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atto quarto | 67 |
per amor mio, e da Tiresia intendi quello che vi si fa. Torna presto; e subito anderemo da Fulvia.
Fannio. Ben di’. Cosí farò.
SCENA V
Lidio femina sola.
Oh infelice sesso feminile, che, non pur alle opere, ma ancora ai pensieri sottoposto sei! Dovendo femina mostrarmi, non sol far ma pensar cosa non so che riuscir mi possa. Dch misera me! Che debb’io fare? Dovunche io mi volto, dalle angosce tanto circundata mi trovo che loco non vedo onde salvar mi possa. Ma ecco di qua la serva di Fulvia che con uno parla. Discosterommi fin che passa.
SCENA VI
Fessenio servo, Samia serva.
Fessenio. In fine, che guai son questi? Di’ su.
Samia. Naffe! Il demonio c’è intrato.
Fessenio. Come?
Samia. Il negromante ha Lidio converso in donna.
Fessenio. Ah! ah! ah! ah!
Samia. Tu te ne ridi?
Fessenio. Si, io.
Samia. Egli è ’l vangelo.
Fessenio. Eh! ch! ch! che séte matte!
Samia. Tu mi pari una bestia. Cosí è, se tu vuoi o se tu non vuoi. Fulvia l’ha tócco tutto e trovatolo femina; e del solito non gli è rimasto se non la presenzia.
Fessenio. Ah! ah! E come fará, adunque?
Samia. Tu noi credi e però non tei vo’ dire.
Fessenio. Si, fo, per questa croce. Di’ pur: come si fará ora?
Samia. Lo spirito lo rifará maschio. Vengo dal negromante che m’ha data questa polizza ch’io la porti a Fulvia.