La Stella Polare ed il suo viaggio avventuroso/Parte prima/2. La Stella Polare

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Capitolo II

La «Stella Polare»

La nave sulla quale il Duca degli Abruzzi stava per intraprendere il viaggio polare, non era stata, come il Fram di Nansen, espressamente costruita. Visita della Giunta comunale di Christiania.

Era un legno che aveva già fatto le sue prove fra i ghiacci delle regioni artiche, sotto gli ordini dei capitani norvegesi Larsen e Jacobsen, due dei più intrepidi lupi di mare dell’oceano settentrionale ed anche due dei più famosi cacciatori di foche e di morse.

Varato nel 1882 sotto il nome di Jason, ossia di Giasone, prima che ne facesse acquisto il Duca degli Abruzzi, si era già spinto parecchie volte fino allo Spitzbergen, onde cacciare quegli anfibi ed anche più a settentrione e, bisogna dirlo, sempre con felice esito. [p. 10 modifica]

I ghiacci non avevano mai avuto l’onore di rinserrarlo e di schiacciargli le costole, e tutte le stagioni era tornato trionfante nei porti della Norvegia, portando dei grossi carichi di pelli e di grassi.

Come tutte le navi che vanno a pescare i grandi cetacei, o cacciare le foche e le morse, la Stella Polare, così battezzata da S. A. R. il Duca degli Abruzzi, era costruita in legno.

Il Fram di Nansen era pure in legno, e così pure lo furono tutte le navi che s’inoltrarono nei grandi campi di ghiaccio delle regioni polari, essendo il legno miglior conduttore di calorico, ed essendo pure un coefficente di elasticità assai maggiore d’ogni altra materia, quindi più resistente alle formidabili pressioni dei ghiacci.

Le navi in ferro hanno fatto sempre cattiva prova in mezzo ai ghiacci, sia per la loro estrema rigidità, sia perchè poco abitabili col freddo intenso che regna sotto le latitudini artiche, sia infine per le gravi difficoltà che presentano le riparazioni, non essendo possibile avere a bordo i mezzi meccanici necessarii.

La Stella Polare, malgrado i suoi diciassette anni, passati in gran parte nelle regioni artiche, era ancora una solida nave che poteva fare ottima figura e affrontare, senza tema di dover subito cedere, i poderosi urti degli ice-bergs, dei palks, degli streams e dei wake, che le correnti polari trascinano verso il sud.

Stazzava trecentocinquantotto tonnellate nette, su una lunghezza, dalle ruote di prora e di poppa di quarantaquattro metri e settanta centimetri ed una larghezza di metri nove e trenta centimetri.

La sua profondità toccava i metri cinque e venti, il suo tonnellaggio lordo era di quattrocento e venticinque e portava una macchina della forza di sessanta cavalli nominali, pari a duecentocinquanta di effettivi, da settantacinque chilogrammi, a sistema compound, con due cilindri, capaci di sviluppare, a mare calmo, una velocità di sei nodi all’ora, pari a circa undici chilometri.

Ma più che sulla sua macchina, doveva contare sulla propria velatura, molto ampia e con un’alberatura altissima onde poter approfittare delle più lievi brezze. Già nei mari artici, con buon vento a mezza nave od in poppa era riuscita a toccare gli undici nodi all’ora, ossia circa venti chilometri, velocità difficilmente raggiunta dai soliti navigli mercantili. [p. 11 modifica]

Prima però di lasciare Laurvik, aveva subìto notevoli trasformazioni, essendo ben diversa una campagna di esplorazione, che può anche durare parecchi anni, da una semplice corsa attraverso i mari artici durante una stagione favorevole.

S. A. R. il Duca, dopo essersi consigliato a più riprese con Nansen e coi più noti lupi di mare della Norvegia, aveva fatto rinforzare vigorosamente lo scafo con crociere metalliche, onde meglio potesse resistere agli urti ed alle pressioni dei ghiacci, costruire sopra coperta cabine per gli ufficiali e un nuovo salottino per passare alla meglio le lunghissime notti polari, e persino un laboratorio fisico-chimico ed un gabinetto fotografico.

Inoltre aveva fatto cambiare tutte le lastre di rame onde impedire possibili filtrazioni, inverniciare completamente la nave ed anche allargare i depositi di carbone.

Ma questo non era ancora tutto. Da uomo previdente, S. A. R. aveva dotata la nave d’un approvvigionamento tale da superare quello dello stesso Nansen e di tutti gli esploratori che lo avevano preceduto nelle gelide regioni del polo artico, e da assicurare al suo equipaggio, una lunga permanenza fra i ghiacci, senza correre il pericolo di doverlo mettere a razione. Di ciò parleremo più innanzi.

Ventidue uomini componevano l’equipaggio della nave: dodici italiani e dieci norvegesi, scelti questi fra le persone ormai pratiche delle regioni polari e cioè provati agli intensi freddi ed ai grandi campi di ghiaccio.

Capo della spedizione, S. A. R. Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi, d’anni 26, luogotenente della marina italiana.

Il nome del Duca degli Abruzzi è popolare in Italia. La splendida e fortunata scalata del gigantesco Sant’Elia dell’Alaska, lo ha reso troppo noto fra noi italiani perchè se ne debba parlare, però è nostro debito farlo conoscere un po’ meglio, molti ignorando il suo passato.

È nato sul suolo spagnolo, nella capitale dei possenti imperatori iberici, che mai vedevano tramontare il sole sulle loro terre, il 29 gennaio del 1873.

Sulla sua culla brillarono, fugaci lampi, gli splendori di Carlo quinto, di Filippo secondo il Tetro, e di Ferdinando il Cattolico e d’Isabella, la protettrice di Colombo; ma la rinuncia magnanima del [p. 12 modifica]trono spagnuolo da parte di Amedeo, figlio di Vittorio Emanuele II, lo trasse ancora bambino in Italia.

Di fibra forte e di carattere energico, si fece subito notare, anche quando era giovanetto. Gli splendori della Corte gli apparvero ben stretti pei suoi alti ideali e per il suo carattere avventuroso, e a quattordici anni, al pari del Duca di Genova, entrava nell’Accademia Reale di Livorno. Il mare, sirena ammaliatrice, lo aveva attirato.

S. A. R. il duca degli Abruzzi, guardia marina. L’Accademia Reale lo annoverò fra i suoi migliori allievi. Fece la sua carriera sotto gli ordini di Emilio Renaud, conte di Falicon, annoverato allora fra i nostri migliori capitani di vascello, e uscì guardia marina con la miglior lode.

Era il momento ardentemente atteso dal giovane principe, che durante quegli anni non aveva sognato che tempeste e paesi lontani. Due volte fece il giro del mondo, tutto studiando e tutto osservando, riuscendo un eccellente uomo di mare e, strana cosa, anche uno dei più instancabili alpinisti. Pare che l’immensità eserciti su di lui un fascino invincibile.

Ed eccolo, nel 1896, lasciare momentaneamente il mare e correre attraverso l’America del nord, fino ai confini dell’Alaska, l’antico possedimento russo, per tentare la memoranda scalata del più gigantesco colosso della regione artica, invano tentata, prima di lui, da inglesi e da americani.

Nè le valanghe, nè i grandi perigli della montagna gigante, nè i ghiacciai, nè il freddo intenso, nè le privazioni spaventano l’audace principe. Sempre primo fra tutti, a piccole tappe, con una costanza incredibile, trascina con sè la colonna italiana e, con un’ultima e meravigliosa salita, pianta la bandiera d’Italia sulla più alta cima del colosso americano. [p. 13 modifica]

Parve che lassù, scrutando gli immensi ghiacciai ed i nevosi pianori della gelida Alaska, maturasse la spedizione polare. Infatti, qualche anno dopo, ecco l’intraprendente principe lasciare ancora una volta il bel cielo d’Italia per correre attraverso l’Inghilterra e la Svezia ad interrogare i più noti navigatori artici.

Un anno ancora, ed ecco il principe a Laurvik, a bordo della sua Stella Polare, pronto a sfidare, con serena tranquillità, le montagne di ghiaccio della regione artica ed a strappare, anche alle immacolate nevi del polo, i loro segreti.

Quanta ammirabile audacia e quanta fibra in così giovane principe della valorosa stirpe dei sabaudi duchi!...

Secondo di bordo della Stella Polare è Umberto Cagni, aiutante di S. A. R. il duca e figlio del compianto Generale, un uomo forte e dotto, che aveva già accompagnato il Duca nella spedizione dell’Alaska.

Astigiano di nascita, e oggidì capitano di corvetta, possiede tre qualità ammirabili per un esploratore, soprattutto polare: coraggio, sangue freddo ed una invidiabile fama come uomo di mare.

Terzo ufficiale il conte Querini Franco, di Venezia, un altro valoroso che si era già distinto nel 1897 a Candia, quand’era ufficiale di bandiera dell’ammiraglio Amoretti.

Si narra di lui, che alla Canea si guadagnò la medaglia al valore militare, affrontando, alla testa di un plotone di marinai della nostra corazzata Re Umberto e di un plotone di marinai russi, i gendarmi turchi che si erano ribellati uccidendo il loro colonnello.

Il contegno del Querini fu in quell’epoca così degno di lode, da affidargli difficili incarichi che seppe disimpegnare con molto tatto.

Il Querini non aveva che trent’anni, era di statura media, dall’apparenza gracile, ma di una forza a tutta prova e d’una cultura straordinaria.

Scienziato della spedizione: dottor Cavalli-Molinelli, d’anni 33, nato a Sale, presso Tortona, laureatosi nell’Università di Torino nel 1886, salvo errore, poi passato come sanitario nella Regia Marina.

Un vero scienziato, conoscitore profondo della fauna e della flora artica, uomo calmo, forte, robusto, già compagno del Duca in altre corse attraverso il mondo. [p. 14 modifica]

Capitano della Stella Polare: C. J. Evensen, di Sandyfjord, di anni 47, già pratico delle regioni artiche, antico pescatore di balene e cacciatore di morse e di foche.

Harry Alfred Stökken, di Sandyfjord, primo macchinista, d’anni 24; Anton Torgrinsen, di Larvig, secondo macchinista, d’anni 30; Andreas Andresen, di Sandyfjord, primo nostromo, d’anni 20; Christian Andresen, di Solberg Borre, primo cuoco, d’anni 35; Ditman Olanssen, di Tönsberg, carpentiere, d’anni 35; Johan Johansen, di Sandyfjord, fuochista, d’anni 42; Ascel Andresen, di Sand p. Baastad, fuochista, d’anni 22; Carl Christ. Hansen, di Larvig, velaio, d’anni 37; Oll Johannesen, di Bodkirbjerget, secondo cuoco, d’anni 25.

Completavano la spedizione due esperti marinai della nostra Regia Marina, Carlo Cardenti, d’anni 32, di Porto Ferraio, secondo nocchiero; Canepa di Varazze, d’anni 24, marinaio di prima classe, e quattro guide alpine valdostane, scelte fra le migliori e le più pratiche: Giuseppe Petigaux, di Courmayeur, d’anni 38, già compagno del Duca nell’ardua impresa del Sant’Elia; Felice Ollier, di Courmayeur, d’anni 30; Cipriano Savoi, di Près St. Didier, d’anni 30; Alessio Fenoillet, di Courmayeur, d’anni 37.
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La Stella Polare, uscita dalla piccola baia di Laurvik, aveva messa la prora verso il nord nord-est per superare le lunghe penisolette di Sandyfjord che si allungano assai verso il mare, ed il gruppo d’isolette che fiancheggiano, verso occidente, il profondo fjord di Christiania.

Lo Skager-Rak era, contrariamente al solito, d’una tranquillità inaspettata. Appena qualche ondata andava a rompersi, con un cupo fragore che si ripercuoteva lungamente, entro i fjords e contro le alte scogliere che cingono le sponde meridionali della Norvegia.

Al largo invece calma assoluta, un vero specchio appena appena increspato dalla leggiera brezza che soffiava, ad intervalli, dalle vicine coste della Danimarca.

Alcuni velieri, per lo più dei brigantini, apparivano all’orizzonte, con le loro candide vele sciolte al vento, che davan loro l’aspetto di bianchi uccelli radenti il mare, e qualche vapore fumava in [p. 16 modifica]
Destra
Sinistra

Christiania – Visita delle LL. MM. alla Stella Polare.

[p. 17 modifica]La Stella Polare lascia Christiania.

lontananza, verso Strömstad, formando sopra di sè un grande ombrello di fumo che spiccava nettamente sul fondo luminoso del cielo.

S.M. la regina Elena a bordo della Stella Polare. In aria invece pochi gabbiani e petrelli, i quali di quando in quando si precipitavano sulla spumeggiante scìa della Stella Polare, lasciandosi cullare dolcemente fra il risucchio.

Il cav. Cagni, vigilante marinaio, passeggiava sul cassero scambiando qualche parola ora col pilota ed ora col dott. Cavalli-Molinelli, il quale osservava curiosamente le fulminee evoluzioni dei gabbiani. [p. 18 modifica]

A prora il tenente Querini guardava il mare chiacchierando col capitano Evensen, il quale gl’indicava i villaggi che ora apparivano ed ora scomparivano entro i due piccoli fjords di Sandyfjord.

La costa appariva selvaggia. Rupi tagliate quasi a picco, minate e sventrate dall’eterna azione delle onde; isolotti neri emergenti dal mare minacciosamente; in alto, a molta distanza, grandi distese di pini e di abeti i cui acri profumi giungevano fino sul ponte della nave mescolandosi all’odore non meno penetrante dell’aria marina.

– Fra cinque o sei ore noi saremo a Christiania, – disse Andresen, l’amico di papà Nerike, in francese, volgendosi verso Ollier, una delle due guide del Duca, il quale guardava attentamente verso il nord-est, cercando di scoprire il fjord di Christiania.

– Una città che mi piace molto, – rispose il montanaro. – È molto diversa dalle nostre d’Italia, ma pur sempre bella.

– Dovreste vederla fra dieci anni; allora non la riconoscereste più. Cosa volete, gl’incendi, di tratto in tratto ce la guastano.

– Sfido io!... Avete troppe case di legno!...

– Se ne faranno meno, ora, – disse Andresen. – Siamo arcistufi d’incendi! In venti anni ne sono scoppiati tanti da superare quelli che succedono in cent’anni in qualsiasi altra città del mondo.

– Infatti si vede che è una città assolutamente moderna, e vi dirò anzi che assomiglia un po’ alla nostra Torino, che ho veduta ultimamente. Strade nuove e diritte, e case nuove e bene livellate. Vi è però una cosa che mi stupisce.

– E quale? – chiese Andresen.

– La dolcezza relativa del vostro clima. Credevo che la Norvegia, essendo così poco lontana dai mari artici, fosse molto più fredda.

– Aspettate di giungere sulle coste settentrionali, – disse il giovane mastro, con un risolino. – O meglio, aspettate di trovarvi nell’Oceano Artico. Ah!... Lassù lo sentirete bene il freddo, ve lo assicuro.

– Mi hanno raccontato che si vedono delle grandi montagne galleggianti.

– È verissimo, e che montagne!... Talvolta si incontrano delle vere flottiglie di ice-bergs, e tutti di dimensioni enormi.

– Un grave pericolo per le navi, – disse Ollier. [p. 19 modifica]

– Tremendo, – rispose il norvegese. – Un giorno la nave che montavo fu urtata da uno di quei colossi.

– E venne sfracellata?

– No, ci scaricò in coperta una mezza dozzina d’orsi bianchi affamati e ferocissimi.

– Oh!... Questa è strana! Forse che quegli animali hanno l’abitudine d’imbarcarsi sui banchi di ghiaccio?

– Non lo fanno appositamente. Quando avviene lo sgelo, il quale ordinariamente comincia alla fine di giugno, i grandi banchi di ghiaccio, che noi chiamiamo ice-fields, si sgretolano e la corrente trascina verso il sud i rottami. Avviene così che gli orsi bianchi che si trovano su quei campi di ghiaccio, per non annegarsi, s’imbarcano su uno di quei frammenti, lasciandosi trasportare alla ventura.

– Pure mi hanno detto che quegli animali sono buoni nuotatori, – osservò la guida.

– Abilissimi, poichè se ne sono veduti alcuni nuotare a venticinque e perfino a trenta miglia dalla terra più vicina.

– E come finiscono quelli che vengono trascinati verso il sud? – chiese il montanaro, che s’interessava molto di quelle spiegazioni.

– O muoiono di fame o s’annegano, – rispose il norvegese. – Le acque, essendo meno fredde al di là del circolo artico, in causa anche della corrente del Gulf-stream, a poco a poco corrodono i banchi di ghiaccio e gli ice-bergs, ed i poveri orsi finiscono coll’affogarsi.

– Ne incontreremo anche noi?

– Oh!... certamente, – rispose Andresen.

– E vedremo anche delle renne?

– Se si andasse allo Spitzbergen se ne incontrerebbero molte, ma ignoro se ve ne siano sulla Terra di Francesco Giuseppe. Ah!... Eccoci alla bocca del fjord! Guardate che spettacolo! È uno dei più belli della nostra Norvegia! –

La Stella Polare, dopo d’aver girate le isole del Sandyfjord, era entrata nella profondissima baia di Christiania, una delle più ammirabili dello Skager-Rak e del Kattegat.

Non è molto larga, anzi la sua imboccatura è piuttosto stretta, [p. 20 modifica]ma si addentra molto nella terra, dividendosi in tre rami, il più lungo dei quali è quello di Christiania.

Numerose isolette inceppano la navigazione, tutte graziose, ridenti, abbellite da villini appartenenti ai ricchi norvegesi, e sulle sue coste si ergono belle e popolose città nonché un gran numero di villaggi.

All’entrata si trovano Sandyfjord e Fredrikstad, più sopra Tönsberg, poi Holmestrand quasi all’estremità del primo braccio, Drammen all’estremità del secondo e Christiania del terzo.

L’aspetto del fjord, nel momento in cui la Stella Polare v’entrava, era gaio, ridente, pittoresco. Sulla azzurro-cupa superficie del golfo, placida come se fosse di cristallo, navi a vapore, navi a vela e barchette d’ogni specie, andavano e venivano. Le bianche vele si riflettevano vagamente sulle acque irradiate da un tepido sole già quasi estivo.

Sui pendìi delle due sponde, appollaiate graziosamente sui margini delle pinete, si vedevano gran numero di casettine linde, con le tende bianche ad ogni finestra, i vasi di porcellana, già pieni di fiori, ai poggiuoli o sui davanzali, e l’orticello dinanzi, cinto da cancellate di legno dipinte a vivaci colori.

Più giù, presso le rive ed all’estremità degli azzurri fjords, si vedevano slanciarsi verso il nitido cielo gli esili camini rossi delle segherie e delle cartiere, fumanti come locomotive. Nell’aria si espandeva un acuto odore di resina, di larice tagliato di recente, di pesce messo a seccare e di catrame.

Di passo in passo che la Stella Polare s’avanzava nel fjord, nuove e più belle vedute si offrivano agli sguardi delle guide. Cardenti, l’ardente nocchiero di Porto Ferraio, salito pure in coperta assieme al suo camerata Canepa, non poteva frenare la sua meraviglia e manifestava la sua soddisfazione con rumorose esclamazioni che facevano sorridere l’equipaggio norvegese.

Il fjord andava allargandosi sempre più. Belle collinette coperte di pini e di larici s’alzavano ad occidente ed a oriente, e nuovi villaggi e nuove cittadelle apparivano in fondo ai capricciosi frastagliamenti della costa.

Ecco la ridente Aasgaard, mollemente adagiata sulla riva occidentale, contornata di giardinetti, di villette, di segherie e di ammassi [p. 21 modifica]enormi di tavole di pino, pronte a venire caricate sui piccoli velieri o sulla ferrovia che va a Sandyfjord; ecco la piccola Horten che fronteggia la lanterna, poi Soon più sopra, ma sull’opposta sponda, quindi Hovidsten.

Il canale diventa sempre più stretto e le isolette aumentano. La Stella Polare si avanza con precauzione entro quell’ultimo fjord, mandando di quando in quando dei sonori fischi che si ripercuotono sui pendii delle collinette.

Ad un tratto il fjord si allarga. Le sponde si coprono di case e casette, di segherie, di cartiere, di opifici industriali, di altissimi camini vomitanti, sul limpido ed azzurro cielo, nuvoloni di fumo nero e denso. Il numero delle navi a vela ed a vapore e delle barche e barchette aumenta.

– Christiania! – esclamò Andresen, volgendosi verso le guide.

Sul luminoso orizzonte si delineava rapidamente una selva di case, di torri, di cupole, di campanili e d’antenne di navi semi-avvolte nel fumo uscente da migliaia e migliaia di camini.

– Pronti per calare le ancore!... – si udì gridare il pilota.

Poco dopo la Stella Polare, con la bandiera italiana spiegata a poppa e la norvegese sull’alberetto di maistra, entrava trionfante nel porto per imbarcare le ultime provviste della spedizione polare.