Giambi ed epodi/Libro I/Nel vigesimo anniversario dell'8 agosto 1848
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IV.
NEL VIGESIMO ANNIVERSARIO
dell’viii agosto mdcccxlviii
Ma non cosí, quando superbo apriva
L’ali e ne’ raggi di vittoria adorno
Almo rise d’Italia in ogni riva
4Il tuo gran giorno,
Ma non così sperai, Bologna, il canto
Recar votivo a l’urna de’ tuoi forti,
Oggi insegna la Musa iroso il pianto.
8Fremono i morti
Abbandonati a’ retici dirupi,
Il verde Mincio flebile risponde;
E lunghe ne gl’issèi pelaghi cupi
12Rimiugghian l’onde,
Se per l’azzurro ciel la gialla insegna
Passa a gl’itali zefiri ventando
E lieto lo stranier da poppa segna
16Il sen nefando.
Ahi, come punto da mortifer angue,
Ahi, di veleno il cor ferve e ribolle!
Fumate ancor d’invendicato sangue,
20Romane zolle!
O forti di Bologna, a voi la fuga
De’ nemici irraggiava il guardo estinto;
E, mentre posa ed il sudor s’asciuga,
24— Abbiamo vinto —
Disse, chinato sopra il sen trafitto
Del compagno, il compagno. A le parole
Pallido ei rise, e su i cúbiti ritto
28Salutò il sole
Occidente e l’Italia. E la mattina
Lo stranier, come lupo arduo che agogna,
Ululato avea su da la collina:
32— Odi, o Bologna.
Le mie vittorïose aquile io voglio
Piantar dove moriva il tuo Zamboni
A i tre color pensando; e vo’ l’orgoglio
36De’ tuoi garzoni
Pestar sí come il piè de’ miei cavalli
Pesta il fien de’ tuoi campi. A Dio gradito,
Empier di San Petronio io vo’ gli stalli
40Del lor nitrito.
Vo’ il tuo vin pe’ miei prodi ed i sorrisi
De le donne: a la mia staffa prostrati
Ne la polvere io vo’ gli antichi visi
44De’ tuoi magnati.
Odi, Bologna. Stride ampia la rossa
Ala del foco su’ miei passi: l’ira
Porto e il ferro ed il sal di Barbarossa:
48Sermide mira. —
Lo stranier cosí disse. Ed un umíle
Dolor prostrò per l’alte case il gramo
Cuor de’ magnati. Ma la plebe vile
52Gridò: Moriamo.
E tra ’l fuoco e tra ’l fumo e le faville
E ’l grandinar de la rovente scaglia
Ti gittasti feroce in mezzo a i mille,
56Santa canaglia.1
Chi pari a te, se ne le piazze antiche
De’ tuoi padri guerreggi? Al tuo furore,
Sí come solchi di mature spiche
60Al mietitore,
Cedon le file: e via per l’aria accesa
La furia del rintocco ulula forte
Contro i tamburi e in vetta d’ogni chiesa
64Canta la morte.
Da gli odi fiamma d’olocausti santi,
Da i vapori del sangue alito pio
Sale: o martire plebe, a te davanti
68Folgora Dio.
Ecco, su’ corpi de’ mal noti eroi
Erge la patria i suoi color festiva;
Ed i vecchi e le donne e i figli tuoi
72Gridano, Viva.
Il tuo sangue a la patria oggi: a la legge
Il sangue e il pan domani. E pur non fai
Tu leggi, o plebe, e, diredato gregge,
76Patria non hai.
Ma quei che a te niegan la patria, quelli
Che per sangue e sudor ti danno oltraggio,
Ne’ giorni del conflitto orridi e belli,
80Quando al gran raggio
De l’estate si muore e incontro al rombo
De’ cannoni le picche ondanti vanno
E co’ le pietre si risponde al piombo,
84Ove, ove stanno?
Oh qui non le tediose alme trastulla
De’ giuochi la vicenda e de le dame!
La santa Libertà non è fanciulla
88Da poco rame;
Marchesa ella non è che in danza scocchi
Da’ tondeggianti membri agil diletto,
Il cui busto offre il seno ed offron gli occhi
92Tremuli il letto:
Dura virago ell’ è, dure domanda
Di perigli e d’amor pruove famose:
In mezzo al sangue de la sua ghirlanda
96Crescon le rose.
Dormono ancora i fior dolce fiammanti
Ne’ bocci verdi; ma il soave e puro
April verrà. D’agosto ombre aspettanti,
100Per voi lo giuro.
Note
- ↑ [p. 529 modifica]Anche questo verso può parere una rimembranza dei due bellissimi di A. Barbier (La curée),
La grande populace et la sainte canaille
Se ruaient à l’immortalité;
ma il fatto è ch’egli ha un’origine più umile; me lo suggerí un deputato del Parlamento italiano, quando dello sciopero politico bolognese nel marzo del 1868 disse non essere popolo ma canaglia che tirava sassi. Al Barbier debbo il movimento della strofe 23, Marchesa ella non è ecc.; al Barbier che scrisse, pur nella Curée,
C’est que la Liberté n’est pas une comtesse
Du noble faubourg Saint-Germain,
Une femme qu’un cri fait tomber en faiblesse,
Qui met du blanc et du carmin.