La Donna e il suo nuovo cammino/Oggi e domani
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Oggi e domani
DI
ANTONIA NITTI PERSICO
Ho assunto il non facile compito di riassumere quello che è stato assai bene esposto nelle conferenze precedenti. Il problema ormai si presenta chiaro e preciso da sè: che cosa sarà la donna di domani?
La guerra ha messo in rilievo tante sue buone energie; ne ha trasformato le attitudini e le tendenze; l’ha resa compagna dell’uomo nel dolore e nella sofferenza; sua sostituta nel lavoro e nell’azione: è possibile che tutto questo vada perduto? L’ambizione nobilissima della donna, intimamente pura, che ha sospinto la sua mentalità ad accentuare un’ambizione collettivamente utile, potrà essere soffocata dalla ripresa ordinaria della vita?
Non lo vorrebbero nè meno gli uomini che hanno imparato a conoscerci meglio e han finito per abituarsi a discutere con noi i problemi essenziali della esistenza. E molte questioni complesse e gravissime che la donna si propose col suo naturale intuito, le risolverà di fatto la guerra.
Senza dubbio gli uomini di buona qualità — e lo hanno dimostrato — non hanno più niente in contrario all’intervento della donna nella vita sociale. Ma dobbiamo andar caute contro la gran massa, che cerca di ostacolare ogni buon movimento di progresso, rilevandone il lato che possa prestarsi al ridicolo.
Da Aristofane fino ai giorni nostri, in tutte le espressioni, noi vediamo mettere in caricatura le donne per le loro aspirazioni al lavoro, all’esercizio professionale, al voto, ai diritti uguali nel matrimonio e nella proprietà. Il fondo dell’ironia è sempre lo stesso e consiste a rimproverare alle donne il loro temperamento, di cui non sono che le vittime. Io penso che sarebbe assai facile alle donne usare arma uguale con gli uomini, mettendo in rilievo le debolezze della loro natura. Se non lo fanno, è perchè hanno naturalmente più gusto e maggior dignità.
È un fatto che noi per intuizione abbiamo la possibilità di tutto comprendere dell’anima maschile, mentre gli uomini non ci comprenderanno mai completamente. Questa forza diventa spesso la nostra debolezza. A furia di capire l’anima dell’uomo, noi penetriamo ad una ad una tutte le sue velleità e diventiamo spesso delle consigliere cattive, delle dominatrici intemperanti, facendoci nel fondo disistimare individualmente e trasportando poi il discredito e la disistima sulle donne in generale.
L’ora presente ci ha rese le vere, leali compagne dell’uomo e insieme dobbiamo lavorare alla sistemazione e alla prosperità della società di cui siamo parte.
Il concetto informatore di questo ciclo di conferenze è che lo sviluppo dell’individualità non può nuocere alle più nobili qualità femminili, come il raggiungimento di una indipendenza economica, morale e infine politica non può turbare i rapporti sociali, consentendo esso al contrario un più alto sviluppo della dignità femminile. Dobbiamo considerare la guerra come un esperimento duro; ma le visioni nuove che ci ha dato la guerra devono rimanere bene impresse nella nostra mente. La guerra ci ha sconvolti tutti: ha distrutto da quattro a cinque milioni di uomini; infinite ricchezze; innumerevoli illusioni. L’Italia traversa dure prove durante la guerra; assai più ne dovrà traversare dopo. Tutto ciò che rimarrà deve essere destinato alla produzione. Senza pretendere a economista, si può dire che gli alti prezzi non finiranno presto. E perchè il paese si rafforzi, si dovrà produrre più da tutti per tutti.
Il lavoro sarà la base del nuovo assetto economico. E la donna non potrà più essere assente dal lavoro di produzione, atto a creare la prosperità del paese.
Ma il lavoro femminile dovrà essere organizzato, disciplinato, corretto. Stiamo in guardia che quest’onesto sentimento non trascini le donne a una schiavitù più amara di quella di cui vogliamo liberarla. Il lavoro deve essere adatto alla donna, non ne deve deprimere l’organismo e la mente.
La guerra ha imposto ogni genere di lavoro: e sia benedetta qualsiasi fatica, qualsiasi stilla di sudore che abbia contribuito all’onore d’Italia. Ma che questo periodo appaia ai nostri occhi, come in effetti è, un periodo di rivoluzione; e siamo caute nell’indicare alle donne la via da seguire nell’avvenire. Noi parliamo volentieri di donne trastullo degli uomini: ma vi siete mai fermate a considerare la gran massa del nostro popolo dove le donne non sono il trastullo dei loro uomini, troppo miseri e troppo oppressi per concedersi il lusso di un trastullo? Su esse pesa ogni fatica, ogni dolore, ogni pena. Dal preparare la magra minestra alla cucitura degli abiti e rassetto di casa, per giungere poi alla maternità dolorosa senza cura e senza assistenza. Se il movimento operaio femminile determina spostamenti troppo rapidi di mestieri maschili, noi rischiamo di vedere uomini oziosi o peggio, disinteressati del peso finanziario della propria famiglia, con nessun vantaggio della prosperità e del benessere di questa.
Quando un padre di famiglia comprende di avere nelle proprie figliuole elemento di guadagno, le addestra subito alla vita e ricerca tutte le occasioni per impiegarle nelle fabbriche, nelle officine, senza curarsi sempre dei pericoli e delle insidie della vita esterna, del danno fisico che ne deriva, pur di assicurare alla casa un più largo contributo finanziario. Di questa nuova tendenza generalmente si abusa e vediamo facilmente concedere alle donne quei mestieri che gli uomini non sono alieni di abbandonare.
Non è possibile guardare senza pietà la donna spazzina, conduttrice di tramway, fattorina postale. Quanto logorìo di nervi e quale attentato alla purità femminile! Perchè non si lasciano invece alla donna quei mestieri adatti alla sua natura, non in disaccordo con la prima sua funzione, la maternità? Io penso che un gran benefizio verrebbe alla donna dal lavoro dei campi; e già s’è veduto in questo periodo di guerra come molti terreni siano stati resi fruttiferi dalla assidua opera femminile. L’agricoltura mi pare che si presti particolarmente all’indole della donna. L’attesa a lungo termine, la pazienza, la facile rassegnazione, sono qualità essenzialmente femminili. E, se la distruzione accidentale di un seminato o di un raccolto la trova più docile, la contemplazione che l’assistenza alla terra determina, ne eleva lo spirito senza che il corpo deperisca e la sacra funzione della maternità ne sia attentata. Quando specialmente le macchine — e il giorno non è lontano — si saranno sostituite all’uomo nei lavori pesanti di aratura, trebbiatura ed altri, la donna potrà da sola reggere tenute importanti e contribuire nella più larga misura allo sviluppo delle industrie agricole. Accanto alle grandi industrie, molte importanti piccole industrie si possono esercitare. E per la donna quale visione più lieta della cultura di fiori e piante rare, di quella ancora più utile di piante medicinali, ponendo così un’altra pietra all’edificio di difesa dell’industria nazionale! L’allevamento di animali necessari all’economia domestica va di pari passo con lo sviluppo delle industrie agricole. Un razionale allevamento di polli, di conigli, accanto a quello dei bachi da seta, di cui già si sente dovunque la enorme importanza, apre nuove vie di lavoro e di attività alla donna che deve soltanto essere guidata e diretta per raggiungere i più utili risultati.
Eppure il popolo risolve più facilmente i problemi primi della esistenza. Come gli uccelli migratori, anche quando la patria non può dare il pane quotidiano, lo va a cercare altrove. Per la piccola borghesia invece, il problema femminile si presenta pauroso.
Appena si è usciti dal popolo e non si può adattarsi a un mestiere e si comincia a studiare con un miraggio di guadagno e di indipendenza, le difficoltà sorgono da ogni parte. Senza dubbio l’insegnamento rimane l’esplicazione più naturale del lavoro femminile; ma appunto per questo le diplomate insegnanti sono in tale numero che non è possibile sempre trovare la loro sistemazione. Moltiplicatisi quindi i bisogni di vita, le donne, anche munite di titoli di studio, hanno accettato posti di commesse, di dattilografe, facendo così la strada a tante disutili che, profittando della larghezza dei capi, sono entrate, senza cognizioni e senza preparazione, a far parte del personale avventizio di ministeri e pubbliche amministrazioni.
E abbiamo avuto il dolore di sentire comentare aspramente vari inconvenienti verificatisi dal contatto di ragazze con gli impiegati, facendo assurgere questo fatto a un vero e sicuro elemento negativo per l’ammissione delle donne nei pubblici uffici.
A chi spetta la responsabilità? non credo di sbagliare affermando che spetti unicamente ai direttori di aziende che fecero le nomine. Con quali criteri le fecero? su quali referenze assunsero le impiegate? chiesero conto della moralità delle ragazze prima di esporle al cimento della vita in comune?
È davvero triste veder considerato dall’uomo il lavoro della donna come un elemento corruttore della sua moralità. Pare quasi, in molte occasioni, che si tratti di materia deperibile di niuna importanza: e si assumono impiegate senza un giusto criterio di valutazione, senza nessun rispetto della dignità femminile. E, pareggiando tutte alla stessa stregua, si spiega l’avversione di molti ad elevare la impiegata d’ordine a impiegata di concetto, anche quando in molte amministrazioni gli uffici di concetto sieno in realtà affidati alle donne.
Le ragazze dovrebbero affezionarsi al lavoro degli archivi, delle biblioteche; allo studio delle scienze naturali, delle lettere. Quelle che hanno la fortuna di conseguire una laurea in legge non si spaventino se per ora sia vietato l’esercizio dell’avvocatura. Finché le laureate in legge saranno poche, la questione parrà di lusso: allorché saranno in molte il loro diritto sarà riconosciuto senza difficoltà. Qualsiasi questione femminile deve infiltrarsi lentamente come tutte le grandi questioni sociali. Il lavoro deve essere però considerato come mezzo di benessere necessario, non come fine supremo della esistenza femminile. E la valutazione da parte dell’uomo del lavoro casalingo deve essere uno dei fattori della educazione nuova. Se il poter contribuire al bilancio domestico è piacevole e dignitoso, non bisogna dimenticare che assai spesso la prosperità di una famiglia è dovuta al lavoro oscuro, assiduo, costante della donna che la dirige. Se gli uomini avessero meglio valutato l’opera della donna casalinga, e l’avessero resa finanziariamente più libera e indipendente, molte madri di famiglia non avrebbero creduto di trovar la salvezza allontanandosi dalla casa per potersi procurare quel tantino di indipendenza economica, reso indispensabile dalle esigenze presenti. E io credo che, nel progresso dei tempi, la ragazza abituata fin dall’infanzia a lavorare e a produrre, porterà uno spirito nuovo di attività nella famiglia che potrà crearsi e non diserterà la casa se avrà la visione precisa che il lavoro da eseguire tra le pareti domestiche sia ugualmente fruttifero di quello fatto fuori. Le donne chiedono di lavorare fuori, quando si sentono troppo a carico di un uomo: e questo nuovo senso di dignità non va frainteso e dovrebbe anzi, mi pare, essere apprezzato. Qual’è l’augurio migliore che si possa fare ad una fanciulla di diciotto anni? che si mariti bene, che abbia una casa, che si crei dei figli.
Abbiamo però noi approfondito a bastanza il dovere di preparare le ragazze alla maternità, alla educazione dei figli?
L’esser madri non s’insegna; ma il pregiudizio ci fa ancora dire che l’istinto ci fa essere buone madri. Ah no! se noi approfondiamo l’onore serbato a noi donne di dare materialmente la vita ad un altro essere su cui abbiamo diritti e padronanza assoluti, finché quest’essere non sia forte a sua volta, noi saremo sgomentate dei grandi doveri che la maternità impone. E se desideriamo evolvere la mente delle ragazze è appunto perchè esse siano spiritualmente preparate a questo grande avvenimento e portino nella famiglia, se avranno la fortuna di crearsene una propria, quello spirito di bontà, di sincerità che solo può dare un’educazione libera e indipendente.
La famiglia, per essere realmente una sorgente di utili energie sociali, deve essere basata su rapporti di reciproca sincerità: e i figli devono essere educati alla vita, coscienti dei loro doveri, forti dei loro diritti.
Quando la donna sarà veramente evoluta, quando comprenderà il valore reale della sua missione; quando ogni avvenimento della famiglia, ogni angustia del marito, ogni ansia del figlio troverà in lei la confidente, l’amica, la depositaria gelosa; la famiglia sarà veramente rinnovata dalle radici e sarà la forma perfetta di una prima società.
Rimanga la donna in casa se le sue condizioni glielo consentono; ma rendiamola alla casa dopo averla educata!
Quando la donna avrà fatto il suo primo esperimento nella famiglia, sarà pronta ad affrontare le più complesse questioni: e ne verrà come conseguenza la sua larga partecipazione alla vita sociale.
Alla donna dovrebbe ormai essere riconosciuto il diritto di partecipare a tutto quanto riguarda l’istruzione e la scuola. Non è senza rammarico che io vedo spesso assente l’elemento femminile dalle varie e frequenti Commissioni incaricate di riformare programmi scolastici, di dare nuove direttive alle scuole, sopratutto femminili, di studiare infine e risolvere problemi di educazione.
La donna non dovrebbe mai più essere esclusa dalle opere di beneficenza collettiva. Ma non deve parteciparvi sotto l’ambigua forma di patronato: deve entrare nei consigli direttivi di tutte le opere pie, degli ospedali, dei brefotrofi, degli asili infantili.
Non dobbiamo dimenticare che un cuore femminile, Florence Nightingale, ha creato il più prezioso ausilio di quest’ora tragica, la Croce Rossa; che una poetessa, Elisabeth Browning, volle l’abolizione del lavoro infantile in Inghilterra; che Enrichetta Beecher Stowe gettò il primo grido per l’abolizione della schiavitù; che la gentile scrittrice moderna Lucy Re Bartlett ha iniziato una campagna in favore dei minorenni e Teresa Ravaschieri concepì per prima a Napoli il dovere di assistere l’infanzia dolente o derelitta!
Il sentimento di madre si sprigiona da una donna quando si trova di fronte a miserie umane e il suo cuore spesso trova la via del rimedio e della salvazione. È per il bene collettivo che io insisto sulla necessità di avere sempre qualche donna nella discussione di problemi di beneficenza, o meglio, di solidarietà umana.
La guerra ci lascerà una grande e triste eredità: testamento sacro, di cui dobbiamo essere fedeli esecutori. I mutilati e gli orfani devono assorbire le nostre cure: e il nostro cuore deve saper trovare la salvazione per gli uni e la sicurezza di vita per gli altri. Il riattaccare alla esistenza dei giovani che porteranno per tutto il corso della loro vita le stimmate gloriose del loro sacrificio, escogitare per essi le forme di lavoro produttivo che non li umili, avere per essi sempre la parola di bontà e di amore, indulgere ai loro istintivi e non ingiusti moti di ribellione; deve costituire un programma di azione pietosa e nobile, dal quale nessuno dovrà esimersi. Gli orfani devono considerarsi alla stregua dei nostri figliuoli: e quello che noi pensiamo di fare per essi, dobbiamo poter fare per i figli degli eroi oscuri che ci assicurarono la libertà, nel nome caro della Patria.
Forse chissà! i morti caduti sul campo dell’onore, lasciandoci la cura dei loro bambini, ci obbligheranno a risolvere molti problemi relativi all’assistenza all’infanzia. La generazione nuova, concepita in un periodo di eccitazione, merita riguardi speciali e attenzione particolare.
Richiamo le donne in genere allo studio e all’interesse di tutto quanto riguardi l’assistenza al bambino.
Una speciale Commissione studia presentemente per preparare il progetto di legge delle assicurazioni sociali obbligatorie, includendo l’assicurazione materna nelle assicurazioni malattia. Questo suggerisce il dovere a tutte le madri di esporre sotto ogni forma le proprie idee perchè, sia pure abbinando all’assicurazione malattia l’assicurazione materna, sia a questa conservata la più larga autonomia e, mediante ogni forma di provvidenza e di assistenza, sia assistito il bambino nei primi mesi di vita, e sia insieme riconosciuta alla maternità l’importanza di altissima funzione sociale.
A questi criteri è stato ispirato un voto della Cassa libera di Maternità di Milano, che dovrebbe necessariamente essere seguito da tutte le Casse libere di Maternità del Regno.
Non c’è niente che riguardi l’infanzia che deva lasciarci indifferenti. Quando carezzo i miei bambini e me li vedo intorno sani e prosperi, ho uno stringimento al cuore pensando a tanti bimbi straziati nel corpo e nell’anima per mancanza di cure e di assistenza. Se tutte noi donne, più che volgere in questo momento il pensiero a questioni astratte, portando il contributo della nostra esperienza, estendessimo fuori delle nostre case un po’ dell’assistenza materna, quale magnifico contributo daremmo alla società, assicurando una infanzia forte, fisicamente preparata alle lotte della vita!
Chi più adatto della donna, della madre, per studiare le questioni relative all’infanzia?
O non ci affidano incondizionatamente gli uomini nelle pareti domestiche i loro figli: e perchè si allarmano se osiamo chiedere di dare ai bambini in genere un po’ delle nostre cure, del nostro amore?
Lottiamo, se è necessario, per portare il nostro contributo intellettuale alla soluzione di problemi, da cui deriva la prosperità della nostra nazione; ma prepariamoci religiosamente.
Troppo scarsa è risultata la preparazione femminile in questo grave periodo della vita italiana! Le cose buone che ci è riescito di fare ce le ha dettate il cuore: ma quando è stato necessario qualche movimento che presupponesse una organizzazione precisa, abbiamo dovuto constatare manchevolezze infinite.
Che cosa abbiamo saputo fare per limitare i consumi? per arginare il lusso nei vestiti? per frenare la voluttà di divertirsi? per ottenere dalle donne un reale contributo all’assistenza civile? Abbiamo saputo umiliare col nostro contegno quei giovani che si sono sottratti vilmente al loro dovere verso il paese? Abbiamo saputo dimostrare il nostro disprezzo agli imboscati, uomini o fisicamente deboli, o moralmente vigliacchi?
Eppure, malgrado le deficienze della nostra organizzazione, per la prima volta in mia vita la questione del voto alla donna mi appare in tutta la sua interezza. Perchè le donne chiedono di votare? perchè il voto è una forza di cui è disonesto privarle ora che lottano e soffrono come e più degli uomini.
Molte di noi adesso lavorano nelle officine, moltissime sono le insegnanti, molte le impiegate nei pubblici uffici: per queste specialmente il non esercitare il diritto del voto costituisce una vera inferiorità. Che la donna perda la sua femminilità partecipando alla vita politica non si dica più. Finché la donna non aveva sofferto, non aveva lavorato, non aveva lottato, non poteva sentire imponente il bisogno di partecipare ai diritti civili. Ma la guerra ci ha formato una nuova coscienza. E il giorno in cui abbiamo mandato i nostri figli e combattere, preparati, educati da noi mamme al sacrifizio, temprati alla vita; abbiamo sentito profondamente l’ingiustizia di non essere noi pure accanto agli uomini, a discutere le necessità della guerra. Senza dubbio la massa femminile deve essere educata per meritare questo privilegio. Noi non vorremmo avere il voto con il sentimento con cui fu concesso il suffragio universale. Noi vogliamo averlo meritato e vogliamo portare il contributo di lavoro e di esperienza al bene collettivo.
Che la donna non sia adatta alla funzione non si dica più! Quante volte abbiamo sentito uomini politici compiacersi di dovere la loro elezione all’opera femminile! Ma dobbiamo dunque sempre agire a traverso le nostre meno nobili tendenze, il vezzo e l’intrigo?
Non appare più degno, più nobile all’uomo aver la donna francamente al suo fianco e impegnare insieme la lotta per eleggersi il proprio deputato, quegli cioè che deve difendere i diritti collettivi e portare alla Camera l’eco dei bisogni e delle necessità del collegio lontano?
Dopo che sarà elettrice, vorrà divenir deputato: questa è la terribile minaccia che pesa sul capo degli uomini! Sarà, credetelo, una piccola minoranza: ma la minoranza aspirante alla politica militante sarà sempre la minoranza eletta di donne che hanno lavorato, hanno sofferto come forse molti uomini non hanno, prima di chiedere l’onore di entrare in Parlamento. E siate larghi di simpatia verso questa minoranza, ancora allo stato d’ipotesi!
Quali nuovi orizzonti ci ha dischiusi la guerra! Il contatto con il mondo esterno, la pratica quotidiana del dolore e della miseria ci han tolto molte illusioni, ma ci han dato pure nuove visioni di bontà e di amore. Non so se abbiamo saputo sempre portare conforto e aiuto ai miseri che son ricorsi a noi: so però che molto abbiamo imparato da essi. E il dovere di partecipare al dolore collettivo deve essere come una religione nuova per le nostre famiglie. La donna non potrà più placidamente rinchiudersi nella sua casa, intenta solo al benessere del marito e dei figli, senza utilizzare alcune delle sue attitudini a vantaggio di altre case, di altri figliuoli, privi fatalmente di assistenza e di aiuto.
Nel momento presente devono partecipare concordemente uomo e donna. Tutto ciò che il cuore della donna è spinto a desiderare, l’intelletto maschile deve essere contemporaneamente spinto a compiere.
La società si avvantaggerà di questa vera fratellanza. Più che diritti da rivendicare vi sono attitudini da sviluppare. Non bisogna considerare come lotta quello che deve essere uno sforzo di elevazione. Io sogno una società in cui uomo e donna, uniti dallo stesso ideale, aspiranti alla stessa meta, faranno la via insieme, scegliendo ciascuno il cammino più adatto.
L’Italia ora c’impone lagrime, lavoro e sacrifizio. Nel nome d’Italia, lavoriamo alla nostra evoluzione perchè si vada davvero verso un avvenire luminoso di verità e di libertà.
Roma, aprile 1918.