La Stella Polare ed il suo viaggio avventuroso/Parte prima/8. Un dramma polare

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Capitolo VIII

Un dramma polare


– La storia delle spedizioni polari, mai aveva, prima dell’audace tentativo di Andrée, registrato una volata verso le regioni del polo Artico e tanto meno dell’Antartico.

Navi ne sono partite molte, da due secoli a questa parte; palloni, nessuno, tanto sembrava insensato un tale progetto.

Un capitano americano ne ebbe dapprima l’idea, il signor Cheyne, ma la sottoscrizione aperta da lui nel 1882, non diede risultati tali da incoraggiare l’ardito aeronauta. Fu considerata una pazza impresa, ed i suoi concittadini, quantunque grandi ammiratori delle più stravaganti audacie, rimasero sordi al suo appello.

Andrée, più risoluto e anche più fortunato di Cheyne, s’impadronì del progetto e raccolti i capitali necessari alla grande impresa, fece costruire un pallone capace di sollevare tremila chilogrammi e di rimanere in aria, almeno così sperava l’esploratore, circa tre settimane.

Voi già conoscerete il vano tentativo del 1896. Il vento non venne in soccorso dell’esploratore, e la spedizione si dovette rimandare.

L’11 luglio dell’anno seguente, Andrée riusciva nel suo intento e si elevava col suo Ornen dalla baia di Virgo, una località perduta sulla costa settentrionale dell’isola dei Danesi, nell’arcipelago dello Spitzbergen. Lo accompagnavano altri due valorosi: Strindberg e Fraenkel.

Coloro che assistettero a quella emozionante partenza, fra cui il capitano Svedenborg, furono unanimi nel dichiarare che l’Ornen, spinto da un buon vento, filò verso il nord-est, al di sopra dello stretto dei Danesi, dirigendosi verso l’isola di Amsterdam.

Cosa è avvenuto dopo?... Siamo nel 1899 e più nulla si è saputo, all’infuori dei due dispacci trovati e di un gavitello vuoto.

Il 15 luglio, ossia quattro giorni dopo la partenza degli audaci esploratori, la piccola nave Alken, incrociando nei paraggi dello Spitzbergen, incontra un piccione viaggiatore. Quel gentile volatile si era posato su un pennone del veliero per riposarsi. [p. 72 modifica]Veduta di Laurvik. [p. 73 modifica]Veduta di Tromsö. [p. 75 modifica]

Un colpo di fucile lo fa cadere morto sulla coperta. Attaccato ad una zampetta portava un piccolo tubo chiuso all’estremità superiore con un po’ di cera.

Fuori portava la seguente iscrizione, che io ricordo benissimo:

«Dalla spedizione polare Andrée, al giornale Aftombladet di Stoccolma. Aprite il tubetto e toglietene i due messaggi. Telegrafate quello in lingua comune all’Aftombladet e inviate l’altro cifrato allo stesso giornale col primo corriere.»

Aperto il tubetto, si trovò un solo messaggio scritto in lingua norvegese e del seguente tenore:

«13 luglio, mezzodì e 30 minuti. Latitudine 82° 2’; longit. 15° 5’. Buona rotta verso l’est, 10° sud. Tutto bene a bordo. Questo piccione è il terzo che invio.»

La scrittura era proprio di Andrée ed il piccione portava impresso sulle ali i segni distintivi della spedizione, quindi non si poteva dubitare dell’autenticità del documento.

Passarono altri due anni di penosa attesa. Gli scienziati s’erano divisi in due campi: chi supponeva Andrée ancora vivo, chi ormai lo riteneva miseramente morto, o in pieno mare o fra i ghiacci del polo.

Quante supposizioni, quante dicerie, quante discussioni in quel lungo tempo.

Il 14 maggio del 1898, presso Kollafjord, sulla costa nord dell’Islanda, si raccoglie un gavitello appartenente ad Andrée. L’Ornen ne aveva dodici, muniti di tubi per mettervi dentro i dispacci, ed un altro più grande che doveva solamente lanciarsi al polo.

Quel gavitello conteneva il seguente dispaccio:

«Gavitello N. 7. – Questo gavitello fu gettato dal nostro pallone l’11 luglio 1897, alle ore 10.55 di sera, ora media di Greenwich, sotto la latitudine di 82° nord, longitudine di 25° ovest. Ci libriamo ad un’altezza di 600 metri. Tutto bene a bordo. – Andrée, Strindberg, Fraenkel.»

Quel gavitello, scoperto dopo due anni, era stato lanciato il giorno stesso in cui l’Ornen si era alzato, sette ore dopo la partenza.

Poi un altro lungo silenzio. Un mistero profondo regnava sulla sorte degli audaci che avevano spiccato il volo verso i ghiacci polari.

Una leggenda si andò però formando. Alcuni pescatori [p. 76 modifica]dichiararono di aver veduto ondeggiare sul mare l’Ornen, in prossimità della penisola di Kola, ma ormai vuoto, e d’aver anche udito delle grida strazianti.

Dei minatori inglesi affermarono invece di averlo veduto librarsi maestosamente al di sopra del capo Quesnelle.

Più tardi un cacciatore di foche annuncia di aver scoperta una cassetta contenente un documento di Andrée; degl’indiani canadesi affermano poi d’aver veduto degli uomini scendere sulle loro terre insieme ad un pallone; la tribù esquimese degli Anglsaks, dice di aver udito fra le nubi dei colpi di fucile.

Poi una notizia, che commuove l’Europa intera, giunge dalle desolate plaghe della Siberia settentrionale. Certo Lajalin, cacciatore siberiano, asserisce di aver trovato, a circa centocinquanta verste da Crasnojarsk, fra i fiumi Pitt e Come, una capanna formata con pezzi di seta e cordami, contenente tre cadaveri.

Il governo russo manda messi a Crasnojarsk, fa cercare Lajalin, e risulta che quella capanna non era esistita che nella fantasia di pessimi informatori. –

Il capitano era rimasto silenzioso e i suoi sguardi si erano fissati sul mare, come se sperasse di vedere anche lui qualche gavitello appartenente agli intrepidi esploratori.

– Che cosa pensate di tuttociò? – chiese ad un tratto, volgendosi verso l’ingegnere. – Credete ancora che Andrée dopo tanto tempo, sia vivo?

– No, signor Evensen, – rispose Stökken. – Io ritengo che sia morto.

– Tale è anche la mia opinione.

– Però anche il nostro Nansen stette parecchi anni senza dare sue nuove e poi tornò vivo.

– È vero, però Nansen aveva una nave ben fornita di viveri, mentre Andrée non ne possedeva che per sei mesi.

– Che quegli audaci possano essere giunti al polo?

– Io ne dubito assai, signor Stökken. A mio parere, a giudicare dai diversi luoghi in cui furono trovati i gavitelli e dalle contraddizioni riscontrate nei documenti, dico che l’Ornen non deve essersi spinto molto innanzi. [p. 77 modifica]

È probabile che il pallone invece di filare direttamente verso il nord, sia entrato nella sfera dei venti giratorii e che sia stato trasportato prima verso il nord-ovest, forse fin presso le coste della Groenlandia per venire poi ricacciato verso il nord-est, in direzione della Terra del Re Carlo, ossia in prossimità del suo punto di partenza.

– Che siano caduti in mare?

– Forse anche in mezzo ai ghiacci, ma anche colà non avrebbero avuto probabilità di salvarsi, non potendo crearsi un rifugio né avendo tanti viveri da poter sfidare la fame per così lungo tempo.

Andrée è stato un coraggioso ma se vogliamo anche un grande imprudente. Egli non aveva forse pensato che anche nelle regioni polari imperversano dei cicloni che potevano spingerlo in mezzo all’immensità dell’oceano Artico, lontano assai da qualsiasi terra.

E forse non ha neanche pensato ai bruschi abbassamenti di temperatura che potevano, da un momento all’altro, condensare il gas e far precipitare irremissibilmente il suo pallone.

No, signor Stökken, Andrée non ritornerà più mai. Tale è la mia opinione, come pure è quella di S. A. R. il duca degli Abruzzi, del tenente Payer, lo scopritore della Terra di Francesco Giuseppe e di tanti altri profondi conoscitori delle regioni artiche.

– Peccato che un uomo che ha dato prova di un così grande coraggio, sia finito così miseramente.

– Il polo ne ha divorate tante delle vittime, signor Stökken.

– Eppure si continua la lotta.

– E non cesserà finché l’uomo non avrà posati i suoi piedi sulle immacolate nevi del 90° grado.

– E quante vite umane rapirà ancora alla scienza?

– Forse non molte. Voi avete veduto come in pochi anni gli esploratori abbiano molto guadagnato sui ghiacci. Venticinque anni or sono non si conosceva ancora l’esistenza della Terra di Francesco Giuseppe, mentre ora, il raggiungerla è quasi una gita di piacere.

– Questo è vero, capitano Evensen.

– E si conosce già anche la Terra di Petermann che è situata molto più al nord. Qualche audace o fortunato che sia, in un tempo più o meno lungo, giungerà al polo. [p. 78 modifica]

– E poi?...

– Poi si cercherà di scoprire anche quello australe.

– E tanti sforzi e tanti sacrifici per una pura curiosità!

– La scoperta del polo rappresenterà unicamente una grande vittoria dell’uomo e della scienza, poiché lassù non vi saranno da raccogliere nè oro, nè diamanti; eppure anche le vittorie infeconde giovano. Se non altro si scioglieranno tanti problemi rimasti finora insoluti. Si saprà almeno da cosa derivano le aurore boreali, quale attrazione produce il polo sugli aghi calamitati, ed infine si saprà cosa si trova ai due punti estremi del nostro globo. Signor Stökken, la campana ci chiama a pranzo. Fra un bicchiere e l’altro continueremo la conversazione assieme a S. A. R. il duca che è profondo conoscitore delle questioni polari, ed i suoi ufficiali. –

La Stella Polare intanto, spinta anche da un vento favorevole, continuava la sua corsa verso il nord, tenendosi in vista della costa norvegese, avendo intenzione di cacciarsi presto fra i canali delle isole Vitken.

Il tempo si manteneva costantemente bello e la temperatura non diventava fredda che alla sera, specialmente dopo la mezzanotte. Era però un freddo limitatissimo, che di rado scendeva sotto lo zero.

Navi non se ne incontravano che pochissime in quei paraggi. Abbondavano invece gli uccelli marini, i quali venivano a volteggiare in gran numero nei pressi della nave.

Per lo più erano gabbiani bianchi, volatili che hanno le piume candidissime, leggermente tinte di rosa presso l’addome, ed il becco giallo, e che sono assai paurosi perché fuggono alla vista di qualsiasi altro volatile marino.

Si trovano in grandi stormi sulle coste della Norvegia e anche presso le terre artiche, vivendo di pesci che prendono assai destramente e anche di uova che vanno a succhiare alle urie ed alle lamme.

Sono così paurosi, che quando si vedono inseguiti dai labbi, altri volatili delle regioni fredde, vomitano quello che hanno inghiottito pur di essere lasciati in pace.

Oltre però a quegli uccelli, si vedevano anche apparire non poche procellarie e presso le spiagge deserte alcune coppie di edredon. [p. 79 modifica]

Questi ultimi volatili, formano una delle principali ricchezze della Norvegia e anche dell’Islanda.

Somigliano alle nostre anitre e sono prossimi parenti dei cauvas bach, palmipedi molto apprezzati dagli americani del nord per la squisitezza delle loro carni.

Nell’eider o edredon è apprezzata invece la lanugine, la quale si vende ad un prezzo altissimo, fornendo dei cuscini soffici assai e che tengono molto caldo.

Questi volatili vivono presso le coste, scegliendo le scogliere più dirupate per fare il nido, il quale consiste in poche alghe raccolte durante l’estate nei laghetti disseccati.

Quando però hanno deposto le uova, la femmina si strappa dal petto la preziosa peluria, per conservarle calde, e se si allontana per andare in cerca di cibo, prima le ricopre con altre penne.

I cacciatori norvegesi ed islandesi, aspettano precisamente la stagione della covatura per mettersi in caccia. I pericoli sono però grandi, essendo i nidi situati in luoghi dirupatissimi, di difficile accesso.

I cacciatori sono costretti sovente a farsi calare, per mezzo di corde solidissime, lungo le pareti dei fjords, mettendo a repentaglio la loro vita. Ed infatti tutti gli anni un buon numero di cacciatori si sfracellano sulle scogliere sottostanti.

Non si creda però che uccidano i volatili e distruggano le covate. I governi danese e norvegese proibiscono anzi assolutamente l’uccisione di quei preziosi volatili per conservarne la specie.

I cacciatori non si impadroniscono che della peluria che copre il nido, lasciando intatte le uova. Le povere femmine tornano allora a strapparsi altre penne finché rimangono quasi nude.

Allora è la volta del maschio, ma essendo la peluria di questo più grossolana e quindi molto meno pregiata, i cacciatori finiscono col lasciare in pace la famigliola.

È strano però che la peluria non perda la sua elasticità meravigliosa anche quando l’eider viene ucciso. Ed è appunto per questo che i cacciatori nordici chiamano le penne di questi volatili peluria viva.

La carne degli eider non è affatto pregiata, sapendo troppo di [p. 80 modifica]pesce, perciò si lasciano in pace e difficilmente si cacciano per ucciderli.

Alcuni maschi, attratti forse dalla curiosità, erano venuti a volteggiare a breve distanza dalla Stella Polare, senza però osare di posarsi sui suoi pennoni.La Stella Polare ad Arcangelo.

Erano bellissimi, con le penne nere sul dorso, il collo ed il petto bianco sporco e la testa verde dorata. Le femmine invece sono tutte brune.

Tutti i membri della spedizione erano saliti in coperta ad ammirare quegli interessanti volatili, ma gli eider non rimasero molto nelle acque della nave e, forse insospettiti, s’affrettarono a raggiungere le scogliere.


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Veduta del Capo Nord.