Atto IV

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Atto III Atto V

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ATTO IV

SCENA I

Fulvia, Samia serva.

Fulvia. Samia! o Samia!

Samia. Madoonna!

Fulvia. Vien giú presto.

Samia. Io veengo.

Fulvia. Muoviti, trista ti faccia Dio! Muoviti!

Samia. Eccomi: che vuoi?

Fulvia. Va’ via or ora, truova Ruffo dello spirito e digli che venga a me subito subito.

Samia. Vo sii pel velo.

Fulvia. Che velo? Bestia! Tira via cosi; vola.

Samia. Che diavol vuol dir tanta rabbia? E’ mi par che l’abbia il dimonio in corpo. E pur Lidio doverria avergliene cavato.

Fulvia. Oh fraudolenti spiriti! oh sciocche umane menti!

oh ingannata e infelice Fulvia, che, non pur te sola offeso hai, ma ancora chi piú che te stessa ami! Misera a me, che ho quel che cercai e trovato quel che non volea! onde, se lo spirito remedio non ci pone, de uccidermi sono disposta; perché manco amara è una voluntaria morte che una angosciosa vita. Ma ecco Ruffo. Presto saperrò se sperar o disperar mi debbo. Nissuno appare. Meglio è parlarli qui perché, in casa, le panche, le sedie, le casse, le finestre stimo che abbino li orecchi. [p. 62 modifica]

SCENA II

Ruffo negromante, Fulvia.

Ruffo. Che c’è, madonna?

Fulvia. Le lacrime mie, assai piú che le parole, mostrar ti possono la passion ch’io sento.

Ruffo. Parla: che cosa è questa? Fulvia, non pianger. Madonna, che hai?

Fulvia. Io non so, Ruffo, se o della ignoranzia mia o de l’inganno vostro doler mi devo.

Ruffo. Ah madonna! Che è quel che tu di’?

Fulvia. O il cielo o il peccato mio o la malignitá dello spirito che stato si sia, non so; ma, una volta, voi avete, oimè! di maschio in femina converso Lidio mio. Tutto l’ho maneggiato e tócco; né altro del solito ritrovo che la presenzia in lui. Ed io non tanto la privazion del mio diletto piango quanto el danno suo: che, per me, privo si trova di quel che piú si brama. Or hai la cagion di queste lacrime e per te comprender puoi quel che io da te vorrei.

Ruffo. Se, Fulvia, il pianto, che mal finger si può, testimonio di ciò non mi facessi, a gran pena ti crederrei. Ma, stimando che vero sia, penso che di te sola doler ti puoi perché io mi ricordo che tu domandasti Lidio in forma di donna. Penso ora che lo spirito, per piú compiutamente servirti, e nel sesso e ne l’abito di donna ha mandato a te lo amante tuo. Ma poni fine al dolor tuo perché chi femina l’ha fatto ancor maschio può rifarlo.

Fulvia. Tutta consolar mi sento, parendomi che il fatto passato sia come tu di’. Ma, se tu Lidio mio intero mi rendi, li denari, la robba e ciò che io ho fia tuo.

Ruffo. Or che so lo spirito esser ben volto verso te, ti dico chiaramente che lo amante tuo tornerá maschio subito. Ma, per piú non equivocare, di’ chiaro quel che vuoi. [p. 63 modifica]

Fulvia. La prima cosa, che se li renda il coltel della guaina mia, intendi?

Ruffo. Benissimo.

Fulvia. E che in abito, non in sesso da donna torni a me.

Ruffo. Se cosí staman parlavi, non seguiva questo errore:

del quale ho però piacere perché tu cognosca quanta sia la potenzia del mio spirto.

Fulvia. Tra’ mi presto di questa angoscia; che, s’io noi vedo, non posso rallegrarmi.

Ruffo. Non solo il vedrai, ma con mano il toccherai.

Fulvia. E tornerá oggi da me?

Ruffo. Sono ornai venti ore e poco teco star potria.

Fulvia. Non mi curo dello stare, pur ch’io veda che maschio sia.

Ruffo. E come può non bere chi assetato si trova al fonte?

Fulvia. Verrá, dunque, oggi?

Ruffo. Lo spirto tei fará venire subito, se vuole. Statti, dunque, avvertente in su l’uscio.

Fulvia. Non bisogna questo, perché, venendo da donna, in presenzia d’ognuno può mostrarsi; perché non è chi per maschio il conosca.

Ruffo. Basta.

Fulvia. Ruffo mio, vivi lieto, che mai piú povero sarai.

Ruffo. E tu non piú scontenta.

Fulvia. E quanto posso aspettarlo?

Ruffo. Subito che sarò in casa.

Fulvia. Ti manderò drieto Samia perché tu me avvisi quel che te ne dice lo spirito.

Ruffo. Fa’ tu. E ricordati che anche lo amante si presenti spesso.

Fulvia. Oh! oh! Non curare, che ara denari e gioie a iosa.

Ruffo. Resta in pace. Con gran ragione Amor si dipinge cieco perché chi ama mai il ver non vede. Costei è per amor accecata si ch’ella s’avvisa che uno spirito possa fare una persona femina e maschio a posta sua: come se altro fare non bisognasse che tagliare la radice de l’uomo e farvi un fesso, [p. 64 modifica]e cosí formare una donna; e ricucire la bocca da basso e appiccare un bischero, e cosí fare un maschio. Oh! oh! oh! amatoria credulitá! Oh! oh! Ecco Lidio e Fannio giá spogliati.

SCENA III

Ruffo negromante, Lidio femina, Fannio servo.

Ruffo. Vorrei che voi fusse ancor vestiti da donne.

Lidio feminá. Perché?

Ruffo. Per tornare da lei. Ah! ah!

Fannio. Di che cosí sconciamente ridi?

Ruffo. Ah! ah! ah! ah!

Lidio femina. Di’ sii: che hai?

Ruffo. Ah! ah! ah! Fulvia, credendo che lo spirito abbi converso Lidio in femina, supplica che or maschio ti rifaccia e che te rimandi da lei.

Lidio femina. Be’, che gli hai promisso?

Ruffo. Che tutto subito si fará.

Fannio. Bene hai fatto.

Ruffo. Quando vi tornerai?

Lidio femina. Non so.

Ruffo. Tu rispondi freddo. Non vuoi tornarvi?

Fannio. Si fará, si.

Ruffo. Cosí si faccia, perché io gli ho detto, per parte dello spirito, ch’ella spesso ti presenti; e promisso m’ha di farlo.

Fannio. Vi torneremo. Non temere.

Ruffo. E quando?

Fannio. Intesa certa nostra faccenda, ci rivestiremo e vi anderemo subito.

Ruffo. Non mancar, Lidio. Sin di qua mi par vedere la sua serva su l’uscio. Non voglio che con voi mi veda. Addio. Ma oh! oh! oh! Fannio, odi all’orecchio. Fa’ che il barbafiorito usi or con Fulvia il pestello, non il mortaro, intendi?

Fannio. Cosí fará. Va’ via. [p. 65 modifica]

SCENA IV

Fannio servo, Lidio femina, Samia serva.

Fannio. Samia esce di casa. Tirati in qua sin che passi.

Lidio femina. Da sé parla.

Fannio. Taci e ascolta.

Samia. Or va’ impacciati con spirti, va’ ! che t’hanno ben concio Lidio tuo.

Fannio. Di te parla.

Samia. L’han fatto femina e ora lo vogliono far maschio. Oggi è il di delle tribulazioni sue e delle fatiche mie. E pur, se lo faranno, anderá bene tutto. E presto il saperrò, perché la mi manda ad intenderlo dal negromante; e all’amante prepara di dare di buon denari, come la intende che abbia rifatta quella novella.

Fannio. Hai tu udito de’ denari?

Lidio femina. Ho.

Fannio. Or prepariamoci a tornarvi.

Lidio femina. Certo, Fannio, tu se’ fuor di te. Tu promesso hai a Ruffo che noi ci torneremo; e non so come vuoi che vada questo fatto.

Fannio. Perché?

Lidio femina. Me ne domandi? Scempio! come se tu non sapessi ch’io son femina!

Fannio. E poi?

Lidio femina. E poi, dice! Mò non sai tu, sciocco, che, s’io fo prova dime, paleso quel ch’io sono, me stessa offendo, Ruffo perde il credito ed essa scornata resta? Come vuoi che si faccia?

Fannio. Come, ah?

Lidio femina. Come, si.

Fannio. Ove omini sono modi sono.

Lidio femina. Ma dove non sono se non donne, come saremo ella ed io, non vi sará giá il modo. [p. 66 modifica]

Fannio. Tu sei sul burlare, si?

Lidio femina. Su le berte sei tu. Io parlo da maladetto senno.

Fannio. Quando promissi che tu vi torneresti, a tutto avevo io ben pensato.

Lidio femina. Or di’: che?

Fannio. Non me hai tu detto che in camera scura stesti con lei?

Lidio femina. Si.

Fannio. E sol con le mani teco parlava?

Lidio femina. Vero.

Fannio. Be’, io verrò teco, come dianzi.

Lidio femina. Oh! oh! oh! a far che?

Fannio. Ascolta. Per serva.

Lidio femina. Mei so.

Fannio. Vestita come tu.

Lidio femina. E poi?

Fannio. Quando seco in camera sarai, fingi avermi a dire qualche cosa e fuor di camera vieni. Tu resterai di fuori in loco mio, nota, ed io in tuo scambio entrerò in camera: ove essa, sanza barba trovandomi, al buio non discernerá chi si sia, o tu o io. E cosí crederrá che tu maschio ritornato sia; allo spirito si giungerá credito; i denari verranno a iosa; ed io con lei arò quel piacere.

Lidio femina. Ti do la fede mia, Fannio, ch’io non udii mai cosa con maggior astuzia pensata.

Fannio. Adunque, io non errai a dire a Ruffo che noi vi torneremo.

Lidio femina. Non certo. Ma, intanto, saria pur bene intendere quel che a casa nostra si fa di questo mio parentado.

Fannio. Questo è uno procacciar doglia e ’l proposito nostro è fuggire la conclusione.

Lidio femina. Lo allungare non leva via la cosa. A quel saremo domane che oggi semo.

Fannio. Chi sa? Chi scappa d’un punto ne schifa cento. L’andar da Fulvia può giovare; nuocer no.

Lidio femina. Io son contenta. Ma va’ prima presto a casa, [p. 67 modifica]per amor mio, e da Tiresia intendi quello che vi si fa. Torna presto; e subito anderemo da Fulvia.

Fannio. Ben di’. Cosí farò.

SCENA V

Lidio femina sola.

Oh infelice sesso feminile, che, non pur alle opere, ma ancora ai pensieri sottoposto sei! Dovendo femina mostrarmi, non sol far ma pensar cosa non so che riuscir mi possa. Dch misera me! Che debb’io fare? Dovunche io mi volto, dalle angosce tanto circundata mi trovo che loco non vedo onde salvar mi possa. Ma ecco di qua la serva di Fulvia che con uno parla. Discosterommi fin che passa.

SCENA VI

Fessenio servo, Samia serva.

Fessenio. In fine, che guai son questi? Di’ su.

Samia. Naffe! Il demonio c’è intrato.

Fessenio. Come?

Samia. Il negromante ha Lidio converso in donna.

Fessenio. Ah! ah! ah! ah!

Samia. Tu te ne ridi?

Fessenio. Si, io.

Samia. Egli è ’l vangelo.

Fessenio. Eh! ch! ch! che séte matte!

Samia. Tu mi pari una bestia. Cosí è, se tu vuoi o se tu non vuoi. Fulvia l’ha tócco tutto e trovatolo femina; e del solito non gli è rimasto se non la presenzia.

Fessenio. Ah! ah! E come fará, adunque?

Samia. Tu noi credi e però non tei vo’ dire.

Fessenio. Si, fo, per questa croce. Di’ pur: come si fará ora?

Samia. Lo spirito lo rifará maschio. Vengo dal negromante che m’ha data questa polizza ch’io la porti a Fulvia. [p. 68 modifica]

Fessenio. Lassamela leggere.

Samia. Oimè! non fare, che forse te ne avverria qualche male.

Fessenio. S’io dovesse cascar morto, vedere la voglio.

Samia. Guarda, Fessenio, quel che fai. Le son cose da demoni.

Fessenio. Non mi dá noia. Mostra pur qua.

Samia. Non far, dico. Segnati prima, Fessenio.

Fessenio. Dch! da’ qua.

Samia. Si; ma vedi che in ciò sia tu piú muto che un pesce perché, se mai si risapesse, trist’a noi!

Fessenio. Noi pensare. Da’ qua.

Samia. Leggi forte, che intenda anch’io.

Fessenio. «Ruffo a Fulvia salute. Lo spirito sapeva che d maschio era fatto femina Lidio tuo. Meco ne ha riso assai. Ti medesima cagion fusti del suo danno e del tuo dispiacere; sta’ sicura che allo amante tuo rimetterá presto il ramo...».

Samia. Che dice di ramo?

Fessenio. Che riará la coda, ha’ lo inteso? «...e a te subito ne verrá. E piú dice che egli arde di te tanto piú che prima che altri che te piú non ama, piú non stima, piú non conosce piú non ha in memoria. Di ciò non parlare perché gran scan dolo ne seguiria. Mandali denari spesso; e cosí allo spirito, pei farlo a te grato e a me felice. Vivi lieta e di me te ricorda che fidelmente ti servo».

Samia. Or vedi s’egli è ’l vero che gli spiriti possino e sappin tutto?

Fessenio. Io resto il piú stupefatto omo del mondo.

Samia. Voglio portar presto questa buona nuova a Fulvia Fessenio. Vatti con Dio. Oh potenzia del cielo! Debbo io però credere che Lidio, per forza de incanti, sia converso in femina e che non amerá né conoscerá se non Fulvia? Altro che ’l cielo noi potria fare. E pur costei dice che Fulvia lo ha tócco con mano. Intendo vedere questo miraculo prima che maschio ridiventi; e poi adorare questo negromante, se cosí trovo. Per questa strada di qua a Lidio me ne vo; che in casa forse sará.