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52 Capitolo sesto


Il caso non era nuovo. Ricordo che anche a me toccò di vedere una balenottera gravemente ferita dall’urto della nave che montavo.

Non erano trascorsi due minuti, quando i marinai della baleniera udirono un tonfo strepitoso seguìto da una grande ondata, la quale andò ad infrangersi rumorosamente contro i fianchi del brigantino.

«Una balena!... Una balena!...» tale fu il grido che scoppiò tra i marinai.

Ascoltando con profonda attenzione, si udiva la potente respirazione del mostro e di quando in quando giungevano fino a bordo dei fischi sordi, prodotti senza dubbio dall’acqua che sfuggiva dagli sfiatatoi.

«Orsù!... ragazzi!...» gridò il capitano Namdal. «Calate in mare le scialuppe e preparatevi a ramponare il mostro.»

Due scialuppe da pesca – svelti e solidi battelli, che si guidano con un lungo remo e che sono montati ognuno da un fiociniere, da quattro rematori scelti fra i migliori e da un pilota – furono subito calate in mare, per essere pronte a tagliare la via al cetaceo e perseguitarlo.

Oltre i ramponi avevano parecchie lance di forme diverse, terminanti in un disco taglientissimo, che si scagliano specialmente sotto la coda della balena per reciderle le ultime vertebre, e numerose lenze fornite ognuna d’una doga, ossia d’un largo pezzo di sughero su cui vi sono impresse a fuoco le cifre ed il nome della nave baleniera.

– E a che cosa servono quelle doghe? – chiese il secondo cuoco, che prestava molta attenzione al racconto.

– Ad impedire ai balenieri di far propria la preda uccisa da altri. Le balene non sempre muoiono subito, anzi talvolta vanno a spirare ad una grande distanza dalla nave che le ha colpite.

Coloro che le trovano, vedendo la doga non se le appropriano, essendo generalmente leali i balenieri. Ed ora continuo il mio racconto.

– Sì, avanti, – disse l’ingegnere di macchina.

– Terminati i preparativi, i balenieri attesero impazientemente l’alba, studiandosi intanto di seguire le tracce del cetaceo. Ai primi