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della larghezza dei capi, sono entrate, senza cognizioni e senza preparazione, a far parte del personale avventizio di ministeri e pubbliche amministrazioni.

E abbiamo avuto il dolore di sentire comentare aspramente vari inconvenienti verificatisi dal contatto di ragazze con gli impiegati, facendo assurgere questo fatto a un vero e sicuro elemento negativo per l’ammissione delle donne nei pubblici uffici.

A chi spetta la responsabilità? non credo di sbagliare affermando che spetti unicamente ai direttori di aziende che fecero le nomine. Con quali criteri le fecero? su quali referenze assunsero le impiegate? chiesero conto della moralità delle ragazze prima di esporle al cimento della vita in comune?

È davvero triste veder considerato dall’uomo il lavoro della donna come un elemento corruttore della sua moralità. Pare quasi, in molte occasioni, che si tratti di materia deperibile di niuna importanza: e si assumono impiegate senza un giusto criterio di valutazione, senza nessun rispetto della dignità femminile. E, pareggiando tutte alla stessa stregua, si spiega l’avversione di molti ad elevare la impiegata d’ordine a impiegata di concetto, anche quando in molte amministrazioni gli uffici di concetto sieno in realtà affidati alle donne.

Le ragazze dovrebbero affezionarsi al lavoro degli archivi, delle biblioteche; allo studio delle scienze naturali, delle lettere. Quelle che hanno la fortuna di conseguire una laurea in legge non si spaventino se per ora sia vietato l’esercizio dell’avvocatura. Finché le laureate in legge saranno poche, la questione parrà di lusso: allorché saranno in molte il loro diritto sarà riconosciuto senza difficoltà. Qualsiasi questione femminile deve infiltrarsi lentamente come tutte le grandi questioni sociali.