L'insegnamento politico-amministrativo/I
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I.
Il programma delle nostre facoltà di giurisprudenza, determinato dalla legge del 13 novembre 1859, e solo ritoccato dappoi in qualche punto non essenziale, è realmente assai vasto; e come quadro fisso, per una scuola di diritto, esso può dirsi completo.
Certo, esso è tale da poter gareggiare con quello di altri paesi, e uscirne anche con vantaggio. Nessun paragone, per es., quanto a larghezza di linee e varietà di materie, con quello per lo addietro sì angusto, ed oggi ancora, dopo le recentissime addizioni, non del tutto perfetto, delle facoltà di diritto della Francia.
Abbiamo un insegnamento giuridico in tutta la sua integrità, e con buona parte di que’ sussidî storici, filosofici, positivi, che valgono ad illustrarne gli istituti e a fecondarne i criterî e le applicazioni: — Diritto privato e pubblico in tutte le sue partizioni; due cattedre di diritto classico; una di storia del diritto, destinata principalmente (giusta il concetto che ha finito per trionfare) a svolgere il diritto intermedio, riempiendo la vasta lacuna che s’interpone tra il diritto romano e i moderni codici; abbiamo oltre a ciò una filosofia del diritto; e accanto alla economia politica, della quale abbiamo in ogni occasione mostrato di saper apprezzare la dignità e il valore, è venuta da ultimo a prendere il posto, che le era naturalmente dovuto, anche la statistica.
Il quadro, dico, è abbastanza completo ed armonico nelle varie sue parti; però io non intendo parlare se non del quadro fisso, fondamentale; e bisogna poi pensare anche ad una specie di quadro mobile, destinato a seguire lo svolgimento delle varie discipline, a divisarne competentemente le parti, gli aspetti, le applicazioni.
Ed è in tale riguardo, per es., che non ammette comparazione veruna la Germania, dove ad un quadro fisso apparentemente assai limitato, o che anco non esiste del tutto, risponde poi per ogni guisa, e stante altresì l’intreccio organico delle diverse facoltà, un quadro mobile di meravigliosa potenza e varietà.
Noi invece siamo ancora scarsi, scarsi molto per tale rispetto, malgrado che abbiamo pure procurato di accostarci in vari punti a quegli ordinamenti scolastici; ond’è che a quanto colà si opera per atto spontaneo e poderoso impulso di scienza, è d’uopo che fra noi supplisca in qualche grado il concorso e l’opera ausiliatrice dello Stato.
Non tocca a me l’indagare se quest’opera potrebbe utilmente applicarsi in altre e diverse direzioni, e mi riduco a considerare quella sola che risponde più specialmente all’assunto del mio presente discorso.
Il programma nostro, diceva, è largo e completo nelle essenziali sue linee per una scuola di diritto; ma non so se potrebbesi affermare altrettanto, ove alle nostre facoltà di giurisprudenza (e non considerando che i loro corsi di obbligo, colle proporzioni ad essi assegnate) si chiedesse di essere ad una volta anche una scuola di pubblica amministrazione, od una facoltà politico-amministrativa, come meglio piacesse dire.
Vi è per tale riguardo qualche deficienza, come d’altra parte vi si potrebbe ravvisare una qualche ridondanza; vi è inoltre un carattere, un indirizzo generale, che risponde naturalmente a ciò che si considera come lo scopo primario, se non l’unico, dell’insegnamento che impartono; e che quanto acconcio per l’un ufficio, potrebbe non esserlo egualmente, o in egual grado, anche per l’altro.
A Padova, altre volte, la facoltà portava il nome di giuridico-politica, e s’intendeva dovesse bastare al duplice intento. — Ora, non badando che al quadro delle materie, l’insegnamento politico-amministrativo vi andava rappresentato in modo alquanto più largo e specificato che non A nelle facoltà nostre. Fra insegnamenti d’obbligo e liberi (comuni i primi, a libera scelta i secondi, giusta la vocazione ed il gusto dei singoli alunni), e salva la mancanza del diritto costituzionale che ben si comprende, si avevano due corsi per la legislazione amministrativa e finanziaria; altri due per la scienza dell’amministrazione e delle finanze (quest’ultima come seconda parte della cattedra di economia politica); due corsi distinti di statistica, ed una cattedra di contabilità amministrativa e di Stato.
Noi, di rincontro, a parte l’economia politica, ed oggi la statistica (non ancora ammessa all’esame), avevamo, ed avremmo tuttavia senza i nuovi insegnamenti complementari, un corso unico di diritto amministrativo, il quale, per la ingente materia che s’intenderebbe dover comprendere (l’intera legislazione politica e finanziaria), e la scarsità dell’orario che gli può essere assegnato, si trova di necessità alquanto in angustia, e non potrebbe in tale riguardo rappresentare se non un corso, come dicesi, di istituzioni.
Il diritto, fra i suoi corsi ausiliari, ne ha uno di medicina legale, o forense; l’amministrazione, dal canto suo, profitterebbe di un corso d’igiene, o sanità pubblica; e questo pure lo si aveva a Padova ed a Pavia, Le due materie unite darebbero quella che in qualche luogo si chiamava la medicina pubblica, nel suo insieme completo.
Di ricambio, una facoltà che sia completa per il diritto, potrebbe presentare delle ridondanze, allorchè si volesse deciderne dal punto speciale di vista dell’amministrazione; la quale può anche passarsi di uno studio profondo del diritto antico e dei procedimenti forensi.
Tutto ciò viene ad assumere un’importanza anco maggiore, allorchè si guardi non soltanto alla qualità e materia dell’insegnamento, ma altresì, come accennava, all’indirizzo e allo spirito.
Dappertutto le facoltà di giurisprudenza sono sorte, in origine, come scuole proprie di diritto (ed anzi in prima di diritto privato), e quale preparazione alle carriere forensi, attesa altresì la grande autorità dell’antica giurisprudenza classica, e poi anche della canonica; dappoichè lo Stato stesso, nel suo primo e più urgente concetto, si presenta quale tutore e vindice del diritto, e non è che più tardi e man mano che esso s’intima, in forma politico-economica, quale rappresentante del comune interesse, e trova come tale un riscontro scientifico in quella nuova disciplina che è l’economia politica. E questo loro carattere è poi rimasto, per ragioni scientifiche e pratiche, più o meno il dominante, se non anche addirittura l’esclusivo.
Così è spiccatamente in Francia, che pure è il paese classico del diritto amministrativo, e quello per eccellenza dell’amministrazione, anche in eccesso; ma dove, per esempio, l’economia politica, malgrado la lunga ressa, non è riuscita ad assidersi alle facoltà di diritto se non dopo il 1864 a Parigi, e appena in questi ultimi cinque anni altrove; assai meno in Austria, dove i due intenti, il giuridico e il politico-amministrativo, hanno mostrato di presto associarsi in sufficiente misura; così parrebbe essere, in notevol grado, anche fra noi, chi volesse arguirlo dal nome che piacque adottare per le nostre facoltà, che diciamo di giurisprudenza.
Vi furono a ciò, come diceva, delle ragioni scientifiche e pratiche; e ve ne sono tuttavia. Giacche m’importa notare, o signori, che il diritto, per il grandeggiare di altri rapporti e lo svolgersi di altri studî nel campo politico e sociale, non è punto destinato a scemare d’importanza, ma anzi a guadagnarne in via assoluta ognor più. — Ne cresce la materia, se ne affinano gli ordini; il senso se ne fa più squisito; diviene più esigente e gelosa in ogni sua forma l’autonomia individuale, la quale riconosce la sua naturale tutela nell’ordine giudiziario. Ogni ufficio, ogni competenza, anche puramente economica, ovvero politica, dello Stato, viene a prodursi in forma necessariamente giuridica, ossia come una potestà che lo Stato ha diritto di far valere. Al governo, all’amministrazione tutta quanta, riscontra per la parte formale quello che per ciò stesso si chiama il diritto pubblico, il diritto di Stato; e (ripeto) nessun dubbio, che il diritto in generale non debba contare ogni giorno di più.
Ma d’altra parte gli è vero, e si sa, che nei rapporti e negli ordini della vita sociale il diritto non è il tutto, non è la sostanza del tutto; e, per esempio, nell’ordine scientifico, il diritto economico, ovvero il commerciale, non è ancora l’economia politica, e non potrebbe tenerne luogo; e tra le funzioni essenziali dello Stato, se il diritto riscontra esattamente, e da solo, a quella della giustizia, non potrebbesi dire che esso basti anche a quella dell’amministrazione.
Vogliate, ve ne prego, assentire che a tale proposito io qui ripeta qualche osservazione, la quale per me risale ad epoca già alquanto remota, e mettetela, ove ne fosse d’uopo, sotto la mia sola e personale responsabilità scientifica.
Non è dal solo punto di vista del diritto, che può desumersi la coltura necessaria per l’amministratore; e tra la funzione di lui e quella del giudice corrono delle differenze, le quali non possono a meno di riflettersi anche nella parte materiale e virtuale del corrispondente insegnamento.
Il giudice non è lui che agisce direttamente e per conto proprio, ossia della sua funzione; ma lascia che agiscano gli altri, ed egli si limita a dirimere i conflitti, a mantenere la posizione di diritto, a reprimere le violazioni. Egli non risponde che della legalità e giustizia delle sue decisioni secondo coscienza, e non mai delle conseguenze di utilità o danno che possono derivarne.
Nella sua stessa funzione, esso non procede se non provocato. La funzione del giudice è quindi essenzialmente passiva, repressiva, irresponsabile. Il suo punto proprio di vista è il contenzioso; a lui non deve competere in merito alcun arbitrio moderatore, alcuna latitudine discrezionale; o almeno è questo l’ideale a cui per esso si aspira, e il criterio regolatore a cui deve andar informata l’opera sua.
Invece l’amministratore deve agire per conto ed in virtù della sua stessa funzione, ossia dell’interesse pubblico che si trova a lui affidato; e non basta mica, generalmente parlando, che egli si tenga nei termini generali del diritto; bisogna altresì che egli operi ed operi utilmente. La legge, che lo riguarda, non è soltanto una norma che egli debba far rispettare da altri, ma una norma che deve ridurre ad atto egli stesso; ed è per ciò appunto che l’amministratore diviene sindacabile nell’opera sua.
La sua funzione è quindi essenzialmente attiva, preventiva, responsabile: — responsabilità giuridica, gerarchico-amministrativa, ovvero politica, a seconda dell’ufficio e dei caso di cui può trattarsi.
L’idea di un’amministrazione ordinata onninamente in forma giudiziaria, senza alcun ufficio preventivo, od anche per tutto il suo insieme (e salve le debite guarentigie), senza una certa larghezza discrezionale, in chi deve comunque dirigere od eseguire, è senz’altro un’utopia, se non anco addirittura un non senso.
La giustizia è come la medicina, che cura il male una volta prodotto; l’amministrazione risponde all’igiene, che tenta di prevenirlo, e deve in generale provvedere alle condizioni normali del vivere.
Tutto l’ordine giudiziario dall’una parte, e l’amministrativo dall’altra (costituzione, responsabilità, guarentigie), vanno orditi su questi concetti, ossia sull’essenza della rispettiva funzione; e non si può contendere che tutto ciò non debba venire per qualche guisa a riverberarsi anche nel carattere e nell’indirizzo della corrispondente istruzione.
Considerate un corso di diritto amministrativo, ed esso potrà riuscirvi sensibilmente diverso secondo lo scopo a cui lo vorrete rivolto; e può dirsi secondo che esso venga professato ad una scuola che abbia ad essere unicamente di diritto, ovvero ad una scuola speciale di amministrazione.
Pel giurista di professione il criterio è unicamente interpretativo, ed in vista dei possibili conflitti; nè egli ha bisogno di andare più in là. Per l’amministratore invece il criterio è essenzialmente esecutivo; ed anche all’infuori di quella coltura strettamente tecnica che può essere richiesta per la natura di certi uffici, egli ha d’uopo di tutto un corredo di cognizioni, di criterî, di nozioni di fatto, di tutta una istituzione economica e statistica, a fine di conformare praticamente alla legge, nel modo più utile, l’opera sua.
Io ritornerò bentosto su questo punto della coltura che può essere richiesta per l’amministratore, allo scopo di assegnare la parte di essa che può entrare nell’ambito naturale degli studi nostri; ma intanto si può ben ammettere che siavi alcunchè da pensare e da fare in servigio dell’insegnamento politico-amministrativo, in modo comunque coordinato al giuridico, e senza nulla disgradare dell’importanza e dignità di questo; e l’assunto è lungi dall’esser solo di questi tempi, o di trovarsi alla sua prima proposta o alla sua prima prova. - Esso ha già la sua storia.