L'Asino (Machiavelli)/Capitolo ottavo

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Capitolo settimo
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CAPITOLO OTTAVO.


ALzò quel porco al giunger nostro il grifo,
     Tutto vergato d’immondizia, e loto,
     3Talchè mi venne nel guardarlo a schifo.
E perchè io fui già gran tempo suo noto,
     Ver me si mosse mostrandomi i denti,
     6Stando col resto fermo, e senza moto.
Ond’io gli dissi, pur con grati accenti:
     Dio ti dia miglior sorte, se ti pare;
     9Dio ti mantenga, se tu ti contenti.
Se meco ti piacesse ragionare,
     Mi sarà grato; e perchè sappia certo,
     12Pur che tu voglia, ti puoi soddisfare.
E per parlarti libero, ed aperto,
     Tel dico con licenza di costei,
     15Che mostro m’ha questo sentier deserto.
Cotanta grazia m’han fatto li Dei,
     Che non gli è parso il salvarmi fatica,
     18E trarmi degli affanni ove tu sei.
Vuole ancor da sua parte, ch’io ti dica
     Che ti libererà da tanto male,
     21Se tornar vuoi nella tua forma antica.
Levossi allora in piè dritto il cignale,
     Udendo quello, e fe’ questa risposta,
     24Tutto turbato, il fangoso animale:

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Non so d’onde tu venga, o di qual costa;
     Ma se per altro tu non sei venuto,
     27Che per trarmi di quì, vanne a tua posta.
Viver con voi io non voglio, e rifiuto:
     E veggo ben, che tu se’ in quello errore,
     30Che me più tempo ancor ebbe tenuto.
Tanto v’inganna il proprio vostro amore,
     Che altro ben non credete, che sia
     33Fuor dell’umana essenza, e del valore;
Ma se rivolgi a me la fantasia,
     Pria che tu parta dalla mia presenza,
     36Farò che ’n tale error mai più non stia.
Io mi vo’ cominciar dalla prudenza,
     Eccellente virtù, per la qual fanno
     39Gli uomin maggiore la loro eccellenza.
Questa san meglio usar color, che sanno
     Senz’altra disciplina per se stesso
     42Seguir lor bene, ed evitar lor danno.
Senza alcun dubbio io affermo, e confesso
     Esser superior la parte nostra,
     45Ed ancor tu nol negherai appresso.
Qual è quel precettor, che ci dimostra
     L’erba qual sia, o benigna o cattiva?
     48Non studio alcun, non l’ignoranza vostra.
Noi cangiam region di riva in riva,
     E lasciare un albergo non ci duole,
     51Purchè contento, e felice si viva.
L’un fugge il ghiaccio, e l’altro fugge il Sole,
     Seguendo il tempo al viver nostro amico,
     54Come natura che ne insegna, vuole.
Voi, infelici più che io non dico,
     Gite cercando quel paese, e questo,
     57Non per aere trovar freddo, od aprico,

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Ma perchè l’appetito disonesto
     dell’aver non vi tien l’animo fermo,
     60Nel viver parco, civile, e modesto;
E spesso in aere putrefatto, e infermo,
     Lasciando l’aere buon, vi trasferite;
     63Non che facciate al viver vostro schermo.
Noi l’aere sol, voi povertà fuggite,
     Cercando con pericoli ricchezza,
     66Che v’ha del bene oprar le vie impedite.
E se parlar vogliam della fortezza,
     Quanto la parte nostra sia prestante
     69Si vede, come ’l Sol per sua chiarezza.
Un toro, un fier leone, un leofante
     E infiniti di noi nel mondo sono,
     72A cui non può l’uom comparir davante.
E se dell’alma ragionare è buono,
     Vedrai de’ cuori invitti, e generosi
     75E forti esserci fatto maggior dono.
Tra noi son fatti, e gesti valorosi
     Senza sperar trionfo, o altra gloria,
     78Come già quei Roman, che fur famosi.
Vedesi nel leon gran vanagloria
     dell’opra generosa, e della trista
     81Volerne al tutto spegner la memoria.
Alcuna fera ancor tra noi s’è vista,
     Che, per fuggir del carcer le catene,
     84E gloria, e libertà morendo acquista;
E tal valor nel suo petto ritiene,
     Ch’avendo perso la sua libertate,
     87Di viver serva il suo cor non sostiene.
E se alla temperanza risguardate,
     Ancora e’ vi parrà che a questo gioco
     90Abbiam le parti vostre superate.

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In Vener noi spendiamo e breve, e poco
     Tempo; ma voi senza alcuna misura
     93Seguite quella in ogni tempo, e loco.
La nostra specie altro cibar non cura,
     Che il prodotto dal Ciel sanz’arte, e voi
     96Volete quel che non può far natura.
Nè vi contenta un sol cibo, qual noi;
     Ma, per me’ sodisfar l’ingorde voglie,
     99Gite per quelli infin ne’ Regni Eoi.
Non basta quel, che in terra si ricoglie,
     Che voi entrate all’Oceano in seno,
     102Per potervi saziar delle sue spoglie.
Il mio parlar mai non verrebbe meno,
     S’io volessi mostrar come infelici
     105Voi siete più ch’ogni animal terreno.
Noi a natura siam maggiori amici,
     E par, che in noi più sua virtù dispensi,
     108Facendo voi d’ogni suo ben mendici.
Se vuoi questo veder, pon mano a’ sensi,
     E sarai facilmente persuaso
     111Di quel, che forse pel contrario pensi.
L’aquila l’occhio, il can l’orecchio e ’l naso,
     E ’l gusto ancor possiam miglior mostrarvi,
     114Se il tatto a voi più proprio s’è rimaso;
Il qual v’è dato non per onorarvi,
     Ma sol perchè di Vener l’appetito
     117Dovesse maggior briga, e noja darvi.
Ogni animal tra noi nasce vestito,
     Che ’l difende dal freddo tempo, e crudo,
     120Sotto ogni Cielo, per qualunque lito.
Sol nasce l’uom d’ogni difesa ignudo,
     E non ha cuojo, spine o piume o vello,
     123Setole o scaglie, che li faccian scudo.

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Dal pianto il viver suo comincia quello
     Con tuon di voce dolorosa, e roca;
     126Tal ch’egli è miserabile a vedello.
Da poi crescendo la sua vita è poca
     Senz’alcun dubbio al paragon di quella,
     129Che vive un cervo, una cornacchia, un’oca.
Le man vi diè natura, e la favella,
     E con quelle anco ambizion vi dette,
     132E avarizia, che quel ben cancella.
A quante infermità vi sottomette
     Natura prima; e poi fortuna quanto
     135Ben senz’alcun effetto vi promette!
Vostr’è l’ambizion, lussuria, e ’l pianto,
     E l’avarizia, che genera scabbia
     138Nel viver vostro, che stimate tanto.
Nessun altro animal si trova, ch’abbia
     Più fragil vita, e di viver più voglia,
     141Più confuso timore, o maggior rabbia.
Non dà l’un porco all’altro porco doglia,
     L’un cervo all’altro; solamente l’uomo
     144L’altr’uom ammazza, crocifigge, e spoglia.
Pens’or come tu vuoi ch’io ritorni uomo,
     Sendo di tutte le miserie privo,
     147Ch’io sopportava mentre che fui uomo.
E se alcuno infra gli uomin ti par divo,
     Felice, e lieto, non gli creder molto;
     150Chè ’n questo fango più felice vivo,
Dove senza pensier mi bagno, e volto.