Italiani illustri/Renata duchessa di Ferrara

Renata duchessa di Ferrara

../Vittoria Colonna ../Indice IncludiIntestazione 17 gennaio 2023 100% Da definire

Vittoria Colonna Indice

[p. 627 modifica]


Luigia di Savoja, a ventidue anni rimasta vedova di Carlo d’Orleans duca d’Angoulême, si ritirò dalla Corte coi figli Margherita e Francesco, sintantochè quest’ultimo diventò re. Ella fu tacciata di avarizia, e d’aver lasciato perdere il Milanese coll’intascarsi il denaro destinato a pagare le truppe; amò d’amore il conestabile di Bourbon, famoso traditore; ma mostrò senno e imparzialità durante la prigionia del re dopo la battaglia di Pavia. Vergò un giornale dal 1501 al 1522, in cui i Protestanti pretesero trovar sentimenti conformi ai loro. Ma quali sono? La rassegnazione al volere di Dio, il crederlo autore d’ogni ben nostro, e altri che vanno comuni a tutti i Cristiani. In esso giornale al 1522 scriveva: — Mio figlio e me, per la Dio grazia, cominciamo a conoscere gli ipocriti, bianchi, neri, ombrati d’ogni colore, da’ quali Iddio, per la sua clemenza e bontà infinita, voglia preservarci e difenderci; che, se Gesù Cristo non mentisce, non v’è generazione più pericolosa per ogni conto».

Margherita, figlia di madre tutt’altro che rigorosa, moglie del duca d’Alençon, fiacco, ignorante, poi del re di Navarra, compose novelle che starebbero bene al Boccaccio. Dopo il 1521 ascoltò volentieri Jacobo Lefèvre, uno de’ primi in Francia a sostenere che bisognava ricorrere direttamente alla Bibbia e interpretarla a proprio senno. Margherita prese a leggerla, e poichè ella tanto poteva su tutta la politica di Francesco I, sperò trarlo coi Riformati; l’indusse a venire ascoltare i sermoni del Lefèvre, dai quali egli parve tocco non meno che Luigia di Savoja.

Ma non che Francesco nè Luigia coltivassero queste velleità, anzi cominciarono a perseguitare i dissidenti con fierezza. Margherita [p. 628 modifica] invece si fissò nella nuova fede, ed eccitò grave scandalo ne’ Cattolici col suo Specchio dell’anima peccatrice, ove tutto attribuisce alla Grazia, non discorrendo nè di confessione, nè d’indulgenze, nè di purgatorio.

Alla scuola di costei e de’ primi Riformati, che conobbe a Nerac e a Parigi, bevve le opinioni di Calvino Renata (1510-1576), figlia di Luigi XII e d’Anna di Bretagna, alla quale sarebbe toccata la corona di Francia se la legge salica non escludesse le donne. I sublimi natali e il coltissimo ingegno, se non i pregi del corpo, la designavano a eccelse nozze: fu promessa a Carlo V, a Enrico VIII d’Inghilterra, a Gioachino marchese di Brandeburgo, e ragioni politiche vi s’attraversarono sempre: la domandò pure il conestabile di Borbone; infine fu fidanzata ad Ercole II d’Este duca di Ferrara (10 luglio 1527), nella speranza che tale parentela assicurerebbe alla Francia il possesso del Milanese. Egli le regalò gioje per centomila zecchini; ricchissimamente le nozze celebraronsi a Parigi il 28 giugno 1528; e appena cessate le micidiali desolazioni recate all’Italia dal sacco di Roma e dalla carestia, gli sposi vennero a Ferrara, e si stabilirono alla magnifica e deliziosa villa del Belvedere sul Po, ridente di pitture del Dosso, e della quale non rifinano di dire coloro che la videro prima che andasse distrutta.

Questa Corte soleva piacersi di quistioni teologiche; e il gusto ne crebbe quando vi capitò la Renata, desiderosa di emulare la regina Margherita e di fare di Ferrara quel ch’essa della Navarra, il nido de’ pensatori dissidenti; e irata ai pontefici Giulio II e Leon X pe’ torti che aveano fatti a suo padre in tante maniere, ne rinnegò la potestà e dimenticò l’obbedienza, giacchè non potea far peggio perchè donna. Quando essa ringravidò la terza volta, il francese poeta Marot in un’elegia la felicitava d’aver concepito in tempi sì fortunati, e le prometteva la ruina del papa e della santa sede, nemica alla casa di lei. La troviamo lodata come santissima anima dal Brucióli nella dedica della Bibbia volgarizzata; per gran religione dal Belussi nella giunta alle Donne illustri del Boccaccio, da Gianfrancesco Virginio bresciano nel dedicarle le sue Lettere, che al Fontanini, giudice arcigno, parvero seminate di frasi eterodosse, e la Parafrasi sulle Epistole di san Paolo.

Ricordiamo volentieri com’ella abbondasse in carità, e massime coi Francesi che dalle guerre tornavano derelitti e sofferenti; e se [p. 629 modifica]alcuno le rimostrava come in tali spese eccedesse, — Che volete? (rispondeva); e’ son francesi, di mia nazione, e sarebbero sudditi miei s’io avessi avuto barba al mento».

Fosse bizzarria o convinzione, ella formò della Corte ferrarese un focolare di pratiche anticattoliche; vi imbandiva di grasso ne’ giorni di vigilia; teneva assemblee religiose nel palazzo di San Francesco, e probabilmente vi facea celebrare la messa di sette punti, quale erasi inventata alla Corte di Navarra, cioè: 1° senza comunione pubblica; 2° senza elevazione dell’ostia; 3° senza adorazione delle specie; 4° senza oblazione del pane e del vino; 5° senza commemorazione della Madonna e dei santi; 6° senza frazione del pane all’altare; 7° da prete ammogliato.

Oltre Aonio Paleario, Pietro Vergnanini, Francesco Porto cretese, Lisia Fileno, ella ricoverò Girolamo Bolsec carmelitano francese, che appuntato per prediche troppo libere, gittò la tonaca, menò moglie, e praticò la medicina: dappoi avendo ingannata la duchessa e fattosene calunniatore, ne fu cacciato; a Ginevra professò opinioni per cui ne fu respinto, e scrisse libri violenti contra i caporioni della Riforma. Essendo stato arrestato a Firenze Lodovico Domenichi per avere fatto stampare la Nicomediana di Calvino, la Renata ne scrisse al granduca da Consandolo, il 20 marzo 1552, come altra volta in favore di Sebastiano Dedi da Castrocaro.

Più memorabile è l’asilo ch’essa diede a Calvino, il quale, perseguitato in Francia dalla Sorbona, nel 1536 ricoverò presso la Renata col nome di Carlo d’Esperville, e giovane eppur sempre grave e serio, di scienza profonda, di molta unzione nel discorso, traeva profitto dal suo apostolato, tanto che un tratto sperò riuscire in Italia meglio che non avessero potuto Lutero e Zuinglio. Veniva con lui da segretario l’ora detto Marot, che tradusse in versi i salmi, i quali furono cantati nelle rivoluzioni d’allora, come la marsigliese nelle moderne. Altri pure capitavano a Ferrara, per religione spatrianti. Madama di Soubise, governante della Renata, teneva seco la figliuola Anna di Partenay e il figlio Giovanni, che poi, col titolo di sire di Soubise, fu caporione degli Ugonotti in Francia. I fratelli Giovanni e Chilian Sinapi tedeschi, riformati e amici di Lutero, il primo de’ quali avea convertito e sposata la ferrarese Francesca Bucironi (1538), erano venuti a quell’Università insegnando il greco, ed istillavano massime eterodosse ai tre figli della Renata. La quale per compagna alla sua [p. 630 modifica]figliuola, destinò Olimpia, figlia di Fulvio Pellegrino Morato1, già tinta del colore stesso.

Ad Ercole II, figlio di Alfonso I e della famosa Lucrezia Borgia, repugnavano il carattere imperioso della moglie e gl’irreligiosi comporti; e sulle prime osò tenerle fronte e volere che fossero mandati via Marot, Soubise e il resto della contumace colonia francese. Marot ritirossi a Venezia, in una casa presso Lido, a poetare finchè ottenne di tornare in Francia, patto che si mostrasse buon cattolico: e nol facendo, dovette ritirarsi a Ginevra, dove per iscostumatezza ebbe condanna di morte, commutatagli nella bastonatura per intercessione di Calvino. Allora ricoverò in Piemonte, ove morì il 1544. [p. 631 modifica]

Calvino partì da Ferrara travestito, e avviatosi alle Alpi, giunse ad Aosta poi a Ginevra, che dovea diventare la sua Roma. I lodatori di esso deplorano abbia abbandonato l’Italia, dove avrebbe potuto acquistare il gusto delle arti e il sentimento del bello di cui restò sempre sprovvisto. Certo egli non fa alcun cenno di impressioni estetiche avute in questo viaggio: e il suo soggiorno in Italia fu tanto breve, da non avervi lasciato traccio o scolari.

I papi continuarono a tenere l’occhio sospettoso su Ferrara, semenzajo d’eresia, e Giulio III si prefisse d’estirparla coll’ajuto d’Enrico II di Francia, nipote della Renata. Questi vi mandò il dottore Oriz suo penitenziere e inquisitore in Francia; e Le Laboreur, nelle aggiunte al Castelnau, ci ha conservate le istruzioni dategli. Dovea mostrare [p. 632 modifica]l’immenso disgusto del re nel vederla precipitata nel labirinto di sciagurate opinioni, dalle quali se la sapesse ravveduta, ne proverebbe tanta allegrezza, quanta se la vedesse resuscitata da morte. Ove le rimostranze non bastassero, doveva obbligarla ad assistere con tutta la casa sua a sermoni di controversia; quando non ne profittasse, intimarle essere volontà del re che il duca la facesse riporre in luogo appartato, ove non potesse corrompere altri, staccata sin dalla famiglia, mentre si sottoporrebbero a processo e condanna quelli che fossero sospetti di false dottrine.

Così fu fatto, e il marito per alcun tempo tenne chiusi la Renata e ventiquattro de’ suoi nel castello di Consandolo, distante un 30 chilometri da Ferrara: ma quivi e alla vicina Argenta essi diffusero le loro dottrine. Il duca alternava rigori e perdoni senza frutto, or mettendola nel palazzo di San Francesco, or nelle stanze della reggia [p. 633 modifica]che sono rimpetto alla facciata del duomo, con sole due damigelle. Calvino mandava conforti alla Renata e messaggi per mezzo di Lyon Jamet secretario di essa, e — Giacchè piacque al signor Iddio, nell’infinita sua misericordia, visitarvi colla temenza del suo nome e illuminarvi nella verità del suo santo Vangelo, riconoscete la vocazione vostra; giacchè esso ci trasse dagli abissi delle tenebre ove eramo cattivi, affinchè seguiamo direttamente la luce sua senza declinare». Fu tal volta che egli la credette caduta, e a Farel scriveva: De ducissa Ferrariensi tristis nuncius et certior quam vellem: minis et probis victam cecidisse. Quid dicam nisi rarum in proceribus esse constantiæ exemplum? Ma s’ingannava: perocchè anzi il duca denunziava al re di Francia la pertinacia della moglie.

Allora veramente Marot poteva cantar della Renata: — Ella non vede persona di cui non abbia a dolersi: le montagne stanno fra essa e gli amici suoi: essa mescola di lacrime il suo vino». Stanca di rimanere disgiunta dai figliuoli, ella fece una specie di ritrattazione (1556) in mano del gesuita Pellettario, e si confessò e comunicò dicendo credere nella Chiesa cattolica, ma senza voler aggiungervi romana. Il marito se n’appagò senza star sul sottile, e le rese le figliuole e il palazzo di San Francesco, e morendo nel 1560, lasciolla usufruttuaria d’esso palazzo e di metà della tenuta di Belriguardo, finchè vivrà da buona cattolica. Il figlio Alfonso accorso, dopo la solenne entrata il 19 maggio 1560, andò a prestar l’omaggio al papa, di cui era vassallo, e che con lui si rammaricò della duchessa che ostinavasi nelle eresie; onde il figlio le intimò di lasciarle o d’andarsene.

In fatti con trecento persone ella partì, e pose Corte nel castello di Montargis, facendo solenne professione di calvinismo, ricoverandovi i perseguitati, e mantenendo carteggio con Calvino. Questi la querelò alcuna volta del non vederla ben risoluta ad abbandonare i santi e certe pratiche: ma le scriveva: — Voi foste come una madre nutrice de’ poveri fedeli discacciati che non sapeano ove ritirarsi. So bene che una principessa, la quale non guardasse che il mondo, avrebbe onta, e quasi prenderebbe a ingiuria che il suo castello si chiamasse un Ospizio di Dio (Hôtel-Dieu), ma io non saprei farvi onor maggiore che chiamarlo così, per lodare e riconoscere l’umanità che voi avete usata verso i figliuoli di Dio a voi rifuggenti2. [p. 634 modifica]

Questo Alfonso e le sorelle Leonora e Lucrezia rimasero celebri nelle avventure di Torquato Tasso. All’altra figlia Anna, stata educata da Giovanni Sinapio suddetto, la Renata, per eccitarne l’emulazione, avea messo compagna Olimpia Morata. Dai colloquj, poi dalle lettere di questa attinse idee libere, che non abbandonò sebbene sposata al duca di Guisa, caporione dei partito cattolico in Francia, e lo storico De Thou assicura ch’essa non cessava d’esortar la regina Caterina a risparmiare i rigori contro gli Ugonotti, A costei il Brucióli dedicava la traduzione della Bibbia.

Dicono che esso duca di Guisa minacciasse di assalire coll’armi il castello di Montargis, perchè sua suocera vi ricettava Ugonotti, e che la Renata rispondesse all’araldo: — Avvisa il tuo padrone che io stessa monterò sulla torre, e vedrò se ardisce assalire una figlia di re; del che e cielo e terra vorrebber vendetta su lui e su tutta la sua stirpe fin ai bambini in cuna».

Ma allorquando egli fu assassinato dal fanatico Poltrot davanti ad Orleans, e i predicanti dal pulpito ne esprimevano esultanza, la duchessa, ricordandosi ch’era suo genero, mosse di ciò doglianza con Calvino, il quale rispondendo non riprova l’assassinio, fatto a nome della religione. Si le mal fâchait à tous les gens de bien, monsigneur de Guise, qui avait allumé le flambeau, ne pouvait pas être épargné. Et de moi combien j’ai toujours prié Dieu de lui faire merci, si est ce que j’ai souvent désirê que Dieu mit la main sur lui pour en delivrer son Eglise, s’il ne le voulait convertir.... Cependant de le damner c’est aller trop avant, si non qu’on eût certaine marque et infaillible de sa réprobation3.

Vuolsi che la Renata tenesse mano alla congiura dei Fiesco in Genova, per dare prevalenza alla Francia sopra l’Austria in Italia. Morì il 2 luglio 1575, dopo veduta la ruina della Casa d’Este, l’assassinio di suo genero per opera de’ Protestanti, e quello de’ Protestanti per opera de’ Cattolici. Tai frutti si raccolgono dal seminare zizzania nella cristianità.

  1. Fulvio Pellegrino Morato, nativo di Mantova e professore di belle lettere a Ferrara, stampò un Rimario di tutte le cadentie di Dante e Petrarca (1528), e un’esposizione del Pater noster (1526). Sospetto d’avere scritto un libro di opinioni eterodosse, fu obbligato allontanarsi da Ferrara (1533); e stette professore a Vicenza e a Cesena col nome di Fulvio, sinchè, intercedente il Calcagnini, fu ricevuto di nuovo a Ferrara (1539).
    A sua figlia Olimpia aveva dato squisita educazione, sicchè di dodici anni sapea greco e latino, e a 16 in quelle lingue scriveva dialoghi alla foggia di Tullio e di Platone; seppe di retorica e filosofia; verseggiava con gusto ed eleganza, come mostrano la sua Laus L. Mutii Scevolæ, l’apologia di Cicerone contro il Calcagnini, la traduzione delle due prime novelle del Boccaccio e varj dialoghi, poesie ed epistole: il Sardi le dedicò De triplici philosophia, ammirando la sua facilità nel greco e le sue cognizioni filosofiche.
    Con Anna, figlia della Renata, leggeva la Scrittura in greco; ed avezza al gusto classico, della semplicità biblica prendea noja. Forse per le opinioni eterodosse, elle aveva attinte dal padre e dal Sinapi, fu rinviata dalla Corte, ed ebbe ad assistere il padre gravemente ammalato, che poi morì nel 1548. Pose affetto ad Andrea Grunther, giovane protestante tedesco, amico del Sinapi, e dottorato in medicina a quell’Università, e sposollo: ma avendo egli per affari dovuto correre in Germania, Olimpia restò sola e desolata, finchè potè raggiungerlo (1550), e con altri suoi paesani si stabilì ad Eidelberga, dove insegnò greco.
    Colà deplorava i patimenti de’ suoi correligionarj rimasti a Ferrara, Ad Anna d’Este, sua allieva, divenuta duchessa di Guisa, manda esortazioni affinchè s’applichi allo studio delle lettere sacre: essa non aver altro bene che in ciò: da quando, per grazia di Dio, rinnegò quell’idolatria italiana, è incredibile quanto Iddio mutasse l’animo di lei, che, mentre aborriva dalle Scritture, allora di esse sole si dilettò, sprezzando ogni altra cosa: nè basta saper la storia di Cristo, che neppur il diavolo ignora, ma bisogna avere quella fede che opera per l’amore, e fa professar Cristo fra’ suoi nemici: nè martiri esisterebbero se avessero occultato la loro fede. La esorta a non temere l’avversione de’ suoi, e offre mandarle libri cristiani.
    Ha pure molte lettere a Celio Curione: tradusse dal Boccaccio la novella d’Abramo giudeo: scrivendo a Flacio Illirico, lo ringrazia che primo abbia recato gran soccorso agli Italiani, poveri di celesti lumi; che se mai traduca in italiano qualche opuscolo tedesco di Lutero (il che farebbe ella medesima se il tedesco capisse), o se comporrà alcunchè in italiano, gioverà assai ad estirpar gli errori.
    Molto ella ebbe a soffrire e pei comuni dolori dell’esiglio, e più per l’assedio di Schweinfurt nel 1553, che durò quattordici mesi, quando fu costretta rimanere lunga pezza ascosa nella cantina, poi in piazza fu spogliata in camicia. Fuggita ad Hamelburg con una veste prestatale da una vecchia, errò per la Franconia sinchè il conte d’Erbach accolse lei ed il marito, il quale poi fu nominato professore di medicina all’Università di Eidelberga. Di quivi l’8 agosto 1555 ad una Madonna Cherubina scriveva i suoi patimenti con mesta rassegnazione; ed esortando alla fede in Dio e nel Vangelo. — Il mio consorte fu pigliato due volte dai nemici, che, vi prometto, se mai ebbi dolore, allora l’ho avuto: e se mai ho pregato ardentemente, allora pregai. Io nel mio cuore angustiato gridava con gemiti inenarrabili, Ajutami, ajutami, Signore, per Cristo: e mai non ho cessato finch’egli m’ajutò e lo liberò. Vorrei che aveste visto come io era scapigliata, coperta di stracci, chè ci tolsero la veste di dosso, e fuggendo perdetti le scarpe, nè avevo calze in piede: sicchè mi bisognava correre sopra le pietre e i sassi, che io non so come arrivassi. Spesso io dicevo: Adesso cascherò qui morta, che non posso più. E poi dicevo a Dio: Signore, se tu mi vuoi viva, comanda alli tuoi angeli che mi tirino, che certo io non posso. Pregate ancora per noi (soggiungeva) come io fo per tutti i cristiani che sono in Italia, che il Signore ci faccia contenti acciocchè possiamo confessarlo in mezzo della generazione diversa.... Qui il padrone è sempre il primo ad andare alla predica; di poi ogni mattina chiama tutta la famiglia, e in sua presenza si legge un Vangelo ed un’Epistola di san Paolo, ed esso a ginocchi con tutta la Corte pregano il Signore. Bisogna poi che ognun de’ suoi sudditi, casa per casa, gli renda conto della sua fede, eziandio le massaje, affine di poter vedere come progrediscono nella religione; perchè dice esser certo, se non operasse così, avrebbe a render ragione di tutte le anime de’ suoi sudditi. Deh! fossero così fatti tutti i signori e principi! Il Signore vi dia fede, e vi avanzi nella sua cognizione, giacchè di continuo dobbiamo pregare di crescere nella fede».
    A soli ventinove anni ella morì, e ad Eidelberga fu scritto sul suo sepolcro:
    — A Dio immortale e alla virtù e memoria di Olimpia figlia di Fulvio Morato, uom dottissimo, carissima moglie del medico Andrea Grunthero, il cui ingegno e la singolar cognizione delle due lingue, e la probità de’ costumi, e il sommo studio della pietà, sopra il comun modo furono stimati. Il qual giudizio umano della vita sua la beata morte, subíta santamente e pacatamente, confermò col testimonio divino. Morì in suolo straniero l’anno 1555 della salute; dell’età sua XXIX. Qui fu sepolta col marito e col fratello Emilio».
    Celio Calcagnini ne pianse in versi la morte. Sulla casa ch’era stata sua, l’accademia di Eidelberga fece scrivere:

    Vilis et exilis domus hæc quamvis, habitatrix
    Clara tamen claram reddidit ac celebrem.

    Delle opere sue una parte perì nell’incendio di Schweinfurt, tra cui osservazioni sopra Omero e dialoghi greci e latini. Le altre che, oltre quarantotto lettere, sono tre discorsi sui paradossi di Cicerone, dialoghi, orazioni latine e poesie greche, vennero raccolte da Celio Curione, e stampate a Basilea nel 1558: subito esaurite, ristamparonsi nel 1562, poi di nuovo nel 1570 e nel 1580 con aggiunte e col titolo, Olimpiæ Moratæ fæminæ doctissimæ ac piane divinæ opera omnia quæ hactenus inveniri potuerunt cum eruditorum testimoniis et laudibus: Quibus Cœlii Secondi selectæ epistolæ et orationes accesserunt. Il Curione, dedicando alla regina Elisabetta le opere della Morata «mulieris pietate ac literis clarissimæ monumenta, a me tamquam ejus ingenii reliquias, cui illa moriens commendavit et legavit collectas», dice «Hujus quanta fuerit eruditio; quantum, quam ardens veræ religionis studium; quanta in malis adversisque rebus, quæ multa perpessa est, patientia: quanta constantia ex his libris majestas tua facile judicabit».

  2. Lettera del 10 maggio 1563. Nella biblioteca di Modena si conserva un bel codicetto di preghiere della Renata, ov’essa è rappresentata tutta vestita d’oro e con velo pur d’oro in testa. Vi si contengono preghiere ai santi, suffragi alle anime de’ suoi parenti: segno che fu anteriore alle sue nuove credenze. Nel castello si indica una cappella, fatta costruire da lei, con cornice e lastre di marmo in giro, per modo che non si potesse mettervi statue o immagini.
  3. Lettere di Calvino raccolte da G. Bonnet. Parigi 1855, tom. II. pag. 553.