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DELL’ASINO D’ORO 411

Dal pianto il viver suo comincia quello
     Con tuon di voce dolorosa, e roca;
     126Tal ch’egli è miserabile a vedello.
Da poi crescendo la sua vita è poca
     Senz’alcun dubbio al paragon di quella,
     129Che vive un cervo, una cornacchia, un’oca.
Le man vi diè natura, e la favella,
     E con quelle anco ambizion vi dette,
     132E avarizia, che quel ben cancella.
A quante infermità vi sottomette
     Natura prima; e poi fortuna quanto
     135Ben senz’alcun effetto vi promette!
Vostr’è l’ambizion, lussuria, e ’l pianto,
     E l’avarizia, che genera scabbia
     138Nel viver vostro, che stimate tanto.
Nessun altro animal si trova, ch’abbia
     Più fragil vita, e di viver più voglia,
     141Più confuso timore, o maggior rabbia.
Non dà l’un porco all’altro porco doglia,
     L’un cervo all’altro; solamente l’uomo
     144L’altr’uom ammazza, crocifigge, e spoglia.
Pens’or come tu vuoi ch’io ritorni uomo,
     Sendo di tutte le miserie privo,
     147Ch’io sopportava mentre che fui uomo.
E se alcuno infra gli uomin ti par divo,
     Felice, e lieto, non gli creder molto;
     150Chè ’n questo fango più felice vivo,
Dove senza pensier mi bagno, e volto.