La Stella Polare ed il suo viaggio avventuroso/Parte prima/9. Nei paraggi del Maëlstrom

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Capitolo IX

Nei paraggi del Maelstrom


Il 20 giugno la Stella Polare, dopo d’aver attraversato il labirinto d’isole che fiancheggiano la terra di Norland, entrava a tutto vapore nell’amplissimo Vest Fjord che si apre fra la costa di Saltem ed il grande arcipelago delle Lofoten.

Quel fjord, che meriterebbe benissimo il nome di golfo, è uno dei più grandi ed anche dei più pittoreschi della Norvegia.

La terraferma è tutto un frastagliamento intricatissimo, un rabesco impossibile a descriversi. Le spiagge ora s’avanzano verso il mare, ora rientrano fino presso le montagne, con canali profondi che si cacciano dovunque, formando fjords considerevoli, come quelli del Nord, del Sud, di Folden, di Ofoten, di Waags e di Ands.

Ad occidente si stendono invece le Lofoten, non meno frastagliate, non meno accidentate, tutte canali, canaletti, baie, cale.

È impossibile dire il loro numero, essendovi intorno ad esse una infinità di isolette e di scogliere. La terra maggiore è Hindö, poi vengono Langö, quindi Ost-Vaagö, Andö, Vest-Vaagö, Moskenäsö, Flaktad e moltissime altre minori.

Più al nord invece si trova la grande isola di Senjen ed al sud Moskostrom, dove apresi il famoso Maelstrom, il pauroso gorgo gigante.

Si direbbe che quell’arcipelago che si estende fino a Tromsö, abbia dovuto subire da solo tutte le ire del mare del Nord, tanto è rotto e frastagliato.

Probabilmente in tempi remotissimi tutte quelle isole erano unite alla terraferma, ma l’impeto incessante delle onde e forse qualche tremendo cataclisma, le ha violentemente staccate ed in parte anche sommerse.

All’annuncio che verso l’ovest si trovava il Maelstrom, quasi all’altezza della nave, tutti i membri della spedizione italiana erano saliti in coperta, non già con la speranza di poter vedere il famoso gorgo, poiché si trovava così lontano da non poter discernere che [p. 84 modifica]a malapena i profili di Värö e di Mosken, ma per udire i discorsi dell’equipaggio.

Il Maelstrom s’è creato attorno a sè le più paurose leggende e non v’è marinaio norvegese che non ne parli con profondo terrore. Si è molto esagerato, questo è vero, sulla potenza attrattiva di quel vortice, però è sempre temibile e le navi costrette a passare pel Vest Fjord, si guardano bene dall’accostarvisi durante le tempeste ed i tempi nebbiosi. Quell’abisso girante si trova precisamente a 67° 48’ di latitudine nord ed a 9° 30’ di longitudine est, fra le isole di Moskenäsö e quella di Mosken.

Fra quelle terre v’è una rapida corrente che va dal nord al sud per sei ore e dal sud al nord per altre sei, e sempre in opposizione alla marea.

Quando la corrente diventa rapida, il vortice prende la forma di una specie d’imbuto della profondità di sei metri, ma quando la marea è bassa e la corrente tranquilla, non vi ha vortice di sorta.

Un abisso veramente non lo è, poichè la sua massima profondità non supera i dodici metri ed il suo fondo è composto solamente di rocce e di banchi di sabbia.

Quando il mare è tranquillo i pescatori delle Lofoten vanno a sfidare impunemente il vortice, anzi vanno a pescare nelle sue acque, essendovi abbondanza di pesci. Tutt’al più i loro battelli vengono trascinati in giro, senza pericolo di venire inghiottiti, essendo allora facile tagliare la corrente.

Quando però il vento del Nord soffia in opposizione alla marea, ed il mare è procelloso, allora il Maelstrom presenta uno spettacolo terribile. I suoi tremendi muggiti si odono alla distanza di parecchie miglia e la corrente rotatoria si fa sentire fino alla distanza di quindici chilometri.

Allora diventa veramente pericoloso e le navi che vengono prese dal vortice vanno a fracassarsi sul fondo roccioso, se non sono pronte a uscire dalla corrente.

– Sta laggiù, – aveva detto il signor Stökken, indicando con la destra i lontani profili di Mosken e di Moskenäsö. – Ora sarà in calma non essendovi vento forte, nè in opposizione alla marea, che ora scende verso il sud. [p. 85 modifica]

– L’avete mai veduto con tempo tempestoso? – chiese uno dei membri della spedizione italiana.

– Sì, signore, anzi una volta la nave che montavo corse serio pericolo di venire attratta dal vortice.

– Deve presentare allora un aspetto tremendo.

– Dite addirittura spaventevole, – rispose l’ingegnere. – Vi confesso che ero atterrito e che non lo era meno l’equipaggio. I muggiti del vortice facevano su di noi un’impressione profonda, tale da farci perdere la testa.

– Si perdono molte navi entro quel gorgo?

– Ora non più molte, poiché quando il mare è tempestoso le navi appoggiano frettolosamente verso la costa norvegese, però di quando in quando qualche veliero vi cade dentro. Chi non ricorda in Norvegia il naufragio della Storn-Vindel?

– Una nave perdutasi nel gorgo?

– Sì, signore, – rispose l’ingegnere.

– Narrate, signor Stökken.

– La Storn-Vindel era una bella goletta mercantile di trecento tonnellate, munita d’un solido sperone per aprirsi il passo fra i ghiacci, essendo stata destinata ai viaggi delle regioni nordiche. Di ritorno da un viaggio in Islanda, durante una notte nebbiosa e tempestosa fu presa dal vortice. Io ho potuto avere tutti i particolari di quella tremenda catastrofe da un marinaio che si salvò miracolosamente, per un caso veramente straordinario.

– Raccontatecelo, signor Stökken.

– Come vi diceva, la Storn-Vindel tornava dall’Islanda dove aveva caricate pelli di foca destinate ad un negoziante di Bodö.

Era quindi costretta, provenendo dal mare del Nord, a passare o al sud del piccolo gruppo delle isole Rost o fra questo e l’isola di Värö.

Era comandata da un abile capitano, il cui nome ora non ricordo bene, e montata da undici marinai tutti provati alle difficili navigazioni dei mari artici.

Una notte, mentre la nave si trovava a sessanta o settanta chilometri dalle Lofoten meridionali, un tetro e pesante nebbione cala sul mare, impedendo di scorgere i fari delle isole. [p. 86 modifica]

L’oscurità era così profonda che gli uomini di prora non riuscivano a scorgere l’albero maestro.

Era d’inverno ed i ghiacci erano scesi al sud in gran numero, anzi la nave parecchie volte aveva dovuto aprirsi il passo a colpi di sperone.

Infatti, attraverso la nebbia, gli uomini di guardia vedevano sfilare, come tetri fantasmi, dei giganteschi ice-bergs, i quali pareva seguissero, come funebre corteo, la povera nave votata ormai alla morte. Fra i cupi brontolii del mare udivano cozzi sinistri, scricchiolii violentissimi e tonfi assordanti prodotti dal capitombolare dei ghiacci.

La goletta però aveva continuata intrepidamente la sua corsa, frettolosa di guadagnare il Vest Fjord, ma i ghiacci la perseguitavano, minacciando di stringerla da tutte le parti.

Ad un tratto gli uomini di guardia che erano a prora, vedono proprio dinanzi alla nave apparire un incerto bagliore e odono dei sordi scricchiolii come se una massa enorme forzasse il passo attraverso i piccoli ghiacci, gli streams ed i palks. Era un ice-berg che muoveva addosso alla nave. In causa di quale forza camminava incontro alla goletta mentre il vento soffiava dall’ovest? Sulle prime nessuno cercò la spiegazione, e fu un grave errore.

La montagna di ghiaccio veniva spinta innanzi dai primi giri del Maelstrom. Il capitano, ingannatosi sulla rotta esatta, invece di aver diretta la goletta al sud di Värö era andato a cacciarsi addosso a Mosken, passando presso Moskenäsö.

Il vortice era a pochi passi e nessuno se n’era ancora accorto, in causa del fragore delle onde e del nebbione.

Il vento spingeva la nave attraverso la corrente circolare, la quale s’apriva dinanzi alla prora, non avendo molta forza verso i margini esterni.

Tutto d’un tratto la goletta deviò dalla sua linea, mettendosi attraverso il vento. Era entrata nella zona pericolosa ed il gorgo la travolgeva in mezzo alle onde rotolanti in giro.

Più nessuna manovra poteva salvarla. Il timone ormai non agiva più ed il vento non poteva vincere la forza irresistibile della corrente.

Potete immaginarvi il terrore che colse quei disgraziati naviganti, [p. 88 modifica]Dintorni del Capo Nord. [p. 89 modifica]Il Capo Nord. [p. 91 modifica]quando si accorsero di trovarsi in balìa del vortice! Tutte le manovre possibili furono nondimeno tentate per rompere la corrente circolare, ma invano.

La povera nave ormai trabalzava in mezzo alle onde. Il Maelstrom muggiva formidabilmente e l’acqua turbinava intorno, accavallandosi, sempre più impetuosa, verso il centro del gorgo.

Assieme alla nave, travolti nella medesima corsa, correvano montagne e banchi di ghiaccio, urtandosi e sfracellandosi e persino delle balene venivano attratte non ostante le loro formidabili code.

Il terribile momento s’avvicinava a gran passi. Già la nave si sbandava e scendeva rapida attraverso la parete liquida, minacciando da un istante all’altro di rovesciarsi.

L’orrenda descrizione che mi fece il marinaio, unico superstite di tutto l’equipaggio, non la dimenticherò mai, miei signori.

Il capitano, smarrito il senno, paventando la catastrofe, in un momento di disperazione s’era fatto saltare le cervella, mentre altri si erano precipitati fra le onde spumeggianti con la speranza di venire gettati fuori dal gorgo.

Quando la nave giunse quasi nel mezzo, si era già rovesciata sul tribordo, in modo che le estremità delle rande toccavano l’acqua. Oscillò un momento sull’orlo dell’immenso imbuto poi si sfracellò contro le rocce del fondo, sfasciandosi completamente.

Cosa accadde dopo? Il mio marinaio non me lo seppe dire mai. Si ricordò vagamente di aver provato un principio d’asfissia, poi più nulla. Eppure non annegò. Chissà per quali fortunate circostanze, dopo una prolungata immersione si trovò fuori dal gorgo, aggrappato disperatamente ad un avanzo della goletta.

Esso fu raccolto all’alba, a venti chilometri dal vortice, da una barca peschereccia di Mosken. Non aveva riportato gravi contusioni, ma i suoi capelli erano diventati bianchi come la neve e fu, per tre settimane, in preda ad un delirio terribile.

Ecco l’istoria della Storn-Vindel. –

Tutti erano rimasti silenziosi, ma nessuno aveva staccati gli sguardi dalle due isole che ora apparivano più nettamente. Pareva che ognuno cercasse di scoprire, nell’infinito orizzonte, il formidabile vortice. [p. 92 modifica]

La Stella Polare però, che camminava con una velocità di sette nodi all’ora, essendo validamente aiutata dal vento che soffiava dal sud-sud-ovest, non rimase a lungo in quei paraggi. Il grande fjord s’apriva dinanzi a essa, sgombro d’isole e senza pericoli e ne approfittava per guadagnare via.

A mezzodì essa si trovava già presso la strozzatura formata dall’isola Tjeldö e la penisola d’Ofoten da una parte e quella grande di Hindö.

Essa passò rapidamente dinanzi a Lolingen, piccola borgata che si trova presso la punta meridionale di Tjeldö e si cacciò risolutamente nello stretto canale sboccando nel Vaags-fjord, il quale si prolunga fra Hindö e le isole dipendenti da una parte e quelle di Roldö e di Andorfö dall’altra, fino a toccare quella più settentrionale di Senjen.

Anche colà splendide vedute si offrivano agli sguardi dei naviganti. Lungo le spiagge, specialmente entro le insenature, si vedevano apparire improvvisamente graziosi gruppetti di casettine di legno, alcune rosse col tetto grigiastro ed altre bianche col tetto d’un rosso brillante. A tutte le finestre si scorgevano candidissime tende e su tutti i davanzali vasi di fiori. È con vera passione che i norvegesi curano i loro fiori, facendo a gara a chi può avere i più belli ed i più odorosi.

Non ostante i freddi intensi dell’inverno, con mille cure riescono a preservarli dal gelo e non è raro trovare, anche nelle regioni più nordiche, splendidi garofani, geranii, rose the e fucsie.

Bande di bambini biondi e rubicondi, con gli occhi d’un azzurro pallido, correvano attraverso le rocce o si trastullavano in fondo ai piccoli seni, montando i battelli dei loro padri o vegliavano alla stagionatura dei merluzzi esposti all’aria ed al sole in grandissimo numero.

Anche numerose barche da pesca si vedevano percorrere i canali, occupate a gettare delle lenze o delle reti lunghissime, essendo gli abitanti delle Lofoten abilissimi pescatori.

Superato lo stretto di Hindö, la Stella Polare sboccò nel Vaags-fjord il quale si prolunga fino alla grande isola di Senjen, bagnando ad oriente il dipartimento di Tromsö e ad occidente un gran numero di isole e di scogliere. [p. 93 modifica]

Era allora quasi mezzanotte, ma il sole non era per anco tramontato, quantunque la luna sorgesse dal mare, pallida, sbiadita, senza raggi. Strano contrasto di que’ due astri che s’incontravano lottando penosamente per sopraffarsi!

Era la fusione del giorno con la notte, uno spettacolo affatto sconosciuto nei nostri climi e che sorprendeva straordinariamente le guide alpine ed anche Cardenti ed il suo collega Canepa.

I due astri baciavano entrambi l’orizzonte, poichè mentre uno sorgeva l’altro stava per scomparire, per un tempo molto brevissimo però, perchè appena sceso, l’aurora spuntava.

Le luci, fondendosi, davano una strana tinta alle isole che circondavano la Stella Polare, facendo risaltare vivamente le montagnole, le baie, le insenature e le scogliere emergenti dal mare. Si sarebbe detto che tutti avevano una tinta cadaverica.

Quella lotta però, come si disse, non doveva durare molto. Appena scomparso il sole, l’aurora tinse il cielo, appena bruno, di riflessi rossi, la luce della luna impallidì rapidamente e l’astro diurno riapparve ben presto dardeggiando i suoi raggi dorati sulle rocce di Senjen e sulle casette di Lenvik.

La Stella Polare passava allora dinanzi al fjord di Malangen, profondo canale che s’inoltra nel dipartimento di Tromsö.

L’isola di Sud-Kralö le stava dinanzi, con le sue spiagge verdeggianti ed i suoi boschi di pini, di betulle e di larici. Ad oriente si apriva il canale che conduce a Tromsö.

Già numerose barche da pesca e anche delle piccole navi mercantili s’incrociavano nel canale, dirette per lo più verso il sud, ed il mare si cominciava a coprire di materie oleose provenienti dai merluzzi che si seccano a Tromsö.

La Stella Polare aveva rallentata la corsa. Essa filava fra pittoreschi fjords, gli uni verdeggianti di betulle e di pini, gli altri coperti da praterie d’un verde intenso e fiorite. In alto giganteggiavano macchioni di pini marittimi, molto alti e grossi.

Un profumo intenso s’alzava fra quei boschetti e quei prati giungendo fino a bordo.

Tromsö è già all’orizzonte. Spicca subito, nel bel mezzo del canale, essendo situata su di una isoletta che chiude il Grot-Sund. [p. 94 modifica]

È una cittadina d’aspetto piacevole, che sorge fra boschi di betulle e di pini, e che passa per una delle più commerciali della Norvegia settentrionale.

Si può chiamarla la città dell’olio e del pesce, poichè i tre quarti dei suoi abitanti non esercitano altra industria; gli uni pescano, gli altri salano o seccano od estraggono olio di fegato di merluzzo.

Quantunque sia città di pescatori, ha però un museo di etnografia, d’ittiologia, ornitologia e zoologia molto interessante.

La Stella Polare non doveva fermarsi che pochissimo tempo. S. A. R. il duca aveva troppa fretta di giungere nell’oceano Artico per perdere tempo in quella cittadina che nulla d’interessante poteva offrire ai membri della spedizione.

Cambiato pilota, l’indomani, 22 giugno, la nave riprendeva la corsa entro il Grot-Sund, passando dinanzi a Ringvatsö ed a Renö, due isole che fanno, assieme a Vandö, argine all’irrompere delle ondate dell’oceano Artico.

La corsa attraverso quelle isole fu rapida e anche felicissima, essendosi trovato il mare tranquillo, però al di là di Arnö, oltre il Fuglo-fund, la Stella Polare, non più riparata dalle isole e dalle scogliere, dovette far fronte alle larghe ondate dell’oceano Artico, le quali irrompevano con violenza contro le coste settentrionali della piccola Fuglë, una delle più avanzate delle Lofoten.

Il mare era deserto, però in aria volteggiavano stormi d’uccelli marini, i quali venivano a salutare la nave con alte grida, soffermandosi talvolta sui pennoni di pappafico e di contropappafico.

Per lo più erano gabbiani, urie, gazze marine e strolaghe, però anche qualche albatros si vedeva volteggiare sopra le onde. Questi volatili sono grossissimi, i più grandi degli uccelli di mare, di forme tozze, pesanti, con le penne bianche sul petto e sulle ali, e nere sul dorso, ed un becco robusto e lungo, capace di spaccare il cranio ad un uomo.

Le loro ali misurano talvolta, prese insieme, perfino cinque metri, sicchè il volo di quegli uccelli è potente.

Per delle giornate intere possono seguire le navi che si spingono al largo, e senza vederli, almeno di giorno, mai riposare.

Però quantunque siano così grossi e bene armati, sono incredibilmente paurosi. Sovente bastano i gabbiani a metterli in fuga. [p. 96 modifica]

Arcangelo. [p. 97 modifica]

Nelle regioni artiche: Sole di mezzanotte. [p. 99 modifica]

La Stella Polare, attraversato quel tratto di mare indifeso, si cacciò ben presto nello stretto di Sorö, formato dall’isola omonima e da quella di Saland.

Poche ore dopo, costeggiata Kvalö, avvicinava il famoso monumento eretto in memoria della misura del meridiano, cominciata nel 1816 e terminata nel 1852.

È una grande colonna di granito lucente, che si scorge benissimo dal mare, situata su due gradini e che al vertice sostiene una sfera di bronzo di grandi dimensioni, raffigurante il mondo.

Porta due iscrizioni, una in latino e l’altra in norvegese e dice:

Hammerfest è l’estremità dell’arco del meridiano 25° 20’ misurato dall’oceano Artico al Danubio, attraversando la Norvegia, la Svezia e la Russia, per ordine e sotto gli auspici del re Oscar I e degli imperatori Alessandro I e Nicola I. – Lat. 70° 40’ 11" 3.

Accanto a quel monumento, una lapide modestissima ricorda poi le celebri esperienze fatte sul pendolo, dallo scienziato Sabine nel 1823.

Una mezz’ora dopo la Stella Polare si trovava dinanzi ad Hammerfest, indicata già prima da un nauseante odore d’olio rancido, proveniente dalla lavorazione e preparazione dei merluzzi.

Hammerfest è una delle città più boreali dell’Europa, anzi si può dire la più vicina alle regioni polari. Non conta che tremila abitanti, eppure ha tutto quanto di moderno e di civile si potrebbe trovare in una delle nostre grandi città.

Non manca di luce elettrica, di telegrafo, di telefono, di servizio postale giornaliero, di acqua purissima. Ha alcune chiese, fra le quali una dedicata al culto cristiano, giardini e belle vie quantunque non ciottolate, ed una comoda rada sempre popolata da numerose navi caricanti merluzzi pei porti del sud. Non manca nemmeno di bei negozi, per lo più di pelliccerie, e di case comodissime, sebbene tutte in legno, e conta numerose fonderie d’olio, le quali espandono un puzzo assai nauseante che non sarebbe certamente tollerato da noi.

Un monte molto pittoresco, il Tyven domina la città, verdeggiante nella stagione estiva. Sembra incredibile eppure in una latitudine così elevata si trovano numerose piante e fiori, i quali sbocciano all’aperto, quasi senza cure.