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Conte, Così è, sorella mia dilettissima. Ella è vostra parente: voi me l’avete proposta: queste ragioni bastano per preferirla ad ogni altra.
Dorimène. Sì... (con tuono ironico) e centomila scudi di dote, ed altrettanto forse alla morte di sua madre....
Conte. Convenite meco, sorella, che queste condizioni non sono da disprezzarsi.
Dorimene. È vero, ma un uomo come voi...
Conte. Capisco quel che dir mi volete. Un uomo come me, avendo sagrificato una somma considerabile di danaro, per acquistare un titolo che mi onora, avrei dovuto cercare d’imparentarmi con una famiglia illustre: ci ho pensato moltissimo: ho combattuto per lungo tempo quest’inclinazione che mi ha sempre mai dominato: ma conosco i pregiudizi della nobiltà antica. Mi avrebbero fatto pagar troppo caro l’onore d’una pomposa alleanza.
Dorimène. Non è questo ch’io voleva dirvi....
Conte. Al fine, ho deciso. Sposerò la vezzosa Eleonora.
Dorimène. E se la vezzosa Eleonora non si sentisse disposta ad amarvi?
Conte. Sorella carissima, non credo di esser così contraffatto.
Dorimène. Voi meritate molto: ma non si possono forzare le inclinazioni.
Conte. Vi ha detto dunque Eleonora ch’ella non si sentiva alcuna inclinazione per me?
Dorimène. Non me lo ha detto precisamente; ma ho ragione di dubitarlo.
Conte. (Ciò mi piccherebbe ad un segno!...) (da sé, con isdegno)
Dorimene. Che! Vi adirate? Se voi prendete la cosa in cattiva parte
Conte. No: v’ingannate. Parlatemi francamente, sinceramente.
Dorimène. Voi sapete che a tenore delle confidenze che fatte mi avete, e dopo i discorsi che abbiamo tenuti insieme su questa famiglia, ho scritto a madama Araminta, e l’ho pregata di venir a passar qualche giorno a Parigi, unitamente a sua figlia.