L'avaro fastoso/Atto I
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ATTO PRIMO.
SCENA PRIMA.
Il Conte di Casteldoro solo.
Finalmente ho deciso. Risoluto ho finalmente di maritarmi. Come! io maritarmi! io che ho sempre evitato le occasioni di spendere, io che ho sempre abborrito il commercio con donne! Eppure questa volta son forzato di arrendermi mio malgrado. L’ambizione mi ha condotto a comperare un titolo che mi onora. Se muoio senza posterità, il mio danaro è perduto, e se avrò dei figliuoli, l’avrò bene impiegato.... Ehi Frontino1.
SCENA II2.
.
Frontino ed il suddetto.
Frontino. Eccomi.
Conte. Ascolta.
Frontino. Signore, ho ritrovato un sarto, come mi avete ordinato. Un sarto famoso.
Conte. Verrà egli presto?
Frontino. Non tarderà molto. Mi ha detto che andava da un duca, e che dopo sarebbe qui venuto immediatamente. Fortuna che l’ho ritrovato in casa nel tempo ch’ei montava nella sua carrozza....
Conte. Nella sua carrozza? (con maraviglia
Frontino. Sì, signore.
Conte. Carrozza sua? Cavalli suoi?
Frontino. Sicuramente. Carrozza superba, e cavalli di prezzo.
Conte. Male, malissimo. È troppo ricco. Che riputazione ha costui?
Frontino. Mi hanno detto ch’è un sarto eccellente, che serve le prime case di Parigi.
Conte. Ma circa la probità?...
Frontino. Per questo poi, non saprei che dire... Ma caro signor padrone, perchè non vi servite del vostro sarto ordinario? Finalmente con lui...
Conte. Oibò, oibò, il mio sarto ordinario per i giorni de’ miei sponsali!3 Avrò bisogno di più vestiti; e come devono essere pomposi, magnifici, e fatti alla perfezione, se mi domandano di qual sarto m’avrò servito, vuoi tu ch’io nomini mastro Taccone, che non è conosciuto da chicchessia?
Frontino. Il signor padrone, per quel ch’io sento, è dunque prossimo a maritarsi.
Conte. L’affare è sì prossimo, che oggi si deve qui, in casa mia, sottoscrivere il mio contratto, e ti ho chiamato, e ho da parlarti precisamente per questo. Oggi, con questa occasione, avrò molte persone a pranzo, e vorrei una tavola... brillante... magnifica... atta, non dico a saziare l’indiscrezione e l’ingordigia de’ convitati, ma a dar nell’occhio, e sorprendere con un’aria di splendidezza... Tu intendi, tu capisci più ch’io non dico.
Frontino. Sì signore, capisco a poco presso la vostra intenzione; ma l’eseguirla non mi pare cosa facile. Converrà vedere se il cuoco...
Conte. No, Frontino mio, tu non devi dipendere dalle fantasie del cuoco. Tocca a te dirigerlo, e a farlo lavorare a tuo modo. Conosco la tua abilità, la tua intelligenza, il zelo che hai per gl’interessi del tuo padrone. Non vi è in tutto il mondo un uomo come Frontino. Tu farai de’ prodigi, tu ti sorpasserai in questa occasione.
Frontino. (Eccolo com’egli è per ordinario. Gran carezze quando) ha bisogno... e poi...). (da sé)
Conte. Ecco qui la lista di quegli che ho destinato invitare.
Mia sorella abita qui sopra; la mia sposa e sua madre sono alloggiate da mia sorella, per queste non occorre.... ecco i biglietti d’invito per il resto della compagnia. Noi saremo trenta persone in tutto. Spedisci subito a ciascheduno l'invito, e che tutti que’ che si trovano, diano positiva risposta perch’io possa, in caso di rifiuto, sostituire degli altri.
Frontino. Trenta persone! Sapete voi, signore, che un desinare per trenta persone...
Conte. Capisco benissimo. Ci vuol giudizio, e unire insieme, quanto si può, l’economia e la magnificenza.
Frontino. Per esempio, voi avete dato da cena l’altra sera a queste tre signore...
Conte. Sì, una piccola cena: ma oggi si tratta di far parlare di me.
Frontino. Eppure quella piccola cena voi avete trovato che costava....
Conte. Non perdere il tempo in parole inutili.
Frontino. Mi avete stracciato il conterello in faccia, e non me l’avete ancora...
Conte. Ecco mia sorella. Vattene.
Frontino. (Sono in un imbarazzo terribile. Oh, questa volta, signor Frontino, preparatevi, per ricompensa, d’esser mandato al diavolo). (da sé, e parte
SCENA III.
Il Conte e madama Dorimene.
Conte. Buon giorno, sorella amatissima. Come state di salute?
Dorimène. Benissimo. E voi?
Conte. Io? Ottimamente bene. Come un uomo fortunato e contento, vicino a possedere una sposa piena di merito e di qualità.
Dorimène. Vi siete dunque determinato in favore di madamigella Eleonora?
Conte, Così è, sorella mia dilettissima. Ella è vostra parente: voi me l’avete proposta: queste ragioni bastano per preferirla ad ogni altra.
Dorimène. Sì... (con tuono ironico) e centomila scudi di dote, ed altrettanto forse alla morte di sua madre....
Conte. Convenite meco, sorella, che queste condizioni non sono da disprezzarsi.
Dorimene. È vero, ma un uomo come voi...
Conte. Capisco quel che dir mi volete. Un uomo come me, avendo sagrificato una somma considerabile di danaro, per acquistare un titolo che mi onora, avrei dovuto cercare d’imparentarmi con una famiglia illustre: ci ho pensato moltissimo: ho combattuto per lungo tempo quest’inclinazione che mi ha sempre mai dominato: ma conosco i pregiudizi della nobiltà antica. Mi avrebbero fatto pagar troppo caro l’onore d’una pomposa alleanza.
Dorimène. Non è questo ch’io voleva dirvi....
Conte. Al fine, ho deciso. Sposerò la vezzosa Eleonora.
Dorimène. E se la vezzosa Eleonora non si sentisse disposta ad amarvi?
Conte. Sorella carissima, non credo di esser così contraffatto.
Dorimène. Voi meritate molto: ma non si possono forzare le inclinazioni.
Conte. Vi ha detto dunque Eleonora ch’ella non si sentiva alcuna inclinazione per me?
Dorimène. Non me lo ha detto precisamente; ma ho ragione di dubitarlo.
Conte. (Ciò mi piccherebbe ad un segno!...) (da sé, con isdegno)
Dorimene. Che! Vi adirate? Se voi prendete la cosa in cattiva parte
Conte. No: v’ingannate. Parlatemi francamente, sinceramente.
Dorimène. Voi sapete che a tenore delle confidenze che fatte mi avete, e dopo i discorsi che abbiamo tenuti insieme su questa famiglia, ho scritto a madama Araminta, e l’ho pregata di venir a passar qualche giorno a Parigi, unitamente a sua figlia.
Conte. Sì, è vero, e sono quindici giorni che sono qui in casa vostra alloggiate. Ciò deve cagionarvi dell’incommodo e della spesa, e come voi l’avete fatto unicamente per me so il mio dovere.... e... ve ne avrò una obbligazione perpetua.
Dorimène. Niente, niente, fratello mio. La spesa non è considerabile. L’incommodo non mi dà pena veruna. Io amo questa famiglia, congiunta di sangue col fu mio marito, e m’interesso moltissimo per tutto quello che la riguarda. Eleonora è la miglior fanciulla del mondo, e sua madre è una donna rispettabile al maggior segno, buona, economa, ma... che sa unire all’economia la più esatta, la condotta la più saggia e la più regolare.
Conte. Ottimamente bene. L’educazione di sua figliuola sarà eccellente. Ma si tratta ora di dirmi...
Dorimène. Sì, fratello mio, si tratta di dirvi che, a quel ch’io credo, Eleonora non vi ama ne punto ne poco.
Conte. Ma su qual fondamento avete voi stabilito un sì bizzarro sospetto?
Dorimène. Vi dirò. Quando si parla di voi, abbassa gli occhi, e non risponde parola.
Conte. Effetto di modestia, di verecondia.
Dorimène. Quando vi sente, o vi vede venire, ella cambia di colore, e trema, e vorrebbe nasconclersi.
Conte. A quell’età!.... Io non ci vedo niente di straordinario.
Dorimène. Se le si parla di questo matrimonio, ella si mette a piangere immediatamente.
Conte. Eh, sorella, le lagrime di una fanciulla... non vi è niente di più equivoco al mondo.
Dorimène. E malgrado tutto quello che vi può essere di equivoco e di dubbioso, osereste voi di sposarla?
Conte. Sicuramente. Senza alcuna difficoltà.
Dorimène. Sembra che voi l’amiate perdutamente.
Conte. L’amo.... all’eccesso.
Dorimène. Ma... se l’avete veduta due volte appena!
Conte. Credete che ciò non basti per un cuore sensibile come il mio?
Dorimene. Eh, fratello, ci conosciamo.
Conte. Voi avete una penetrazione un poco troppo sottile.
Dorimene. Non vorrei un giorno avermi a rimproverare...
Conte. Oh! ecco Frontino. (guardando verso la scena)
Dorimene. Se avete degli affari...
Conte. Volete andarvene? (con affettata amicizia)
Dorimene. Ci rivedremo. Vi prego solamente di riflettere un poco meglio a quel che vi ho detto, e prima di esporvi.
Conte. Coraggio, sorella amatissima. Oggi mi farete il piacere di venire a pranzo da me. Manderò ad invitare madama Araminta, e sua figlia. Avremo un buon numero di commensali. Farò venir il notaro, e dopo il pranzo, sottoscriveremo il contratto.
Dorimene. Oggi sottoscriverete il contratto?
Conte. Senza dubbio. Madama Araminta mi ha data la sua parola.
Dorimene. Me ne rallegro infinitamente, (con ironia) (No, non soffrirò mai che Eleonora si sagrifìchi per mia cagione... Cercherò di penetrare a fondo il cuore ed i sentimenti della fanciulla)4 (da sé, e parte)
SCENA IV5
Il Conte, poi Frontino.
Conte. Povera donna! ella diffida un poco troppo di me. Non mi crede capace di soggiogar un cuore ancor tenero, ancor novizio. E poi, mia sorella porta la delicatezza troppo lontano. Ne’ matrimoni di convenienza non si consulta il cuore, ma l'interesse delle famiglie. Ebbene, Frontino, hai qualche cosa da dirmi?
Frontino. Il sarto è arrivato, signore.
Conte. E dov’è?
Frontino. E ancora alla porta. Ha licenziato la sua carrozza, e dà degli ordini ai suoi servitori.
Conte. Ai suoi servitori?
Frontino. Sì, signore.
Conte. Ma, a proposito di servitori, è necessario che tu scriva immediatamente al mio fattor di campagna, affine ch’egli mi spedisca sei uomini, giovani, di buon aspetto, e de’ più grandi che trovar si possano nel feudo, o in que’ contorni, affine che il sarto possa loro prendere la misura degli abiti di livrea.
Frontino. E volete vestire sei paesani?...
Conte. Sì, per i giorni del mio matrimonio. Tu dirai al fattore che, per tutto il tempo che resteranno qui, passerò loro le loro giornate come alla campagna, che di più saranno alimentati. Tu conosci questa sorte di gente. Non li caricare di nutrimento.
Frontino. Oh! non temete, signore. Non moriranno di indigestione.
Conte. Tieni. Ecco le chiavi dell’argenteria. Fa in maniera che tutti i pezzi sieno esposti, che tutti sieno impiegati.
Frontino. Ma, signore, la vostra argenteria è sì antica e sì nera... converrebbe almeno farla ripulire.
Conte. L’argento è sempre argento.... Ma ecco il sarto, a quel che mi pare.
Frontino. E desso precisamente, (verso la scena) Entrate, signore, entrate.
SCENA V6
Il Sarto ed i suddetti.
Sarto. Servitore umilissimo di vossignoria illustrissima.
Conte. Venite, signor mastro. Io vi aspettava con impazienza. Vorrei quattro vestiti per me, e dodici livree per i miei staffieri.
Sarto. Avrò l’onor di servirvi, e spero che avrò il vantaggio di contentarvi.
Frontino. Signore, il mio padrone paga bene. (al sarto)
Sarto. Ho l’onor di conoscerlo. E chi è che non conosce l’illustrissimo signor conte di Casteldoro?
Conte. L’occasione esige tutta la pompa, tutta la magnificenza possibile.
Sarto. Le farò vedere delle stoffe d’oro, delle stoffe d’argento.
Conte. No, no, voglio di quelle stoffe che sembrano cuoi dorati. Voglio de’ vestiti nobili e ricchi, ma niente di luccicante nel fondo.
Sarto. Vuol ella degli abiti ricamati?
Conte. Per l’appunto; quattro vestiti ricamati, ma tutto quello che si può avere di miglior gusto riguardo alla ricchezza ed alla delicatezza del ricamo.
Frontino. (Diamine! non riconosco più il mio padrone), (da sé)
Sarto. Ricamo con lametta sicuramente.
Conte. Non signore. Voglio un punto di Spagna, largo, massiccio, ben lavorato. Del disegno, della ricchezza, ma niente di luccicante.
Sarto. La servirò come desidera. Vuol ella ch’io le prenda la misura?
Conte. Sì... ma con una condizione.
Sarto. Sentiamo la condizione.
Frontino. (Sentiamo). (a parte, con curiosità)
Conte. Voi farete attaccare il ricamo leggerissimamente per non guastarlo. Non vi saranno sugli abiti né bottoni, ne occhielli. Io porterò i miei quattro vestiti due sole volte per ciascheduno, e passati gli otto giorni, voi riprenderete i vostri ricami che saranno ancor nuovi, e che potrete rivendere come tali. Si tratta ora di dirmi quello ch’io dovrò darvi per il panno, per la fattura, e per l’uso che io avrò fatto degli ornamenti.
Frontino. (Ora riconosco il padrone). (a parte)
Conte. Vedremo poi, se per gli abiti di livrea...
Sarto. Signore, con sua permissione, avrei qualche cosa da dirle, ma in segreto.
Frontino. S’io non deggio esservi, me n’anderò. (al sarto, con movimento di collera
Conte. No, no, non temete. Frontino è antico di casa, e non v’è dubbio che parli. (al sarto) Frontino, Voi vedete, signore, che... (al sarto, con qualche vanità
Sarto. No, amico, (a Frontino) Non parlo per voi, ma... guardate se mai qualcuno venisse. (mette con cautela nelle mani di Frontino) uno scudo.
Frontino. (Uno scudo! mai più ho avuto tanto). (a parte
Sarto. Signore, comprendo dalla natura del vostro progetto che voi non siete naturalmente inclinato alla pompa, ma che saggio e prudente qual siete, volete far sagrifizio alla decenza, alla convenienza. Mi reputo fortunato di avere avuto l’onore di conoscervi. Io stimo e venero i cavalieri che pensano come voi, e rido di quelli che si rovinano, e ch’ io aiuto a rovinare colla moda e col fasto. Voi avete trovato in me il sol uomo che può convenirvi. Siate tranquillo. Avrò la maniera di soddisfarvi.
Conte. (Credo che sia costui l’uomo il più accorto, il più astuto....) (a parte) Ebbene, voi mi farete dunque i quattro vestiti... (al sarto
Sarto. Signore, vi domando perdono. La vostra idea non è praticabile. Sarei forzato di farvi pagare, mio malgrado, estremamente caro il ricamo; e la mia delicatezza non mi permette di farlo.
Conte. (La sua delicatezza! oh! avrà da far con me), (a parte
Sarto. Voglio confidarvi un segreto che ho custodito sempre gelosamente, e che apporterebbe del pregiudizio al mio credito e al mio decoro, se traspirasse nel pubblico. Tal che voi mi vedete, sarto della corte, sarto de’ principali signori di Parigi, io faccio andare in segreto, e sotto altri nomi, un commercio fioritissimo di rigattiere... Conte, Come! Un commercio di rigattiere! voi che avete carrozza?....
Sarto. Ebben, signore, questo commercio sordo, segreto, è quello appunto che mantiene la mia carrozza.
Frontino. Lo vedete, signor padrone? (al Conte) Voi avete da fare con un uomo sincero, con un galantuomo, che merita la vostra confidenza.
Conte. Sì, sì. Gliel’accorderò. (Se vi troverò il mio interesse), (a parte
Sarto. Vi farò vedere sessanta vestiti tutti magnifici, tutti nuovi, che non hanno servito che una volta, o due volte al più.
Conte. Ma saran conosciuti.
Sarto. Non vi è pericolo. Tutto cambia di faccia nel mio magazzino. E poi, sappiate ch’io spedisco nei paesi stranieri i vestiti di Francia, e faccio venire a Parigi i spogli più ricchi delle principali città dell’Europa. Voi vedrete delle stoffe rare, delle stoffe superbe. E peccato che non vogliate né oro, né argento.
Conte. Eh! vi dirò. Se vi è qualche cosa di bello e di raro. Toro e l’argento potrebbero convenirmi.
Frontino. Sì certamente. Se la lametta imbratta il pavimento, si spazza.
Conte. Ma, per il prezzo...
Sarto. Vedete, scegliete. Farò tutto quel che vorrete ho ritrovato precisamente quello che mi voleva). (a parte
Conte. Addio, mastro carissimo, ci rivedremo, (al sarto) Viva Parigi, (a parte) (Tutto si trova quando si sa ricercare), (parte
Frontino. Ditemi: avreste per avventura un giubberello per me? (al sarto
Sarto. Vi vestirò dalla testa ai piedi; ma conservatemi la vostra amicizia. (parte
Frontino. La mia amicizia! chi potrebbe negarglierla a questo prezzo? (parte7
Fine dell’Atto Primo.
- ↑ E superfluo avvertire come il Goldoni non traduca letteralmente dal manoscritto francese, ma rimaneggi con piena libertà il proprio testo.
- ↑ Anche la scena che segue non è tradotta, bensì rifatta a modo suo dall’autore.
- ↑ Nel testo ci sono due punti.
- ↑ In questa scena l’autore si serbò un po’ più fedele al manoscritto.
- ↑ Questa iceaa corrisponcle alle scene 4 e 3 del ms. francese e contiene molte aggiunte.
- ↑ E la scena 6 del ms., completamente rifatta.
- ↑ L’autore soppresse le scene 7 e 8 del ms. francese. Della 7 si giovò nelle aggiunte della scena 4.