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Sarto. Avrò l’onor di servirvi, e spero che avrò il vantaggio di contentarvi.

Frontino. Signore, il mio padrone paga bene. (al sarto)

Sarto. Ho l’onor di conoscerlo. E chi è che non conosce l’illustrissimo signor conte di Casteldoro?

Conte. L’occasione esige tutta la pompa, tutta la magnificenza possibile.

Sarto. Le farò vedere delle stoffe d’oro, delle stoffe d’argento.

Conte. No, no, voglio di quelle stoffe che sembrano cuoi dorati. Voglio de’ vestiti nobili e ricchi, ma niente di luccicante nel fondo.

Sarto. Vuol ella degli abiti ricamati?

Conte. Per l’appunto; quattro vestiti ricamati, ma tutto quello che si può avere di miglior gusto riguardo alla ricchezza ed alla delicatezza del ricamo.

Frontino. (Diamine! non riconosco più il mio padrone), (da sé)

Sarto. Ricamo con lametta sicuramente.

Conte. Non signore. Voglio un punto di Spagna, largo, massiccio, ben lavorato. Del disegno, della ricchezza, ma niente di luccicante.

Sarto. La servirò come desidera. Vuol ella ch’io le prenda la misura?

Conte. Sì... ma con una condizione.

Sarto. Sentiamo la condizione.

Frontino. (Sentiamo). (a parte, con curiosità)

Conte. Voi farete attaccare il ricamo leggerissimamente per non guastarlo. Non vi saranno sugli abiti né bottoni, ne occhielli. Io porterò i miei quattro vestiti due sole volte per ciascheduno, e passati gli otto giorni, voi riprenderete i vostri ricami che saranno ancor nuovi, e che potrete rivendere come tali. Si tratta ora di dirmi quello ch’io dovrò darvi per il panno, per la fattura, e per l’uso che io avrò fatto degli ornamenti.

Frontino. (Ora riconosco il padrone). (a parte)

Conte. Vedremo poi, se per gli abiti di livrea...

Sarto. Signore, con sua permissione, avrei qualche cosa da dirle, ma in segreto.