Atto V

../Atto IV ../Note IncludiIntestazione 4 maggio 2017 25% Da definire

Atto IV Note

[p. 69 modifica]

ATTO V

SCENA I

Samia serva, Lidio femina, Lidio maschio.

Samia. Bene è vero che la donna è sopra la pecunia come il sole sopra il ghiaccio; che, del continuo, lo strugge e consuma. Non prima lesse Fulvia la polizza del negromante che la mi dette questa borsa de ducati perché io a Lidio suo li porti. E vedilo punto lá. Guarda se l’amica tua, o Lidio, fa il dovere. Non odi, Lidio? Che aspetti? Piglia, o Lidio.

Lidio femina. Eccomi.

Lidio maschio. Da’ qua.

Samia. Uh! uh! trista me! Aveva preso un granchio. Perdonami, messer. Volevo costui, non te. Addio tu. Tu ascolta.

Lidio femina. El granchio pigli tu ora. Parla a me. Licenzia lui.

Samia. El vero di’ tu. La smemorata! Erravo io. Va’ sano. Tu vieni a me.

Lidio maschio. Che «va’ sano»? Voltati a me.

Samia. Oh! oh! oh! A te, si. Costui voglio, non te. Tu odi. Tu addio.

Lidio femina. Che «addio»? Non di’ tu a me? Non son Lidio, io?

Samia. Madesi. Desso sei tu; tu no. Te cerco io; tu va’ al camin tuo.

Lidio maschio. Sei fuor di te. Guardami ben. Non son quello, io?

Samia. Oh! oh! oh! Pur ti conobbi. Tu Lidio sei. Te voglio; te no. Tu sta’ discosto; tu piglia. [p. 70 modifica]

Lidio femina. Che «piglia»? Balorda! Son io; non lui.

Samia. Cosí è. Erravo io. Tu hai ragione; tu il torto. Tu va’ in pace; tu togli.

Lidio maschio. Che fai tu, bestia? Par che vogli dargli a lui; e sai che son nostri.

Lidio femina. Che «nostri»? Lassali a me.

Lidio maschio. Anzi, a me.

Lidio femina. Che a te? Lidio son io; non tu.

Lidio maschio. Dagli qua.

Lidio femina. Che «qua» ? Dagli pur a me.

Samia. Oh! oh! Per forza non voglio giá me li toglia alcuno di voi per ciò che io griderrei ad alta voce. Ma state saldi. Lassatemi ben vedere chi di voi è Lidio. Oh Dio! oh miraculosa maraviglia! Non è alcuno si simile a se stesso né la neve alla neve né l’uovo a l’uovo come è l’uno all’altro di costoro: tal che non so discernere chi di voi Lidio si sia; perché tu Lidio mi pari e tu Lidio pari, tu Lidio sei e tu Lidio sei. Ma io or ben la ritroverrò. Ditemi: è alcuno di voi innamorato?

Lidio maschio. Si.

Lidio femina. Si.

Samia. Chi?

Lidio maschio. Io.

Lidio femina. Io.

Samia. Onde vengon questi denari?.

Lidio maschio. Da lei.

Lidio femina. Da l’amorosa.

Samia. Oh fortuna! Ancor non son chiara. Ditemi: chi è l’amorosa?

Lidio maschio. Fulvia.

Lidio femina. Fulvia.

Samia. Chi è il suo caro amante?

Lidio maschio. Io.

Lidio femina. Io.

Lidio maschio. Chi? tu?

Lidio femina. Io, si. [p. 71 modifica]

Lidio maschio. Anzi, io.

Samia. Uh! uh! uh! In malora! Mò che cosa è questa?

Saldi! Qual Fulvia dite voi?

Lidio maschio. La moglie di Calandro.

Lidio femina. La padrona tua.

Samia. Tutt’una! Certo, o io sono impazzata o costoro hanno il demonio adosso. Ma aspettate. Or la rinvengo. Ditemi: con che abito andaste da lei?

Lidio maschio. Da donna.

Lidio femina. Da fanciulla.

Samia. Oh cosa ridicula e dispettosa! Ma oh! oh! a questo la ritruovo. In che tempo ha ella voluto lo amante suo?

Lidio maschio. Di di.

Lidio femina. Di mezzo giorno.

Samia. El fistolo de l’inferno non la rinverrebbe. Certo, questa è una trama diabolica cosí condotta da quello spirito maladetto. Meglio è che io, con li denari, a Fulvia me ne ritorni; e diegli poi essa a chi piú gli piace. Sapete voi com’ell’è? Io non so a chi di voi darmegli. Fulvia ben conoscerá il vero suo amante. Però chi di voi quello è a lei se ne venga e da lei li ara. Restate in pace.

Lidio maschio. Non mi vedo nello specchio si simile a me stesso com’è colui simile al volto mio. A bell’agio saprò chi egli è. E perché queste venture non vengono ogni di e Fulvia intanto potria pentirsi, in fede mia, meglio è che io, come soglio, spacciatamente da lei ritorni; che quelli denari non sono pochi. Si: farò, a fé.

Lidio femina. Or questo è lo amante per cui io son tolta in scambio. Che domin indugia tanto a tornar Fannio? Se qui or fussi, come esso disegnò, torneremmo a Fulvia e forse ci beccheremmo sii quei denari: benché al fatto mio pensar bisogna. [p. 72 modifica]

SCENA II

Fessenio servo, Lidio femina, Fannio servo.

Fessenio. Né per via né in casa ho trovato Lidio.

Lidio femina. Or che debbo fare?

Fessenio. Sin che non mi chiarisco se vero è che femina fatto sia, non sará ben di me. Ma oh! oh! oh! È e’ quello? Non è. Si, è. Non è desso. È, si! Molto fantastico parmi.

Lidio femina. Ahi fortuna!

Fessenio. Da sé parla.

Lidio femina. In che laberinto mi trovo io!

Fessenio. Che cosa fia?

Lidio femina. Devo io cosí subito rovinare?

Fessenio. Oimè! che ruina fia?

Lidio femina. Per esser troppo amato...

Fessenio. Che vuol dir questo?

Lidio femina. ...devo io questo abito lassare?

Fessenio. Aimè! Trama fia. E la voce sua parmi abbia preso assai del feminile.

Lidio femina. ...e di questa libertá privarmi?

Fessenio. Sará pur vero.

Lidio femina. Or sarò io per femina conosciuto e non piú maschio tenuto?

Fessenio. Cascato è ne l’orcio il topo.

Lidio femina. Or da vero Santilla, e non piú Lidio, mi chiamerò.

Fessenio. Misero me! che la cosa è pur vera.

Lidio femina. Sia maladetta la mia mala sorte che morir non mi lassò il di che Modon fu preso.

Fessenio. Oh cieli avversi! come può questo farsi? Se da lui sentito non l’avessi, mai creduto non l’arei. Lassameli parlare. O Lidio!

Lidio femina. Chi è quella bestia?

Fessenio. Sará pur vero anco questo, che Lidio non conosca [p. 73 modifica]se non Fulvia sua? Bestia chiami me, eh? Come se tu non mi conoscessi!

Lidio femina. Non ti conobbi mai né di conoscerti mi curo.

Fessenio. Adunque, tu non conosci il servo tuo?

Lidio femina. Tu mio servo?

Fessenio. Se per tuo non mi vuoi, sarò d’altri.

Lidio femina. Va’ in pace, va’; che col vin parlar non intendo.

Fessenio. Col vino non parli tu giá; parlo io bene con la smemorataggine. Ma non ti nasconder da me, che li accidenti tuoi so io bene come te.

Lidio femina. Che accidenti son li miei?

Fessenio. Per forza di negromanzia se’ diventato femina.

Lidio femina. Io femina?

Fessenio. Femina, si.

Lidio femina. Male il sai.

Fessenio. Però chiarir me ne voglio.

Lidio femina. Ah poltroni che vuoi tu fare?

Fessenio. So che io lo vederò.

Lidio femina. Ahi sciagurato! A questo modo, ah?

Fessenio. Con man lo toccherò, se me amazzassi.

Lidio femina. Ah prusuntuoso! Sta’ discosto. O Fannio! o Fannio! A tempo arrivi; corri qua.

Fannio. Che cosa è questa?

Lidio femina. Questo reo omo dice ch’io son femina; e a mio dispetto vuol cercarmi.

Fannio. Che audacia a far ciò ti muove?

Fessenio. Che pazzia induce te a metterti tra ’l padron • mio e me?

Fannio. Questo è tuo padrone?

Fessenio. Mio, si. Perché?

Fannio. Buono uomo, tu pigli errore. So che né tu a lui servo né egli a te padrone fu mai. A me, si, bene egli ed io sempre a lui.

Fessenio. Né tu a costui servo né tu a lui padrone fusti giá mai. Io, si, ben tuo servo; tu, si, bene mio padrone. Io sol il vero dico; voi amendue mentite. [p. 74 modifica]

Lidio femina. Maraviglia non è che tu arrogantemente parli, se anche prosuntuosamente operi.

Fessenio. Maraviglia non è che tu ignorantemente mi dismentichi, se anche smemoratamente te stesso non conosci.

Fannio. Parlali dolcemente.

Lidio femina. Io me stesso non conosco?

Fessenio. Messer... volsi dir, madonna, non. Se tu te riconoscessi, me ancor conosceresti.

Lidio femina. Io ben mi conosco. Chi tu te sia non ritruovo giá.

Fessenio. Di’, piú correttamente, che tu hai trovato altri e perso te stesso.

Lidio femina. E chi ho io trovato?

Fessenio. Tua sorella Santilla, che ora è in te, sendo tu femina. Hai perso te stesso, perché non sei piú maschio, non sei piú Lidio.

Lidio femina. Qual Lidio?

Fessenio. Oh poveretto, che nulla ti ricorda! Dch! padrone, non ti soviene egli essere Lidio da Modon, figliuolo di Demetrio, fratello di Santilla, discipul di Polinico, padrone di Fessenio, innamorato di Fulvia?

Lidio femina. Nota, Fannio, nota. Fulvia mi è ben ne l’animo e nella memoria.

Fessenio. Mi sapeva bene che sol di Fulvia ti ricorderesti. D’altro no, in modo affatturato sei!

SCENA III

Lidio maschio, Fessenio, Lidio femina, Fannio.

Lidio maschio. Fessenio! o Fessenio!

Fessenio. Che donna è quella che a sé m’accenna? Aspetta, tu, che a te torno ora.

Lidio femina. Fannio, se io sapessi che mio fratel vivo fusse, di speranza non sperata sarei or piena; perché vederei lui essere quello per cui costui me ha còlto in scambio. [p. 75 modifica]

Fannio. Tu non sai anche lui essere morto.

Lidio femina. Non giá.

Fannio. Però certo è che Lidio nostro è quel che e’ ci dice; e che è vivo; e che è qua. E quasi quasi mi par raffigurar costui esser Fessenio.

Lidio femina. Oh Dio! Tutto il core, per nuova tenerezza e letizia, mancar mi sento.

Fessenio. Ancor non son ben chiaro se sei tu Lidio o pur quella. Lassa che io meglio ti riguardi.

Lidio maschio. Saresti tu mai imbriaco?

Fessenio. Sei desso, si; e sei anche maschio.

Lidio maschio. Io voglio, or ora, andar lá dove sai.

Fessenio. Orsú! Vanne a Fulvia, va’, mercatante di campagna; che darai olio e piglierai denari.

Lidio femina. Or be’: che di’ tu?

Fessenio. Se cosa fatto o detto t’ho che dispiaciutati sia, perdonami; che or m’accorgo che per il padron mio ti presi s in scambio.

Lidio femina. Chi è il padron tuo?

Fessenio. Un Lidio da Modon, tanto a te simile che pensai te esser lui.

Lidio femina. Fannio mio, uh! uh! uh! La cosa è chiara. Come è il nome tuo?

Fessenio. Fessenio, al vostro piacere.

Lidio femina. Felici semo: non c’è piú dubbio. Oh Fessenio. mio caro! mio caro Fessenio! mio sei tu.

Fessenio. Che tante carezze? No, no. Per tuo mi vorresti, ah? Se io dissi dianzi esser tuo, mentivo per la gola: né io tuo servo sono né tu mio padron sei. Io altro padrone ho; tu altro servo ti procaccia.

Lidio femina. Tu mio sei ed io tua sono.

Fannio. Dch, il mio Fessenio!

Fessenio. Che voglion dire tanti abbracciamenti? Oh! oh! oh! Trama c’è sotto.

Fannio. Andianne qua da parte, che tutto ti diremo. Questa a è Santilla sorella di Lidio tuo padrone. [p. 76 modifica]

Fessenio. Santilla nostra?

Fannio. Piano. Essa è. Io son Fannio.

Fessenio. Oh Fannio mio!

Fannio. Non far qui dimostrazion, per buon rispetto. Fermo e cheto!

SCENA IV

Samia, Fessenio, Lidio femina, Fannio.

Samia. Oimè ! uh! uh! uh! trista me! Oh povera padrona mia, che, in un tratto, svergognata e ruinata sei!

Fessenio. Ch’hai tu, Samia?

Samia. Oh sventurata Fulvia!

Fessenio. Che cosa è questa?

Samia. O Fessenio mio, minati semo.

Fessenio. Che c’è? di’ su.

Samia. Pessime nuove.

Fessenio. Che?

Samia. Li fratelli di Calandro hanno trovato Lidio tuo con Fulvia e mandato per Calandro e per li fratelli di lei, che venghino a casa per svergognarla; e forse poi uccideranno Lidio.

Fessenio. Oimè! Che cosa è questa? Oh sventurato padron mio! Lo hanno preso?

Samia. Non giá.

Fessenio. Perché non si è fuggito?

Samia. Perché Fulvia pensa, prima che Calandro e li fratelli di lei si trovino ed a casa arrivino, che il negromante lo faccia di nuovo femina; e cosí levar la vergogna a sé e il periculo a Lidio. Ove che, se esso fuggendo si salvasse, Fulvia vituperata resteria. Però, volando, mi manda al negromante per questo conto. Addio.

Fessenio. Odi. Fermati un poco. In che luogo di casa è Lidio?

Samia. Egli e Fulvia nella camera terrena.

Fessenio. Non ha, dirieto, la finestra bassa?

Samia. Potria, per li, andarsene a posta sua. [p. 77 modifica]

Fessenio. Non per questo ne domando io. Dimmi: sará, ora, chi impedisca ad alcuno lo ire lá drento a detta camera?

Samia. Quasi nissuno. Tutti son corsi, al rumore, all’uscio della camera.

Fessenio. Samia, questa cosa del negromante è pazzia. Se brami salvare la padrona, torna a casa e, con buon modo, leva de l’andito, se alcuno per sorte vi fusse.

Samia. Farò quel che di’; ma guarda che la cosa non se ruini affatto.

Fessenio. Non temer. Va’ via.

Lidio femina. Eimè! Fessenio mio, voglia il cielo che, in uno stante, ritrovato e riperduto mio fratello non abbia e che, ad un tempo, renduta la vita e data la morte non mi sia.

Fessenio. Qui non bisogna lamenti; il caso ricerca che il rimedio sia non men presto che savio. Nissun ci vede. Piglia i panni di Fannio e i tuoi dá’a lui. Su! presto!... Oh! cosi!... Piglia questo. Metti su... Cosí stai ben troppo. Non dubitare: meco ne vieni. Tu, Fannio, aspetta. A te, Santilla, mostrerò quanto a far hai.

Fannio. In che travaglio ha posto la fortuna il caso di questi due, fratello e sorella! Sará oggi il maggior affanno o la maggior letizia che avessin mai, secondo che la cosa se butterá. Ben fece il cielo l’uno e l’altra simili, non pur di apparenzia, ma ancor di fortuna. Sono amendue in loco che forza è che uno abbia quel bene e quel male che ara l’altro. Sin che il fine non vedo, né allegrar né attristar mi posso; né timor certo né certa speranza in cor mi siede. Or piaccia al cielo che la cosa quel fin si riduca che Lidio e Santilla di tanto travaglio e periculo eschino. Io, aspettando quel che avvenir di questo fatto deve, qua da parte mi ritirerò soletto.

SCENA V

Lidio maschio solo.

D’un gran periculo uscito sono; e, a gran pena, io medesimo non so come. Io ero, si può dir, prigione e di Fulvia e di me piangeva l’infelice sorte quando ecco uno, menato da [p. 78 modifica]Fessenio, salta in camera dalla finestra di dreto. E subito vestissi de’ panni miei e me dei suoi. E fuor me ne ha mandato Fessenio, senza che persona mi abbia visto, dicendomi: — Tutto è acconcio benissimo; sta’ contento. — In modo che da un grandissimo dolore mi trovo in grandissima contentezza. Fessenio, cosi dalla finestra, rimase a parlare con Fulvia. Bene è che io mi stia cosi, qui intorno, per vedere a quel che si riduce la cosa. Ed oh! oh! oh! Ben va. Lieta comparsa è Fulvia su l’uscio.

SCENA VI

Fulvia sola.

Travaglio è certo stato per me in questo giorno; ma ringrazio il cielo che di tutti li accidenti felicemente uscita sono. E il fine del periculo presente mi porta incredibile iocunditá; perché, non pur ha salvato l’onore a me e la vita a Lidio, ma sará cagione che con lui potrò essere piú spesso e piú facilmente. Chi ora è di me piú lieto non deve esser mortale.

SCENA VII

Calandro.

E vi meno perché vediate l’onore che l’ha fatto a voi e a me. E, poi che l’arò tutta pesta, menatela a casa il diavolo, perché non voglio in casa questa vergogna. Guardate se ella è bene sfacciata! che la sta su l’uscio, come la fusse la buona e la bella.

SCENA VIII

Calandro, Fulvia.

Calandro. Tu sei qui, malvagia femina? ed hai animo di aspettarmici, sappiendo che m’hai fatte le corna? Non so come io mi tenga che io non ti tragga la vita del corpo. Ma prima [p. 79 modifica]voglio uccidere, a’ tua occhi veggenti, colui che tu hai in camera, ribalda! E poi, con le mie mani, a te cavar gli occhi della testa.

Fulvia. Oimè, marito mio! Mò che cosa è quella che te muove a fare me rea femina, che non sono, e te crudele omo, ove fin qui non fusti mai?

Calandro. Oh svergognata! Ancor hai ardir di parlare? Come se noi non sapessimo che in camera hai, vestito da donna, lo amante tuo!

Fulvia. Fratelli miei, costui cerca che vi faccia palese quel che io ho sempre ascoso: cioè la pazienzia mia e li oltraggi che, tuttodí, mi fa questo fastidioso; che non è moglie si fedele né peggio trattata come sono io. E che non si vergogna dire che io li metto le corna!

Calandro. Si, che gli è il vero, trista femina! E ora voglio mostrarlo a’ tuoi fratelli.

Fulvia. Intrate e vedete chi io ho in camera e come questo fiero bacarozzo l’ucciderá. Su! venite.

SCENA IX

Lidio maschio solo.

Fessenio mio disse la cosa esser acconcia; ma non ne vedo segno e con sospetto ne sto. Colui, con chi Fessenio i panni scambiar mi fece, non conobbi. Fessenio fuor non viene. Calandro, Fulvia minacciando, è intrato in casa. Egli è matto furioso e forse le fará villania. Ma, se romor in casa sento, al corpo di me, ch’i’ salterò drento e difenderò lei o per lei morirò. Amante non sia chi coraggioso non è.

SCENA X

Fannio servo, Lidio maschio.

Fannio. Vedi lá Lidio o, vogliam dir, Santilla. Non ha fatto niente. Riscambiamo. Togli li tuoi; rendemi li panni miei.

Lidio maschio. Che scambiamenti di’ tu? [p. 80 modifica]

Fannio. Si poco è che scambiare Fessenio ce li fece che pur ricordar te ne dèi. Da’ qua questi e piglia li tuoi.

Lidio maschio. Mi ricordo, si, averli scambiati; ma questi non son giá quelli ch’io detti a te.

Fannio. Tu non mi pari in te. Mò crederrestú mai che io ne avessi fatto mercanzia?

Lidio maschio. Non mi dare impaccio. Ecco Fessenio.

SCENA XI

Fessenio servo solo.

Oh! oh! oh! bella cosa! Credevon mò, sotto abito di donna, trovare un garzone che con Fulvia si sollazzassi; e volevano uccidere lui e vituperar lei. Ma, trovato che è una fanciulla, tutti si sono rasserenati, tenendo Fulvia la piú pudica donna del mondo. Ed ella con onore ed io con estrema letizia resto. Santina, da loro licenziata, tutta contenta fuor ne viene. Vedi anche lá Lidio.

SCENA XII

Santilla, Fessenio servo, Lidio, Fannio servo.

Santilla. Eh! Fessenio, dov’è mio fratello?

Fessenio. Vedilo lá, ancor con li panni che tu li desti. Andiamo a lui. Lidio, conosci tu costei?

Lidio. Non certo. Dimmi chi ella è.

Fessenio. Quella che, in tuo loco, con Fulvia rimase; quella che tanto hai cercato.

Lidio. Chi?

Fessenio. Santilla tua.

Lidio. Mia sorella?

Santilla. Tua sorella sono; e tu mio fratel sei.

Lidio. Tu sei Santilla mia? Or ti conosco: dessa sei. Oh sorella cara, da me tanto desiderata e cerca! Or son contento; [p. 81 modifica]or ho adempiuto il desiderio mio; or piú affanno avere non posso.

Santilla. Deh, fratel dulcissimo! Io pur te vedo e sento. A pena creder posso che tu desso sia, vivo trovandoti ove io per morto lunga stagion te ho pianto. Or tanto maggior letizia mi porta la salute tua quanto io manco la aspettavo.

Lidio. E tu, sorella, tanto piú cara mi sei quanto io, per te, oggi salvato mi trovo: ove che, se tu non eri, forse ucciso stato sarei.

Santilla. Ora aranno fine li suspiri e li pianti miei. Questo è Fannio, servo nostro, che sempre fidelmente servito mi ha.

Lidio. Oh! oh! oh! Fannio mio, ben di te mi ricordo. Avendo tu servito a una, te hai due persone obligato; e certo di noi ben contento ti terrai.

Fannio. Maggior contento aver non posso che vivo e con Santilla vederti.

Santilla. Che cosí fisso guardi, Fessenio caro?

Fessenio. Che non vidi mai omo ad omo simile come è l’uno all’altro di voi. Ed or vedo la cagione per che seguiti son oggi tanti begli scambiamenti.

Santilla. Vero di’.

Lidio. Belli son certo; e piú che non sapete voi.

Fessenio. Di ciò a bell’agio parleremo. Attendasi oggi a quel che piú importa. Dissi lá drento a Fulvia questa esser Santilla tua sorella: di che ella si mostrò oltra modo contenta; e conchiusemi al tutto volere che sia moglie a Flaminio suo figliuolo.

Santilla. Or mi fai chiara perché ella, lá in camera, teneramente baciandomi, disse cosí a me: — Chi di noi piú contento sia non so. Lidio ha trovata la sorella; io la figliuola; e tu il marito.

Lidio. La cosa può tenersi per fatta.

Fannio. Un’altra ce n’è, forse miglior che questa.

Lidio. Quale?

Fannio. Come dice Fessenio, tanto simili séte di persona che non è chi non ci abbi a restare ingannato. [p. 82 modifica]

Santilla. So quel che vuoi dire: che Lidio, da noi instrutto, in loco mio entri e pigli per moglie la figliuola di Perillo la qual voglian dare a me.

Lidio. Ed è chiaro, questo?

Santilla. Piú chiaro che ’l sole; piú vero che ’l vero.

Lidio. Oh felici noi! Vedi che pure, doppo gran pioggia, viene bellissimo sereno. Staremo meglio che a Modon.

Fessenio. Tanto meglio quanto Italia è piú degna della Grecia, quanto Roma è piú nobil che Modon e quanto vaglion piú due ricchezze che una. E tutti trionferemo.

Lidio. Orsú! Andiamo a fare il tutto.

Fessenio. Spettatori, le nozze si faran domane. Chi veder le vuole non si parta. Chi ’l disagio dell’aspettare fuggir cerca a sua posta se ne vada. Qui, per ora, altro a far non se ha. Valete et plaudite.