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Il giudice non è lui che agisce direttamente e per conto proprio, ossia della sua funzione; ma lascia che agiscano gli altri, ed egli si limita a dirimere i conflitti, a mantenere la posizione di diritto, a reprimere le violazioni. Egli non risponde che della legalità e giustizia delle sue decisioni secondo coscienza, e non mai delle conseguenze di utilità o danno che possono derivarne.

Nella sua stessa funzione, esso non procede se non provocato. La funzione del giudice è quindi essenzialmente passiva, repressiva, irresponsabile. Il suo punto proprio di vista è il contenzioso; a lui non deve competere in merito alcun arbitrio moderatore, alcuna latitudine discrezionale; o almeno è questo l’ideale a cui per esso si aspira, e il criterio regolatore a cui deve andar informata l’opera sua.

Invece l’amministratore deve agire per conto ed in virtù della sua stessa funzione, ossia dell’interesse pubblico che si trova a lui affidato; e non basta mica, generalmente parlando, che egli si tenga nei termini generali del diritto; bisogna altresì che egli operi ed operi utilmente. La legge, che lo riguarda, non è soltanto una norma che egli debba far rispettare da altri, ma una norma che deve ridurre ad atto egli stesso; ed è per ciò appunto che l’amministratore diviene sindacabile nell’opera sua.

La sua funzione è quindi essenzialmente attiva, preventiva, responsabile: — responsabilità giuridica, gerarchico-amministrativa, ovvero politica, a seconda dell’ufficio e dei caso di cui può trattarsi.

L’idea di un’amministrazione ordinata onninamente in forma giudiziaria, senza alcun ufficio preventivo, od anche per tutto il suo insieme (e salve le debite guarentigie),