La Stella Polare ed il suo viaggio avventuroso/Parte prima/6. I giganti del mare

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Capitolo VI

I giganti del mare

Era una splendida serata.

Il sole radeva l’orizzonte, quantunque fossero già quasi le undici, proiettando obliquamente i suoi raggi dorati sul mare, che scintillava come se fosse cosparso di pagliuzze d’oro, e sui gruppi di bianche casette della grande isola di Smolën.

Una fresca brezza, che soffiava dal mare del Nord, sibilava attraverso i cordami della nave con mille suoni diversi e disperdeva, in capricciose volute, il fumo che irrompeva dalla ciminiera.

L’aria era tepida, purissima, e rammentava agli audaci esploratori, certe sere di primavera della nostra Italia.

Calma assoluta regnava nel canale, appena rotta di quando in quando, dal suono strano delle campanelle appese ai gavitelli galleggianti, che indicavano od un bassofondo od una scogliera subacqua.

Pel cielo alcune nuvole, color del fuoco, filavano lentamente verso le spiagge di Aure e di Ellandsö, cambiando sovente di forma e di tinta, a seconda dei raggi solari che si rifrangevano su di esse, e più sotto volteggiavano, in gran numero, gabbiani, gabbianelli e qualche procellaria fulmar.

In lontananza, come naviganti su di un mare di fuoco, [p. 47 modifica]apparivano le numerose isolette del fjord di Ramso e le coste frastagliate di Meland.

A poppa S. A. R. il duca, seduto democraticamente su una scranna, chiacchierava col Cagni e col capitano Evensen, i quali facevano delle osservazioni astronomiche; a prora s’erano radunati i marinai norvegesi di quarto, mentre le guide alpine discutevano animosamente col bollente Cardenti, il quale parlava di corazzate mostruose, di cannoni da cento tonnellate e di granate, dando spiegazioni sulla Lepanto, sull’Italia, sul Ruggero di Lauria, le nostre più grandi navi da guerra.

Andresen, seduto su di un cumulo di cordami, fumava furiosamente la sua monumentale pipa. Pareva che volesse ispirarsi prima di narrare la meravigliosa storia del capitano Namdal.

La notizia che stava per raccontare una strepitosa caccia alle balene, s’era propagata rapidamente fra gli uomini di quarto e tutti erano accorsi, sapendolo buon parlatore.

I norvegesi, popolo marinaresco, ci tengono molto ai racconti avventurosi e alla sera si radunano volentieri per udire le meravigliose leggende delle loro Saghe o i drammi marittimi.

– Orsù, Andresen, mi pare che abbiate fumato abbastanza, – disse l’ingegnere di macchina, volgendosi verso il giovane mastro.

– La bottiglia di ginepro è pronta per bagnarvi l’ugola ed i sigari ve li ho già dati, – aggiunse il tenente Querini.

– Sì, avanti la storia, – dissero i marinai, che gli si erano seduti intorno.

– Tanto più che fra poco non avremo più il tempo di ascoltarvi, – disse Johan Johansen, il primo fuochista. – Fra un’ora tocca il quarto a me ed all’ingegnere.

– Ci sono, – cominciò Andresen. – L’istoria mi è stata raccontata da un mio parente e così dettagliatamente che non perderete nulla, nemmeno una sillaba. L’ho impressa qui nel mio cervello come se me l’avesse narrata ieri. Aprite gli orecchi e uditemi:

La Faldereid era salpata l’anno scorso, ai primi di maggio, da Trondhjem, al comando del capitano Namdal e con un equipaggio di ventidue uomini.

Era un bel brigantino di trecento tonnellate, costruito [p. 48 modifica]appositamente per la caccia delle balene, e che aveva già fatto parecchie fortunate campagne allo Spitzbergen e sulle coste orientali della Groenlandia.

Aveva fatte provviste abbondanti, poichè come già voi saprete, le navi baleniere fanno delle lunghe campagne e corrono soventeLa Stella Polare ad Arcangelo. il pericolo di passare qualche anno fra i ghiacci polari, i quali, spinti dai venti e dalle correnti, scendono talvolta molto verso il sud.

Il capitano Namdal, un vecchio ed esperimentato lupo di mare, che aveva fatto numerose campagne e che aveva ucciso tante balene e tanti capodogli da non ricordarsene più il numero, aveva stabilito di recarsi allo Spitzbergen e precisamente nella baia della Recherche, essendo stato avvertito che in quei paraggi eransi veduti dei grandi banchi di boete. [p. 49 modifica]Porto di Skjervö. [p. 51 modifica]

– Cosa sono queste boete, innanzi tutto, – chiese Oll Johannesen, il secondo cuoco di bordo.

– Già tu non puoi intenderti che di pentole e di cattivi pasticci, – disse Andresen ridendo. – Sappi adunque che sono banchi formati di piccolissimi crostacei, e di cui sono molto ghiotte le balene. Si estendono quei banchi per molte e molte miglia e si chiamano la zuppa delle balene.

– Se ne pescheremo anche noi proverò a farvi una zuppa. Dovrebbe riuscire eccellente.

– Bada con le tue zuppe!... S. A. R. ed i suoi compagni si lamentano della tua cucina, te ne avverto, cuoco infernale.

– Ne parlerò al primo cuoco.

– Avanti la storia, – dissero Hansen, il velaio di Laurvik, e Olanssen il carpentiere.

– Giunto nei pressi dello Spitzbergen, – riprese il giovane nostromo, – il capitano Namdal aveva notato sull’acqua del mare delle grandi macchie oleose le quali indicavano il recente passaggio di quei giganteschi cetacei, e siccome quelle tracce si delineavano in direzione della baia della Recherche, s’affrettò a dirigere la nave in quella direzione, con la certezza di fare qualche grossa preda. Ventiquattro ore dopo, la nave baleniera si trovava nei paraggi della baia. Il mare, da azzurro indaco era diventato brunastro presso quelle coste selvagge e ciò indicava la presenza della zuppa delle balene.

Il capitano Namdal fece preparare le scialuppe e caricare i cannoncini, come pure gli arpioni da lanciarsi a mano e le lenze.

Era calata la sera, una sera oscurissima, essendovi in alto una densissima nebbia. Verso le due del mattino, il veliero urtava violentemente contro una massa enorme, che pareva galleggiasse a fior d’acqua, ma che invece d’opporre resistenza, subito si spostò, mandando una nota acuta, metallica, come se fosse stata prodotta da una violenta corrente d’aria cacciata entro un gran tubo di bronzo.

Mio cugino, che si trovava di guardia sul ponte, si slanciò verso prora assieme al capitano ed al mastro fiociniere.

Dinanzi allo scafo non v’era più nessuno, però ormai non potevano ingannarsi su quello che era accaduto. La nave aveva urtata una balena sonnecchiante a fior d’acqua. [p. 52 modifica]

Il caso non era nuovo. Ricordo che anche a me toccò di vedere una balenottera gravemente ferita dall’urto della nave che montavo.

Non erano trascorsi due minuti, quando i marinai della baleniera udirono un tonfo strepitoso seguìto da una grande ondata, la quale andò ad infrangersi rumorosamente contro i fianchi del brigantino.

«Una balena!... Una balena!...» tale fu il grido che scoppiò tra i marinai.

Ascoltando con profonda attenzione, si udiva la potente respirazione del mostro e di quando in quando giungevano fino a bordo dei fischi sordi, prodotti senza dubbio dall’acqua che sfuggiva dagli sfiatatoi.

«Orsù!... ragazzi!...» gridò il capitano Namdal. «Calate in mare le scialuppe e preparatevi a ramponare il mostro.»

Due scialuppe da pesca – svelti e solidi battelli, che si guidano con un lungo remo e che sono montati ognuno da un fiociniere, da quattro rematori scelti fra i migliori e da un pilota – furono subito calate in mare, per essere pronte a tagliare la via al cetaceo e perseguitarlo.

Oltre i ramponi avevano parecchie lance di forme diverse, terminanti in un disco taglientissimo, che si scagliano specialmente sotto la coda della balena per reciderle le ultime vertebre, e numerose lenze fornite ognuna d’una doga, ossia d’un largo pezzo di sughero su cui vi sono impresse a fuoco le cifre ed il nome della nave baleniera.

– E a che cosa servono quelle doghe? – chiese il secondo cuoco, che prestava molta attenzione al racconto.

– Ad impedire ai balenieri di far propria la preda uccisa da altri. Le balene non sempre muoiono subito, anzi talvolta vanno a spirare ad una grande distanza dalla nave che le ha colpite.

Coloro che le trovano, vedendo la doga non se le appropriano, essendo generalmente leali i balenieri. Ed ora continuo il mio racconto.

– Sì, avanti, – disse l’ingegnere di macchina.

– Terminati i preparativi, i balenieri attesero impazientemente l’alba, studiandosi intanto di seguire le tracce del cetaceo. Ai primi [p. 53 modifica]albori mio cugino lanciava il grido: «Balena a tre gomene sottovento!»

Il corpo della balena era perfettamente visibile e luccicava come un immenso fuso d’acciaio sotto i primi raggi del sole sfiorante l’orizzonte.

Di quando in quando dagli sfiatatoi situati sul vertice del capo, uscivano, con sordo rumore, due colonne di vapore biancastro, le quali s’alzavano di parecchi metri, disperdendosi sul mare in goccioline oleose.

– Si direbbe che voi assistevate alla caccia, – interruppe il secondo cuoco, ridendo.

– Silenzio!... – esclamarono Olanssen il carpentiere, ed il velaio, stringendosi maggiormente attorno al mastro, per non perdere una sola sillaba.

Tutti avevano imitato il loro esempio. Anche le guide alpine e Cardenti s’erano avvicinati, quantunque ben poco potessero comprendere.

– Si trattava d’una balena azzurra di dimensioni straordinarie, – continuò Andresen. – Mio cugino mi affermò che era lunga diciotto metri e anche di più, una massa veramente gigantesca.

Le due scialuppe, nel più profondo silenzio, si erano scostate dal brigantino mentre vi si preparavano i cannoni da caccia.

I due fiocinieri avevano impugnato i loro ramponi e si tenevano a prora, con un ginocchio fortemente incastrato in una specie di scanalatura che si trova dietro l’asta, onde non perdere l’equilibrio nel momento supremo.

Già le scialuppe erano giunte a trecento metri dal cetaceo, quando questi, accortosi forse della presenza di quei minuscoli, ma pur sempre pericolosi avversarii, lanciò una nota acuta, battendo la coda con inquietudine.

Malgrado le ondate, le due piccole baleniere non si erano fermate, anzi avevano raddoppiata la corsa, lasciando ormai da parte ogni prudenza.

Il brigantino le seguiva a breve distanza, pronto a cannoneggiare il cetaceo ed a portare soccorso alle scialuppe.

«Attenzione!...» gridarono ad un tratto i mastri. [p. 54 modifica]

Il cetaceo stava per muoversi. Batté le sue immense pinne pettorali, descrisse un mezzo giro, presentando la testa ai nemici, poi affondò bruscamente formando un largo gorgo che attrasse, per parecchi metri, le due scialuppe baleniere.

I cacciatori si affrettarono ad allargarsi attendendo con viva ansietà la ricomparsa del gigante. Quantunque fossero tutti agguerriti contro simili pericoli e avessero fatto tutti le loro prove, mio cugino mi confessò che erano tutti pallidissimi, soprattutto i fiocinieri. Si sarebbe detto che erano stati presi da quella strana paura che colpisce sovente i balenieri quando si trovano a contatto con quei mostri; paura che paralizza talvolta le loro forze, compromettendo la loro salvezza.

D’improvviso, a circa sessanta braccia dalle due scialuppe, apparve sul mare un largo remolìo e poco dopo emerse un punto nerastro, l’estremità del muso del mammifero. Indi a poco si videro gli sfiatatoi, quindi la massa intera emerse quasi tutta d’un colpo, sollevando un’ondata circolare, la quale andò a rompersi, con sordo fragore, contro le due barche, sballottandole violentemente.

Il cetaceo lanciò subito due colonne di vapore, dapprima denso, poi più chiaro, quindi immerse nuovamente la testa scivolando a fior d’acqua per trenta o quaranta secondi.

Per otto o dieci minuti continuò ad immergersi ed alzarsi, poi tornò a galla, mettendosi a nuotare a babordo del brigantino.

Era il momento atteso dai balenieri per cominciare la terribile lotta. Il capitano Namdal s’avvicinò al cannoncino di prora, mirò il cetaceo per alcuni istanti, poi diede fuoco al piccolo pezzo.

La lancia partì sibilando e s’infisse profondamente nella grascia della balena, producendole una spaventevole ferita.

Il cetaceo subito non se ne accorse, ma otto secondi dopo, poiché tanti ne occorrono prima che quei giganti provino il dolore, mandava una formidabile nota metallica e s’inabissava fragorosamente.

Le due scialuppe s’erano affrettate a portarsi innanzi per finire il mostro prima che prendesse il largo.

Era tempo: la balena stava per riapparire, non più cetaceo mansueto, bensì tremendo e pronto alla lotta. [p. 55 modifica]

Risalì a galla con tale slancio da uscire più che mezza dall’acqua, poi si mise a correre all’impazzata, emettendo note sempre più potenti e sconvolgendo l’oceano con furiosi colpi di coda.

Faceva paura quel gigante irritato e vi era infatti da fremere, perchè sarebbe bastato un solo urto per mandare a picco le scialuppe e anche la nave. Dal suo fianco ferito, ove si vedeva ancora infisso il rampone, usciva un largo zampillo di sangue, il quale arrossava la spuma delle onde.

Le due scialuppe nondimeno gli correvano addosso. I due fiocinieri si erano armati delle lance arrotondate per vibrargli il colpo mortale.

La balena però non si lasciava accostare, nè accennava a mostrarsi infiacchita per la perdita del sangue, anzi pareva che nella sua rabbia riacquistasse maggior forza.

S’inabissava con un fragore paragonabile al tuono udito in lontananza, tornava a galla lanciando dagli sfiatatoi dense colonne di vapore, si rovesciava sul fianco ferito cercando di strapparsi l’arma, si precipitava in tutte le direzioni tentando di fracassare le scialuppe, e mandava note sempre più potenti, più formidabili.

Ad un tratto parve che fosse spossata e si arrestò, soffiando rumorosamente. Uno dei due fiocinieri approfittò subito del momento in cui la balena alzava la coda, per lanciarle sotto le ultime vertebre, la larga lancia foggiata a disco.

Il colpo fu dato con tanta maestria, da reciderle i tendini caudali.

A quella nuova ferita, il disgraziato cetaceo, preso dallo spavento, si diede alla fuga in direzione del brigantino, ma non era veramente una fuga, perchè procedeva a zig-zag, a tentoni, come se il dolore l’avesse reso cieco.

In caso diverso, non si sarebbe certamente accostata alla nave che poteva lanciarle addosso nuovi ramponi.

Le due scialuppe si erano messe ad inseguirla, temendo che nella sua pazza corsa urtasse il legno che s’era messo in panna; ma rimasero ben presto indietro, non ostante gli sforzi disperati dei rematori.

Infatti il voler lottare in velocità con una balena sarebbe stata una pazzia, essendo già noto a tutti i pescatori che simili cetacei percorrono seicento metri per minuto. [p. 56 modifica]

– E che impiegano ventiquattro giorni per andare da un polo all’altro, – aggiunse l’ingegnere di macchina.

– Il pericolo incalzava, – riprese Andresen, – poiché pareva che il gigante avesse presa di mira la nave. Il capitano NamdalLa Stella Polare in Arcangelo. vedendosela correre addosso, le scaricò contro due altri ramponi. Tutto fu vano: con due colpi di coda la balena fu sopra al brigantino con impeto irresistibile. Si udì uno schianto tremendo, seguìto da urla di terrore. La nave, colpita a prora da quell’enorme massa, indietreggiò con tale velocità che le onde montarono fino al coronamento di poppa, poi s’inclinò innanzi. Dalla prora [p. 57 modifica]squarciata l’acqua entrava con furia incredibile. In pochi istanti il brigantino si piegò su di un fianco, sommergendosi. La catastrofe era stata così rapida, da rendere vano qualsiasi tentativo di salvataggio. Quindici secondi dopo non rimanevano alla superficie del mare che Il Granduca Wladimiro
che si recò ad Arcangelo a salutare S.A.R. il duca degli Abruzzi.
pochi rottami. Tutto l’equipaggio era stato inghiottito dal gorgo aperto dalla nave, compreso il capitano Namdal.

– E vostro cugino? – chiese il carpentiere.

– No, diversamente non mi avrebbe raccontato quel terribile disastro.

– E con tanto lusso di particolari, – disse il secondo cuoco, ridendo ironicamente. [p. 58 modifica]

– Johannesen!... – gridò il giovane mastro, mostrandogli il pugno.

– Continuate, – dissero i marinai. – Lasciate andare quel cuciniere dell’inferno.

– La storia è finita, – disse Andresen. – Le due scialuppe, che erano sfuggite al disastro, si salvarono nella baia della Recherche, dove rimasero quindici giorni, cioè fino all’arrivo d’una nave baleniera la quale raccolse i superstiti.

– E la balena? – chiese il carpentiere.

– Andò a morire a circa quaranta miglia dalla baia, presso una spiaggia assai bassa, ove rimase arenata. Non occorre che vi dica che fu spogliata del suo grasso e dei suoi fanoni dai balenieri che raccolsero i naufraghi. –

Un lungo silenzio accolse la chiusa di quella narrazione. Pareva che tutti fossero ancora in ascolto, tanto li aveva interessati quella drammatica storia.

Solo il tenente si era alzato per guardare il mare, come se sperasse di veder sorgere improvvisamente qualche gigantesco mammifero.

Perfino il secondo cuoco aveva dimenticate le sue pentole ed i suoi sarcasmi.

– Uditemi, – disse ad un tratto Ditman Olanssen, il carpentiere. – La storia narrataci da Andresen è terribile; io però ne conosco un’altra più paurosa toccata al mio amico Norkel durante una stagione di pesca sulle coste meridionali della Groenlandia.

– Il tuo amico Norkel è stato alla pesca delle balene? ... – chiese il secondo cuoco con tono incredulo.

– Ha fatto tre campagne, cuoco! – esclamò il carpentiere con tono offeso. – Il suo ultimo viaggio l’ha fatto a bordo del Winklump.

– Quello che è tornato in Norvegia con tre soli uomini?... – chiese Andresen.

– Sì, – rispose Ditman Olanssen, – e uno di quei tre era il mio amico.

– Narra, narra carpentiere! – esclamarono tutti.

– Ne avremo il tempo?... – si chiese Ditman guardando verso poppa. [p. 59 modifica]

– Manca ancora una buona ora al quarto, – disse Hansen, il velaio. – E poi S. A. R. il duca è troppo occupato nei suoi calcoli per pensare a noi.

– E la navigazione non richiede le nostre braccia, – aggiunse Andresen. – Non si vede ancora il fanale di Bejan.

– Allora ascoltatemi, – disse il carpentiere. – Sarà un’avventura che vi farà drizzare i capelli. –