La Stella Polare ed il suo viaggio avventuroso/Parte prima/3. La partenza
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Capitolo III
La partenza
Christiania, la capitale della Norvegia, al pari di Genova si erge ai piedi d’un gruppo di collinette coronanti l’estremità del lunghissimo fjord.
Quantunque conti parecchi secoli di vita, si può chiamarla città moderna. Fu fondata nel 1050, da Arald il Severo, ma un incendio la distrusse quasi completamente nel 1624. Ricostruita appena, fu nuovamente diroccata non dal fuoco questa volta, bensì dagli svedesi che l’avevano presa d’assalto.
Cristiano IV re di Danimarca, la ricostruiva più tardi, più bella, più vasta, eppure pareva che un triste destino pesasse su quella città. Altri numerosissimi incendi a poco a poco distrussero anche le ultime vestigia della nuova città, non risparmiando che la fortezza d’Akershus, l’unica che rammenti ancora l’antica.
Infatti tutti i monumenti più importanti sono di costruzione recente. Il castello reale fu innalzato nel 1849, l’università nel 53, la chiesa della Trinità, una delle più belle della Norvegia, nel 58, la vecchia chiesa d’Akefu rimodernata nel 61, il palazzo della Dieta fu eretto nel 66.
Vista dall’alto, dallo splendido e ampio parco di S. Hanshangen, la città si presenta come un immenso scacchiere, con vie diritte, regolari, che dal fjord salgono al castello reale, attraversata da una via più ampia, più spaziosa, che dalla stazione ferroviaria va al palazzo, la così detta Karl Johans Gade.
Tutto all’intorno quartieri belli, ampi, ma monotoni per la loro regolarità, dove s’addensano più di centomila abitanti, e poi ville e villette che s’arrampicano su per le colline, con giardini e boschetti.
Ma il più bello spettacolo lo si può godere dall’alto, specialmente dal castello reale, il quale occupa una delle più ridenti posizioni del fjord.
Quell’ampia insenatura, circondata da colline che ora scendono dolcemente verso le spiagge, ora cadono quasi a picco, nude, selvagge; quelle miriadi di graziose ville annidate dappertutto, sui margini delle pinete, nelle anfrattuosità delle rocce, all’estremità dei burroni, in prossimità delle cascate; quelle isolette numerose, ora di dimensioni notevoli ed ora tanto piccine che sembrano grandi come una mano, disperse in tutti i luoghi, ora staccate ed ora così unite da non permettere il passaggio ad un battello, offrono agli sguardi del viaggiatore non abituato alle selvagge bellezze dei fjords norvegesi, qualche cosa di maraviglioso, di fantastico.
Quale incomparabile incanto se lassù brillasse la luce smagliante, vivida delle nostre città marittime del mezzogiorno! Ma no, la luce della Norvegia ha qualche cosa di freddo, di strano, di cupo che produce su noi un effetto curiosissimo; si direbbe luce polare quantunque le coste meridionali di quel paese nordico siano così lontane dal circolo artico.
Comunque sia il fjord di Christiania è sempre uno dei più belli, dei più incantevoli, come la città è una delle più eleganti, delle più animate e di queste due cose i norvegesi vanno, e con ragione, altamente orgogliosi.· | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · |
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Appena la Stella Polare ebbe gettata l’àncora, una folla di curiosi si addensò sulla gettata, guardando con vivo interesse la nave e gli uomini che la montavano.
Già ormai a Christiania più nessuno ignorava lo scopo della spedizione e si può anche dire che tutti conoscevano il giovane Duca, i suoi ufficiali e perfino le guide che avevano ammirato più volte, la settimana innanzi, nello splendido caffè del Grand Hôtel, dove anzi si era fatto molto notare il bollente Cardenti coi suoi rumorosi brindisi di: Sempre avanti Savoia.
La visita del Duca a Nansen, il celebre esploratore polare, poi la visita delle LL. AA. il principe e la principessa di Napoli, prima della loro partenza per l’isola degli Orsi, poi i ricevimenti dati dalle autorità al giovane valoroso, e la stampa, avevano dato una grande popolarità alla spedizione e scosso anche i freddi e tranquilli animi dei norvegesi.
Sicchè l’annunzio che la Stella Polare stava per entrare in porto per fare gli ultimi preparativi, aveva fatto accorrere sulle gettate un gran numero di persone, desiderose di rivedere ancora una volta il giovane animoso che si proponeva di strappare al polo il suo segreto secolare, e di salutarlo con un possente urrà.
Non essendo però ancora giunto il momento della partenza, lo sbarco dei membri della spedizione si effettuò fra una grande calma. Già i buoni norvegesi sapevano che il Duca rifuggiva dalle rumorose dimostrazioni.
La folla tuttavia non lascia la gettata. L’elemento marinaresco predomina e fa i suoi commenti e scambia domande e risposte con l’equipaggio che è già, in parte, sceso a terra.
– A quando la partenza? – chiedono tutti.
– Pel 12, – risponde Andresen, che è sbarcato per il primo.
– Saremo qui in gran numero a salutarvi, – dice un vecchio marinaio dalla barba bianca.
Non sono trascorse poche ore che già arrivano i primi carri portanti l’ultimo carico della spedizione che si trovava già da alcune Cav. Umberto Cagni. settimane ammassato nei magazzini del Grand Hôtel.
Quel carico, venuto in gran parte d’Italia, si componeva di millecinquecento casse, contenenti ciascuna venticinque chilogrammi di roba.
S. A. R. il duca, aveva dedicato cure speciali al suo bagaglio, preoccupandosi anche delle cose più minute. Trattandosi d’intraprendere una spedizione pedestre attraverso i grandi banchi di ghiaccio, aveva soprattutto pensato al facile trasporto del suo voluminoso carico.
Le casse erano perciò state divise in quattro grandi riparti; viveri – vestiario ed equipaggiamento – istrumenti e materiale scientifico – cose utili ma non indispensabili. Conte Franco Querini (scomparso). Ciascun riparto era stato contraddistinto da un colore diverso; inoltre ogni cassa, sulle sei facciate, era stata segnata con parecchie iniziali corrispondenti agli oggetti che contenevano.
Le casse dei viveri ed accessori portavano una striscia nera e contenevano riso, paste di diverse qualità, per variare, più che era possibile, il menu, carne secca, carne in scatole, conserve, legumi, pesce secco ed affumicato, farine, zucchero, the, cioccolatte, caffè, gallette divise in duecento e ottanta scatole e oltre mille bottiglie di vino da bersi nelle feste e nelle grandi circostanze, dono, per la maggior parte, di S. M. la Regina d’Italia.
A queste vi era aggiunta una considerevole provvista di pemmican1 che doveva servire di nutrimento ai cani ed.... in caso disperato.... agli uomini. Dott. Cavalli-Molinelli.
Tutti questi alimenti erano stati scelti con cura meticolosa e sottoposti, prima di venire chiusi nelle cassette, all’analisi chimica; poi ogni recipiente era stato solidamente rivestito di latta bene saldata, onde preservare il contenuto contro l’umidità ed una possibile immersione.
Le casse contenenti il vestiario ed equipaggiamento, erano state invece contraddistinte con una fascia verde, perché nessuno dei membri della spedizione, in caso di pericolo, avesse potuto scambiarle per le altre.
Contenevano un equipaggiamento completo: scarpe, vestiti, cappelli, Capitano C. J. Evensen. guanti, cappucci, casacche di pelle d’orso e di renna, calze di lana, guantoni, scialli. Non mancavano nemmeno le cravatte, i bottoni, il filo, aghi, ecc.
Le casse del materiale scientifico invece portavano una striscia rossa. Contenevano: barometri, termometri, sestanti e molti istrumenti di precisione, forniti in gran parte dall’ufficio idrografico della nostra regia marina e da case italiane, francesi, inglesi e tedesche.
Le casse degli oggetti utili ma non indispensabili erano state marcate in giallo. Le cose più disparate si trovavano rinchiuse in quelle scatole: mazzi di carte, dame, scacchi, l’oca, la tombola, vari istrumenti musicali, un grafofono, un fonografo, un piano melodico sistema Giovanni Racca, con un ricco e svariato repertorio: Pagliacci, Puritani, Donna Juanita, Rigoletto, il Profeta, la Bohéme, Mefistofele, la Marcia Reale, la Cavalleria Rusticana e moltissime altre opere e marcie che sarebbe troppo lungo annoverare.
Il Duca aveva messa anzi molta cura nella scelta di quei giuochi. La noia è il nemico più mortale degli esploratori polari, un nemico che a poco a poco vince ed accascia gli spiriti degli equipaggi, specialmente durante la lunga notte polare che dura centoventi o anche centocinquanta giorni e più ancora, se la nave si trova in latitudini altissime.
Da questo lato ben poco avevano da temere gli audaci esploratori. I giuochi erano molti e svariati e fra una partita alle carte od alla dama, una giocata di scacchi, o un «addio al cigno» del Lohengrin suonato dal grafofono o un pezzo d’opera del piano melodico od un concerto di chitarre e mandolini, avrebbero ben potuto sbarcare alla meno peggio le non poche settimane della notte polare.
Il carico si effettuava rapidamente, sotto gli occhi di una folla sempre crescente e curiosa. Il Duca aveva dato ordine di affrettarsi.
Già Nansen, con cui aveva avuto parecchi colloqui, lo aveva replicatamente consigliato di raggiungere al più presto i mari artici, onde non vedersi, più tardi, contrastato il passo dai ghiacci polari.
Buone notizie avevano mandato i balenieri della Norvegia settentrionale, partiti da qualche settimana per la annuale stagione di pesca. Pochi ghiacci avevano incontrato al largo delle coste e la temperatura s’era raddolcita più presto del solito.
Urgeva quindi approfittare, poiché talvolta un ritardo di poche settimane può diventare fatale alle navi che osano avanzarsi sulle acque dell’Oceano Artico, ed il Duca aveva ancora molta via da percorrere prima di giungere alla lontana Terra di Francesco Giuseppe.
I marinai norvegesi lavoravano però con tale lena, da non dubitare che prima del 12 giugno, tutto il materiale della spedizione si trovasse stivato a bordo. Anche Cardenti ed il suo collega Canepa, si erano messi della partita per affrettare il carico.
Nel pomeriggio dell’11 l’ultima cassa scendeva nella stiva della Stella Polare.
Tutto il carico era stato disposto accuratamente, in modo da poter scegliere qualsiasi oggetto senza scombussolare l’immensa mole delle casse. Il cav. Cagni ed il cav. Querini avevano sorvegliato, in persona, lo stivamento di tutto il materiale.
La sera stessa la Stella Polare dal Bjoerviken si portava al largo, per caricare una considerevole partita di barili di petrolio, tornando al mattino ad ancorarsi a circa cento metri dal molo.
L’ora della partenza stava per scoccare. La macchina, di già accesa, fumava allegramente e le quattro guide alpine, Petigaux, Savoi, Ollier e Fenoillet erano già giunte a bordo assieme a Cardenti e Canepa.
Sulla gettata, una folla immensa si accalcava per mandare l’ultimo urrà in onore dei coraggiosi che si proponevano di emulare le gesta di Nansen.
Marinai, borghesi, popolani, donne e fanciulli si pigiavano, guardando con viva curiosità la Stella Polare, mentre da tutte le parti del gran fjord accorrevano scialuppe a vapore, piccole veliere ed imbarcazioni d’ogni specie, cariche di persone.
Le navi ancorate nel porto sono pavesate e le gran gale ondeggiano al vento. I marinai sono sui pennoni, sulle coffe, sulle crocette, pronti a mandare assordanti urrà.
Sulla Stella Polare regna confusione.
I marinai s’affannano a sgombrare la tolda che è piena di barili di petrolio.
Alle dieci una scialuppa si stacca dalla riva e s’accosta rapidamente alla nave. Nessuno s’è quasi accorto che entro si trovano S. A. R. il duca assieme al suo secondo aiutante di campo, tenente Frigerio, e al dott. Cavalli. Hanno appena ricevuto i saluti e gli auguri delle autorità di Christiania.
La comparsa del Duca fa affrettare i marinai. Sgombrano alla meglio una parte della coperta per poter ricevere gli ultimi amici che andranno a salutarli a bordo.
Una viva ansietà regna su tutti i volti. Perfino i flemmatici e freddi norvegesi sembrano commossi e nervosi.
La folla addensata sulle gettate si agita. Si direbbe che è impaziente di prorompere in un urlo formidabile.
Alle undici una seconda lancia si stacca dal molo e abborda la Stella Polare.
Salgono a bordo Nansen, il celebre esploratore, sua moglie, il pittore Werentkiold, pure con la moglie e la signora Ibsen, moglie del famoso commediografo; una seconda scialuppa conduce il console italiano Hallager con la sua signora, il vice-console di Aars e il pubblicista Ojetti corrispondente del Corriere della Sera.
La signora Hallager consegna al Duca uno splendido mazzo di fiori coi colori italiani e norvegesi intrecciati e fa gli ultimi auguri; mentre Nansen gli dà gli ultimi consigli.
Il momento della partenza è giunto, ma manca ancora il primo macchinista norvegese. Cagni dà ordine di chiamarlo con la sirena.
Dapprima l’urlo rauco della macchina non ha effetto alcuno, ma alla sua sesta o settima chiamata anche l’ingegnere di macchina si fa vivo e si fa condurre velocemente a bordo.
È il momento di salpare. La bandiera italiana, senza corona reale, sventola a poppa; la fiamma norvegese è spiegata sull’albero maestro, e quella italiana sul trinchetto.
Si fanno gli ultimi addii. Il Duca, commosso suo malgrado, stringe la mano e ringrazia caldamente Nansen, poi le signore, Frigerio, Werentkiold, il capitano del porto, il console di Christiania, ed il vice-console di Aars.
– Sgombrate!... – si grida dal ponte di comando, mentre la sirena lancia i suoi poderosi fischi.
Tutti scendono nelle scialuppe. Nansen è l’ultimo e agita il berretto in segno di saluto, guardando un’ultima volta il Duca. Chissà!... Forse in quel momento invidiava quel giovane ardimentoso, che muoveva alla conquista del polo, lui, il vecchio navigante dei mari artici, ed il più fortunato degli esploratori delle gelide regioni!
Il Duca è sul ponte di comando assieme al Cagni, a Querini, a Cavalli ed al capitano Evensen. Tutti agitano i berretti salutando la folla che agita i fazzoletti e che manda urrà assordanti.
Un fremito d’entusiasmo aleggia sul fjord.
La tuonante voce di Cardenti si fa udire a prora, fra le grida sempre crescenti della folla ed i fischi rauchi o stridenti delle sirene.
– Sempre avanti Savoia!... –
La Stella Polare si agita; il vapore esce sbuffando dalla sua ciminiera, e l’elica comincia a turbinare sollevando spruzzi di candida spuma.
Un ultimo urrà s’alza dalla folla e dalle navi ancorate nel porto, e va a morire lontano, lontano, sulle placide acque del fjord.
È l’ultimo saluto agl’intrepidi che vanno a seppellirsi fra i pesanti nebbioni ed i banchi di ghiaccio della regione polare.
– Sempre avanti Savoia!... – tuona ancora Cardenti.
La sua voce si perde fra gli ultimi addii della folla.
La Stella Polare è già lontana e scende maestosamente il fjord, impaziente di fendere, colla sua prora, le acque del mare del Nord.
Note
- ↑ Carne seccata e poi mescolata con grasso fuso, dopo averla ridotta in briciole.