto essere?
La speranza viva e forte in lei come un’indispensabile energia di vita, dava a questa possibilità l’evidenza d’una probabilità, mutava anche la probabilità in una sicura fatalità ineluttabile. Così, così sarebbe avvenuto di Ettore Noris....
E la fede nuova sorrideva raggiante da tutto il suo viso, dava potenza di seduzione irresistibile al suo fascino naturale, temprava le armi della sua conquista, quand’ella ritornò nel salotto dove aveva introdotto Noris dopo esserne scomparsa un istante per togliersi il vestito da viaggio.
L’ora trascorse semplice e serena in una intimità scevra di morbosità ma dolcissima di comprensione reciproca.
E per la prima volta tornandosene verso l’aereodromo, solo, Ettore Noris si domandò alzando il viso verso le prime stelle:
— Chi sarà il sogno di quella creatura?